lunedì 27 giugno 2011

Los sinsabores del verdadero policía - Roberto Bolaño

  Stefano Cristi-

Los sinsabores del verdadero policía - Roberto Bolaño

È un libro non finito, quasi un romanzo. Pubblicato quest'anno de Anagrama, è il frutto di un progetto che Bolaño ha portato avanti per quindici anni, del quale l'unica cosa certa è il titolo (in italiano: i dispiaceri del vero poliziotto), scelto dall'autore fin dall'inizio. Molto del contenuto di queste pagine finirà in 2666, i personaggi quasi tutti, qualcuno tale e quale, altri profondamente cambiati: Arcimboldi, che in 2666 è un tedesco di 2 metri, qui è un nanerottolo. Per giunta francese.

Il poliziotto cui allude il titolo è il lettore "che cerca invano di mettere ordine in questo romanzo indemoniato"(Roberto Bolaño)

Non si tratta di un'operazione commerciale, o per lo meno non solo. Non si sta raschiando il fondo del barile sull'onda del successo commerciale. Sono pagine di altissimo livello, all'altezza della migliore produzione di Bolaño, sono curate e limpide.

Ogni riga lasciata de Bolaño è un regalo.

dal blog di Stefano cristi   ---- - - -
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La literatura nazi en América - Roberto Bolaño

Stefano Cristi -


La literatura nazi en América - Roberto Bolaño

La letteratura nazista in AmericaLa letteratura nazista in America, pubblicato in Italia de Sellerio (l'edizione originale in spagnolo è di Seix Barral) è un volumetto che racchiude una breve storia degli scrittori nati nel continente americano che hanno avuto contatti o hanno dimostrato simpatia nei confronti del regime nazista. Scritto nel tono impersonale di una antologia scolastica è arricchito da un indice analitico dei nomi, delle case editrici e delle riviste, nonché da una ricca bibliografia. L'aspetto che rende unico questo libro è che si tratta di un'opera di finzione dalla prima all'ultima lettera. Roberto Bolaño è sicuramente uno degli scrittori più significativi del XXI secolo (io lo considero tale anche se è morto nel 2003). È anche uno dei miei scrittori preferiti in assoluto. 
 
Si possono forse intravedere le ombre di scrittori realmente esistiti alle spalle dei personaggi, spesso rocamboleschi, dipinti da Bolaño, quello che è certo è che durante la lettura si coglie una lucidissima interpretazione della politica ed una ancor più vivida visione della Letteratura. Il libro si colloca nel terreno poco esplorato della "finzione non narrativa" e lascia una sensazione di costante straniamento oltre al desiderio quasi nevrotico di cercare su Wikipedia informazioni su personaggi che sappiamo inventati. Consiglio appassionatamente di provarlo.
 
 
Stefano cristi dal suo blog   ---- - - -19 dicembre 2010
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2666 di Roberto Bolaño

  Stefano Cristi -


26 dicembre 2010

2666 - Roberto Bolaño

Ho riletto, per la seconda volta, 2666.
Non sono la persona piú indicata per parlarne perchè sono realmente innamorato di questo libro - e del suo autore - e come ogni innamorato mi lascio trasportare.
Quello che io penso è che 2666 segna l'inizio della Letteratura del XXI secolo.
Si tratta di cinque romanzi legati in una struttura unica che ha il suo centro di gravità in un luogo (Santa Teresa) verso cui tutto precipita. In ogni parte lo stile narrativo è differente pur mantenendo un'omogeneità di fondo.
È composto di un migliaio di pagine ma si legge d'un fiato come un racconto.
Attraverso le sue pagine si intravede l'abisso del male e quello del dolore. E sembra che coincidano.
Attraverso molti dei suoi personaggi si intravede il profilo dell'autore, ma anche quello del lettore, in un gioco di rimandi borgesiano...

Ecco lo sapevo sto trascendendo.

PS. In Italia Adelphi ha pensato di pubblicarlo in due volumi indipendenti venduti separatamente. Che gran pensata! Fortunatamente da quest'anno è possibile comprarlo in un unico tomo.
L'edizione spagnola è di Anagrama.

Stefano Cristi dal suo blog: "cheleggo"   ---- - - -
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le vite inventate suonano piu' autentiche delle biografie ufficiali

  Cesare Alemmani -


19 giugno 2011
frammento

In un piccolo libro, tra i meno noti e i più borgesiani della sua produzione, intitolato La letteratura nazista in America, Roberto Bolaño impila una sull’altra una serie di biografie, tutte rigorosamente inventate, di altrettanti scrittori; esponenti fittizi di una frangia della letteratura sudamericana, questa sì verissima, che al culmine dell’ultradestra europea intrattenne rapporti disinvolti con gerarchi, scrittori, poeti e intellettuali tedeschi, compreso il Fürher in persona.
Il gioco, insieme ironico e invettivo, regge perché le vite inventate di questi letterati suonano in definitiva più autentiche di qualunque biografia ufficiale di scrittori realmente esistiti. Nonostante le infinite iperboli, anzi proprio per queste. Bolaño, scrivendo, operava secondo un principio fondamentale: non c’è niente di più verosimile che esagerare il verosimile.

rivista " Studio" - frammento dell'articolo "Luigi Bisignani, una verissima vita immaginaria"   - - 

sabato 25 giugno 2011

2666, Un sogno che potrebbe portarci ovunque

Libereditor-

Creato il 22 giugno 2011

Un sogno che potrebbe portarci ovunque


 
Forse il modo migliore per leggere 2666 di Roberto Bolaño è immaginarsi in un sogno che potrebbe portarci ovunque. Un sogno strano, bizzarro e strampalato, misterioso e fortemente espressivo. Come in molti sogni o incubi, nella prima sezione del romanzo Bolaño ci fa subito fare la conoscenza con quattro studiosi di letteratura europei interessati all’opera di un oscuro romanziere tedesco di nome Benno von Arcimboldi. Bolaño segue gli intrighi amorosi tra gli studiosi (tre uomini e una donna) e fornisce indicazioni circa la strana carriera di Arcimboldi, che da un certo punto della sua vita ha vissuto come un eremita isolandosi dal mondo. Improvvisamente e inverosimilmente gli studiosi vengono a sapere che Arcimboldi è stato avvistato nel nord del Messico e tre di loro decidono di andarlo a cercare nella città di Santa Teresa dove nel corso di un decennio centinaia di donne sono scomparse nel nulla. Da questo momento in poi, Santa Teresa diventerà il centro di gravità (una sorta di punto cardine che irradia verso l’esterno in ogni direzione) di tutto il romanzo.

Non c’è dubbio che Roberto Bolaño sia un grande scrittore e che questo enorme romanzo (che aveva quasi completato quando morì nel 2003 a cinquant’anni) ha convinto tutti o quasi che si tratti di un capolavoro. Anche se è stato pubblicato come opera unica, 2666 si compone di cinque sezioni indipendenti tra loro (Bolaño originariamente aveva previsto di pubblicare cinque differenti libri).

Forse 2666 è il romanzo epico che Borges non ha mai ha scritto. Indubbiamente è una prova notevole del virtuosismo di Roberto Bolaño e si legge come uno strano puzzle che si rifiuta di conformarsi alle nostre aspettative.
Gran parte della scrittura di Bolaño va al di là di qualsiasi modello letterario riconoscibile e, come I detective selvaggi, ci offre una folla di voci, sottotrame, dettagli, riferimenti e disquisizioni a non finire.
All’inizio sembra informe, goffo o perverso. Poi, una volta che lo si impara a leggere, ci si rende conto che questa sua eccentrica bruttezza è davvero un nuovo tipo di bellezza del tutto inaspettato e che ciò che sembrava sbagliato nella sua scrittura è esattamente ciò che la rende grande.

Roberto Bolaño in 2666 si rivela uno scrittore senza compromessi e un maestro della digressione. La sua prosa è originale e spesso a corto di aggettivi, ma può anche ingannare perché costellata di aforismi, molti dei quali calcolati per invitare al disaccordo appassionato.

2666 è insomma un libro pericoloso, oltre che un emozionante labirinto letterario. Una cronaca del ventesimo secolo che non ha paura di affrontare i luoghi più raccapriccianti della storia. Un’esperienza difficile da scrollarsi di dosso.

libereditor   ---- - - -
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sabato 18 giugno 2011

Roberto Bolaño

Marco Braggion-

"La lettura è piacere e gioia di essere vivo o tristezza di essere vivo e soprattutto è conoscenza e domande. La scrittura, invece, di solito è vuoto".

Difficile mettersi a scrivere qualcosa di nuovo o di non già stato pensato su Bolaño. Per queste battute ho deciso di selezionare poche cose ripensate in tempi e luoghi altri dalla scrivania-con-laptop su cui di solito mi metto a lavorare: qualche sguardo per strada, qualche frase letta su altri testi, sugli stessi suoi, sui gialli che non ha mai scritto. Memo appuntati di fretta dunque, arrivando fuori tempo massimo, data l’immane mole di avvenimenti, uscite, libri, critiche, apprezzamenti che in questi anni hanno decretato quella che molti, compreso l’Economist, hanno bollato come bolañomania. Poche parole, pochi spunti che cercano di riassumere un classico degli Anni Zero: fuoriposto, postmoderno, epico, massimalista, David Foster Wallace, Radiohead, David Lynch.
Bolaño è fuoriposto perché con la sua produzione riattiva - criticandola - la tradizione letteraria sudamericana. Quando la mania di Marquez, Cortázar, Borges, Allende e soci sembrava essere stata sepolta negli archivi della moda letteraria, che a ondate insabbia od esalta correnti e intere biblioteche di autori troppe volte definiti come ‘essenziali’, viene fuori lui, lentamente, senza pubblicità, e solo grazie al suo valore poetico. Bolaño ci narra in modo nuovo quel mondo magico e oscuro che è il Sudamerica. Il suo non è però il sogno magico di Cent’anni di solitudine. La sua patria virtuale (il Messico) è fatto di delitti atroci, assassinî, gente losca, personaggi poco raccomandabili che vivono in un mondo decaduto e supercontemporaneo, così lontano e così vicino a tutti noi. Frequentandolo ci si sente attraversare le vene dal vento caldo del deserto.
Il critico del quotidiano spagnolo El Pais Ignacio Echevarría (che ha da poco curato il libro di saggi e riflessioni Tra parentesi, edito da Adelphi nel 2009) ha definito bene la sensazione che si ha leggendo i libri del cileno:
“il suo stile di scrittura non è nè realismo magico, nè barocco o localista. Bensì è uno specchio immaginario ed extraterritoriale dell’America Latina: più uno stato mentale che un posto specifico”. 
I due romanzi capolavori/bomba/culto (I detective selvaggi, edito da Sellerio nel 2003 e 2666, edito da Adelphi nel 2007-8) sono intrisi di postmodernità, perché mescolano registri barocchi a liste di morti, giornalismo e storia locale, poesia e pathos, poeti e professionalità scomparse, sogni e realtà in un caleidoscopio che va oltre ogni canone e che rifiuta il tempo, come se l’autore fosse stato consapevole di essere un classico, come se del futuro non gli fosse importato poi così tanto, data la sua statura imperitura, guadagnata a ritmi forsennati di pubblicazione (i suoi dieci romanzi e tre raccolte di racconti sono infatti usciti nell’arco di un solo decennio). In un’intervista ha dichiarato:
“io sono lo scrittore latinoamericano con meno futuro. [...] sono uno di quelli che hanno più passato, che alla fine è l'unica cosa che conta”.
Quello che conta invece nella vita girovaga di Bolaño sono pochi ma fondamentali eventi, che meritano di essere ricordati: nasce in Cile nel 1953, ma si trasferisce nel ‘68 con la famiglia a Città del Messico, dove inizia ad abitare le biblioteche. Cinque anni dopo torna in patria per combattere la dittatura di Pinochet, che aveva appena effettuato il colpo di stato. Qui viene arrestato come spia e sconta la pena otto giorni in carcere, dopo che due suoi amici poliziotti lo liberano. Negli anni Settanta diventa trotzkista e fonda insieme ad alcuni amici e poeti (tra cui Mario Santiago) il movimento d’avanguardia infrarealista che sarà all’origine del suo capolavoro I detective selvaggi, un diario delle scorribande di giovani poeti sudamericani in cerca della fondatrice della loro stessa avanguardia, la poetessa Cesárea Tinajero. L’estetica del gruppo letterario va contro la letteratura ufficiale, utilizzando accenni di surrealismo francese mixati ad elementi dada. Per tutta la sua vita è un’instancabile girovago, finché nel 1977 non sbarca in Europa. Cerca di sopravvivere facendo di tutto, dal lavapiatti al cameriere, dallo spazzino al portiere di notte. Vive per un po’ a Barcellona, ma stanco della metropoli si insedia a Blanes, una città di mare sulla costa brava di Girona.  Qui continuerà a scrivere poesia, ma distrutto dall’eroina (anche se la moglie e il suo amico Enrique Vila-Matas non hanno mai confermato la dipendenza) e dalla povertà, inizia a scrivere romanzi per sopravvivere e per dar da mangiare ai suoi due figli. Il suo 2666 nasce proprio qui, un libro ‘monstre’ di circa mille pagine che contiene tra le altre cose una denuncia contro lo stato di abbandono dell’America latina, territorio offeso da centinaia di delitti irrisolti (i famosi delitti di Ciudad Juárez), ma nel contempo pieno di poesia. Morirà a causa di un tumore al fegato, quando il suo successo sta scaldando i cuori di migliaia di appassionati. Prima di essere scrittore, Bolano è un personaggio. In questo assomiglia ad altre due icone morte prematuramente: David Foster Wallace e su altri lidi Kurt Kobain. Le sue foto con la sigaretta, i suoi occhiali rotondi e sproporzionati, la sua faccia così espressiva e il suo sguardo intenso creano un mito. Un maudit postmoderno che riporta l’epica come strumento narrativo cardine, avvicinando l’iper-realtà al mito. Come se fosse una superstar rock dei Duemila (vedi alla voce Radiohead) Bolaño passa in rassegna mondi incancreniti di realtà cruda e senza speranza di cambiamento: nel lungo capitolo di 2666, La parte dei delitti, ci allieta con visioni e cut-up del miglior Lynch (un film su tutti "Mulholland Drive"), definendo con uno stile a tratti asciutto, a tratti passionale, la realtà del suo e del nostro contemporaneo: spezzettata, complessa, paranoica e perché no, anche allegra. Per approfondire è ovviamente obbligatorio partire dalle sue opere, ma uno dei luoghi virtuali in cui si possono trovare una miriade di informazioni (peraltro sempre aggiornate) è il sito italiano www.archiviobolano.it. Dateci un’occhiata...

Nota del Blog:
La notizia che Bolano fosse tossicodipendente è totalmente falsa.

vedasi l'articolo Bolano falsificato
In realtà non aveva un tumore al fegato ma una malattia a lle vie biliari che
gli fu diagnosticata nel 1992.

mangialibri   ---- - - -

mercoledì 1 giugno 2011

scuola di calore VII - altre due poesie di massimo rizzante

Massimo Rizzante - poesie

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ancora due poesie

 della raccolta ancora inedita Scuola di calore





Sybille

Secondogenita, ho dovuto ben presto infilare nella cruna
dell’ago tutta me stessa. Che altro fare se volevo destare
l’attenzione di mia madre? Amava mio fratello Charles. Trovavo
impronte di rossetto Rouge Interdit perfino sulle sue natiche

Perciò sono cresciuta nell’ombra. E ciò ha fatto sì che non pagassi
l’entrata per il circo né che rincorressi il successo travestita
da nana o nazista. Me ne stavo con gli zingari, nelle roulottes,
nelle gabbie, nel tanfo degli animali in cattività: che altro c’è da vedere?

Poi, in città, certo non potevo sperare di sposare un pivello.
Così m’innamorai di un vecchio visionario, un ex pugile di Lione
che camminava come un manzo portato al macello, con cinque
matrimoni alle spalle e sette figli da chiudere all’angolo

Lo vidi la prima volta a un ricevimento in onore di un ricco
mecenate delle arti. Gli scrissi una poesia che lui mi rispedì
con le sue correzioni in rosso. Finalmente qualcuno che con il pathos
si era lavato i coglioni! Seguì un appuntamento in rue Saint-Jacques

Quando qualcuno della corte delle sue adulatrici mi chiedeva
che moglie ero, rispondevo l’ultima. E così è stato. Ai suoi sette figli
si aggiunse Octavius e per trentatré anni restammo insieme. Jean
era un seduttore, e io che conoscevo il tanfo della cattività lasciavo fare

Dopo tre anni passati a lottare contro un carcinoma,
sono morta. Jean, quando mi asportarono il primo seno, se ne andò
di casa. Non poteva scopare senza addentarmi i capezzoli.
Spero di rivederlo, ma non subito: ho bisogno di un po’ di riposo…

Maria

Ci sono rumori che non sono mai esistiti:
la neve che cade sui tetti, un pugno andato a vuoto,
una goccia di sangue sul vestito. E così ci sono vite
che non hanno mai meritato di essere vissute.

Niente da dire. Io, ad esempio, ho vissuto come se fossi morta.
E così Zlatka, Zvezda, Alena. Abbiamo tutte preso il nostro posto
nella grande sala d’attesa, sfogliando vecchie riviste di moda, giocando
a dama, sorseggiando soda, pisciando sangue in sacche di plastica

«Siete vive?». A un filo di tungsteno giunto
a un grado di incandescenza che sbriciola l’ampolla
della voce: a questo assomiglia il nostro «sì». Poi il corpo nero
del pensiero insegue il dolore, ma non riesce a illuminarlo

La nostalgia lavora a tempo pieno da queste parti.
Per il mio povero cervello infiltrato di ormoni è il ricordo di mio padre,
il suo nodo alla cravatta o quando lanciò il mio biberon
dall’auto in corsa. Avevo già sette anni. Fu il giorno in cui scoppiò la guerra

In città c’era un corteo di donne incinta
che per proteggere il feto dai cecchini
camminavano all’indietro come granchi dal carapace
gonfio di microscopici detriti

Sebbene molto si sia fatto nel XX secolo per conoscere le connessioni
dei circuiti neuronali, io, Alena, Zvezda e Zlatka non abbiamo
compreso nulla di quanto è accaduto. Come quei topi-arcobaleno,
le cui cellule fluorescenti fanno andare in estasi il professor Karadžic'






nazione indiana   ---- - - (la numerazione non corrisponde)-
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