venerdì 27 gennaio 2012

Roberto Bolaño – I dispiaceri del vero poliziotto

Altroquando        -

23 gennaio 2012

Quella sera, dopo aver riletto quattro o cinque volte la lettera, Amalfitano non poté rimanere in casa. Si mise una giacca leggera e uscì a camminare. I suoi passi lo portarono in centro, dove vagò nella piazza in cui la statua del generale Sepùlveda voltava le spalle ricambiato al gruppo scultoreo che celebrava la vittoria del popolo di Santa Teresa sui francesi, e poi si infilò in un quartiere che, malgrado fosse a due isolati dal centro, riuniva in sé – e mostrava – ogni stigma, ogni segno di povertà, squallore e pericolo. La zona rossa.
Quel nome divertiva Amalfitano con un misto di amara tenerezza; anche lui, nel corso della sua vita, aveva conosciuto zone rosse. I quartieri operai, i “cordoni industriali”, prima, i luoghi liberati dalla guerriglia, dopo. Chiamare zona rossa un quartiere di puttane, tuttavia, gli sembrava azzeccato e si domandò se anche quelle lontane zone rosse della sua gioventù non fossero state enormi quartieri di puttane camuffati con la Retorica e la Dialettica. Luoghi di puttane invisibili, splendore di papponi e poliziotti, tutto il nostro sforzo, la nostra lunga rivolta carceraria.
Di colpo si sentì triste e anche affamato. Contro ogni avvertenza e cautela di genere gastrointestinale si fermò da un venditore ambulante, all’angolo fra avenida Guerrero e General Mina, e comprò un panino al prosciutto e del tè all’ibisco che, nella sua fervida immaginazione, era simile al nettare di gelsomino o al succo di fiori di pesco cinesi della sua infanzia. Com’erano saggi, accidenti, com’erano delicati questi messicani, pensò mentre assaporava uno dei migliori panini della sua vita: fra il pane e il pane, panna acida, salsa di fagioli neri, avocado, lattuga, pomodoro o jitomate, tre o quattro pezzetti di peperoncino chipotle, e una sottile fetta di prosciutto, l’elemento che dava nome al panino e allo stesso tempo il meno importante. Come una lezione di filosofia. Filosofia cinese, è chiaro! pensò. Il che lo portò a ricordare quei versi del Tao te ching: “La loro identità è il mistero / E in questo mistero / si trova la porta di tutte le meraviglie”. Qual’era l’identità di Padilla? Pensò allontanandosi dal venditore ambulante e dirigendosi verso una grande insegna luminosa a metà di calle Mina. Il mistero, la meraviglia di essere giovane e non aver paura e di colpo averla. Ma aveva davvero paura, Padilla? o le manifestazioni che Amalfitano interpretava così erano segno di qualcos’altro? L’insegna, a grandi lettere rosse, annunciava la cantante di rancheras Coral Vidal, una seduta di streap-tease comunicativo e il famoso mago Alexander. Sotto la pensilina all’ingresso, in un brulichio di gente insonne, vendevano sigarette, droghe, frutta secca, riviste e giornali di Santa Teresa, Città del Messico, California e Texas. Mentre pagava un quotidiano della capitale, me ne dia uno qualunque, aveva detto all’edicolante, mi dia l’”Excélsior”, un bambino gli tirò la manica.
Amalfitano si voltò. Era un bambino bruno, magro, sugli undici anni, con indosso una felpa gialla con l’emblema dell’Università del Wisconsin e dei pantaloncini sportivi. Venga con me, signore, mi segua, insisté il bambino davanti alla resistenza iniziale di Amalfitano. Qualcuno si era fermato a guardarli. Alla fine decise di obbedire. Il bambino s’infilò in una strada laterale piena di caseggiati che sembravano sul punto di crollare. I marciapiedi erano invasi da automobili parcheggiate male o, a giudicare dalle loro pietose condizioni, abbandonate dai proprietari. Dall’interno di certe case arrivava un guazzabuglio di televisioni a tutto volume e voci irate. Amalfitano contò fino a tre insegne di pensioni. I nomi gli parvero pittoreschi, ma non quanto l’insegna di calle Mina. Cosa significavastreap-tease comunicativo? Che si spogliavano anche gli spettatori o che la spogliarellista annunciava a voce alta gli strumenti che poi si sarebbe tolta?
Di colpo la strada rimase in silenzio, come ripiegata su se stessa. Il bambino si fermò tra due automobili particolarmente sgangherate e guardò Amalfitano negli occhi. Lui, finalmente, capì e scosse la testa. Poi forzò un sorriso e disse no,no. Tirò fuori di tasca una banconota e gliela mise in mano. Il bambino prese la banconota e se la infilò in una delle scarpe da ginnastica. Quando lo vide chinarsi Amalfitano ebbe l’impressione che un raggio di luna gli illuminasse la schiena piccolina e ossuta. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. La loro identità è il mistero, ricordò. E ora? disse il bambino. Ora te ne vai a casa a dormire, disse Amalfitano e si rese immediatamente conto della stupidità del rimprovero. Mentre si avviavano, stavolta uno accanto all’altro, s’infilò la mano in tasca e gli diede altri soldi. Ehi, grazie, disse il bambino. Così questa settimana ceni, disse Amalfitano con un sospiro.
Prima di lasciare la strada sentirono dei gemiti. Amalfitano si fermò. Non è nulla, spiegò il bambino, vengono da lì, è la Llorona. La mano del bambino indicò la soglia di una casa in rovina. Amalfitano si avvicinò esitante. Nel buio dell’androne si sentirono di nuovo i gemiti. Venivano dall’alto, da uno dei piani superiori. Il bambino gli stava accanto e gli indicava il punto, Amalfitano fece pochi passi nell’oscurità e non osò proseguire. Tornando indietro vide il bambino in piedi, in equilibrio sulle macerie. E’ la matta della strada che muore di Aids, disse guardando distrattamente i piani superiori. Amalfitano non fece alcun commento. In calle Mina si separarono. […]
Roberto Bolaño, I dispiaceri del vero poliziotto, Adelphi, 19 €
Il sogno di ogni vero lettore non è forse di ritrovare, anche solo per poco, i personaggi di un libro che ha appassionatamente amato? Ebbene, lo vedrà realizzarsi, per la prima volta, in questo romanzo, dove riappaiono alcuni dei personaggi di 2666. Per poterli incontrare di nuovo, però, dovrà accettare il rischio di intraprendere un viaggio quasi iniziatico, all’interno di una foresta in cui le piste si confondono e si aggrovigliano. Ma il vero lettore non esiterà, e si trasformerà lui stesso nel vero poliziotto del titolo: colui che (come Bolaño) “cerca invano di mettere ordine in questo dannato romanzo». Inoltrandosi dunque nella trama fittissima e imprevedibile di queste pagine, scoprirà, per esempio, che il professor Amalfi­tano è approdato in Messico dopo essere stato espulso dall’Università di Barcellona per omosessualità, e ne conoscerà il nuovo amante, un irresistibile falsario di dipinti di Larry Rivers (mentre dell’ex amante, un poeta malato di Aids, leggerà le impagabili lettere); e rivedrà anche l’incan­tevole Rosa Amalfitano, di cui sembra innamorarsi il poliziotto Pedro Negrete, incaricato di indagare sul professore insieme allo scherano Pancho, erede di una dinastia di donne violate… Nel frattempo si lascerà sedurre, il vero lettore, da digressioni letterarie impertinenti, classifiche irriguardose, biografie fittizie, atmosfere inquietanti, sogni rivelatori. Con l’im­per­tur­babile senso del ritmo e la dovizia visionaria delle sue storie, Bolaño saprà i­pnotizzare il suo lettore-po­liziotto, imponendogli un modo di raccontare nuovo e sorprendente. Sicché, alla fine, l’unico «dispiacere» che quegli proverà sarà di vedere i personaggi, già da sempre in fuga, sottrarsi ancora una volta: come se, terminato il libro, «saltassero letteralmente fuori dall’ulti­ma pagina e continuassero a fuggire».
(dalla prima di copertina)



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