domenica 24 ottobre 2010

Si 'sta voce te sceta 'int'a nuttata

Si 'sta voce te sceta 'int'a nuttata
Si 'sta voce te sceta 'int'a nuttata
mentre t'astrigne 'o sposo tuio vicino,
statte scetata, si vuò stè scetata,
ma fè vedè ca duorme, a suonno chino

(Voce 'e notte, (Nicolardi e De Curtis )

Enrique Vila-Matas raccontato da Raul Schenardi

  Raul Schenardi

Enrique Vila-Matas




  Il mal di montano    

trad. di Natalia Cancellieri    
Ed. feltrinelli    




 “Sento l’orgoglio del vampiro. Per esempio, per anni ho agito in letteratura come un perfetto parassita. In seguito ho cominciato a liberarmi di quell’attrazione per il sangue delle opere altrui e addirittura, con la collaborazione di queste, ad appropriarmi di un’opera inconfondibilmente mia: discreta, di culto, mezza segreta, forse eccentrica, ma che mi appartiene ed è ormai ben lontana dall’omologato esercito dell’identico.”

Così Enrique Vila-Matas nel suo ultimo romanzo pubblicato in Italia (Il mal di Montano, tr. di Natalia Cancellieri, Feltrinelli 2005). Già Borges, a proposito dei testi raccolti nella sua Storia universale dell’infamia, aveva scritto nella prefazione del 1954:
“Sono il gioco irresponsabile di un timido che non ebbe il coraggio di scrivere racconti e che si divertì a falsificare (talvolta senza alcuna giustificazione estetica) storie altrui”.
E Vila-Matas, appoggiandosi al Maestro (“mi sono sentito ancora più in pace nel constatare, per esempio, che Borges era stato un caso assai creativo e astuto di parassitismo letterario”), e a Walter Benjamin ( “diceva che nel nostro tempo l’unica opera realmente dotata di senso – anche di un senso critico – dovrebbe essere un collage di citazioni, frammenti, echi di altre opere” ), dopo averci confessato di essere stato un parassita e di averne sofferto, finisce per rivendicare la legittimità e la produttività del procedimento.

Vie spagnole all'antirealtà

  Tommaso Pincio


STORIE ALLA RICERCA DI UN AUTORE IDEALE

Vie spagnole all'antirealtà

Fino a che punto è giusto che la vocazione al romanzo debba soggiacere al rispetto della realtà? Una annosa questione risolta in modo diverso da quattro trame in lingua spagnola di recente uscita: La vita breve, un classico dell'uruguaiano Onetti, Anatomia di un istante di Javier Cercas, Dublinesque di Enrique Vila-Matas e Finalmusik di Justo Navarro

Stando a un vecchio mito circolante tra gli scrittori, ci sarebbero romanzi che reclamano d'essere scritti. Vale a dire, romanzi in cerca d'autore. Questo genere di romanzi, il cui grado di diffusione non è dato conoscere, risparmierebbe agli scrittori l'incombenza per nulla secondaria di trovare un buon argomento intorno al quale imbastire una storia. In pratica funzionerebbe così: lo scrittore se ne sta tranquillo per i fatti propri senza spremersi troppo le meningi, finché un bel giorno il romanzo bussa alla porta della scatola cranica esigendo d'essere scritto; a questo punto lo scrittore non ha che da mettersi all'opera, eseguendo le indicazioni impartite. Illusoria o veridica che sia, è una visita che qualunque scrittore almeno una volta nella vita ha ricevuto. Naturalmente sarebbe più giusto chiamarla sensazione. Volendo, si potrebbe arricchirla, questa sensazione, di un attributo, come ha fatto Javier Cercas, che ha giustappunto definito «sensazione presuntuosa» la visita da lui ricevuta il 23 febbraio 2006.

giovedì 21 ottobre 2010

Per Nikos Kachtitsis (da tradurre poesia di Massimo Rizzante)

  Massimo Rizzante


  12 ottobre 2010

da
Punto vulnerabile
Quattordici poesie della giovinezza

Vulnerable Point
Fourteen Poems of Youth

traduzione di Massimo Rizzante

 Per  Nikos Kachtitsis

I did not want eternity,
I only begged for time

Non ho desiderato l’eternità,
ho solo chiesto tempo

Demetrios Capetanakis

intervista a Cesar Aira di Raul Schenardi

  Raul Schenardi -

intervista a Cesar Aira
di Raul Schenardi - 2007



Bisogna risalire al 1991 per trovare il primo romanzo di César Aira pubblicato in Italia (Ema la prigioniera, tr. di Angelo Morino per Bollati Boringhieri). E si è dovuto attendere un bel po’ prima che la nostra editoria si interessasse nuovamente a questo scrittore che tutti si affrettano a definire “eccentrico” laddove, a ben vedere, è eccentrico soprattutto rispetto alla collocazione nel mercato editoriale. Non conosco invece altri autori che si installino oggi con tanta determinazione e consapevolezza al centro stesso dei meccanismi costitutivi della letteratura, e che affrontino con altrettanta radicalità le sfide che attendono chi intenda praticare una “nuova scrittura”, come recita il titolo di un suo pregnante intervento teorico.

Ora, con la pubblicazione di Come diventai monaca, e prima ancora di Il mago (entrambi per Feltrinelli), i lettori italiani possono finalmente cominciare a fare la conoscenza di questo scrittore argentino, classe 1949, che ha al suo attivo più di cinquanta romanzi (molti dei quali brevi, soprattutto in anni più recenti), oltre a svariati saggi e a un monumentale Diccionario de autores latinoamericanos, e che gode ormai di ampia fama a livello internazionale. Questa la buona notizia. Quella cattiva: ora che non si dedica più alle traduzioni, Aira pubblica 3-4 romanzi nuovi ogni anno, perciò, come ogni buon iceberg che si rispetti, la sua opera continuerà a restare per noi in gran parte sommersa. Le cose, del resto, vanno appena meglio per chi legge lo spagnolo, dato che molti suoi romanzi sono usciti per case editrici effimere, dai nomi pittoreschi e dalle tirature succinte, e questo, si badi bene, non solo quando era pressoché sconosciuto, ma anche dopo che era stato “scoperto” e lanciato da grossi editori. Sovrana indifferenza (o disprezzo) per le regole e le consuetudini del mercato editoriale? Perfida strategia per invadere tutti gli spazi possibili? 

martedì 19 ottobre 2010

"Nessuno mi vedrà piangere" di Cristina Rivera Garza

Francesca Lazzarato -


il manifesto del 18 Maggio 2008


Nessuno mi vedrà piangere
Ed. Voland 2008
Trad. raul schenardi







Dal Messico scatti di interni nei luoghi tenebrosi del controllo

Sullo sfondo dell'immenso manicomio della Castañeda, voluto dal dittatore Porfirio Diaz, tragiche vicende individuali si intrecciano alla tormentata storia del paese nell'intenso romanzo di Cristina Rivera Garza «Nessuno mi vedrà piangere»



«A volte si ha la convinzione, giustissima per alcuni, che noi lettori ci avviciniamo ai libri solo per passare il tempo o divertirci, ma io mi avvicino ai libri con il desiderio di pensare insieme ad altri. I libri che mi hanno commosso, che hanno segnato la mia vita, sono quelli che mi fanno pensare, nel senso più ampio del termine (...), pensare nel senso di perdersi; pensare nel senso di camminare per una stanza fino a trovare la finestra o a creare una porta».

Così la messicana Cristina Rivera Garza, una delle più interessanti scrittrici latinoamericane degli ultimi anni, parla in un'intervista del suo rapporto con la lettura, che ci aiuta a «costruire un universo insieme a qualcun altro». Ma, tra cattedrali del mare e topi divoratori di carta stampata, esistono ancora libri che fanno pensare, libri capaci di lasciare tracce profonde e di cambiarci la vita?

lunedì 18 ottobre 2010

Ragazzi di vita horror tour 2010

     Franz Krauspenhaar -


come raccontare l'orrore senza scivolare, nel patetico, nella retorica o, peggio ancora nel moralismo? questo testo è una risposta possibile

Ragazzi di vita horror tour 2010


L’incarico che mi ha dato il direttore provoca in me un rimescolio profondo prima ancora d’affrontarlo. Sono arrivato al giornalismo tardi, ma con un curriculum di scrittore che ha convinto Mitrali a farmi assumere a La giovane sequoia, una rivista che, non solo nelle intenzioni, dovrebbe sostituire altri fogli che la crisi, la mancanza di lettori e l’appiattimento di buona parte dell’editoria di questo disgraziato paese ha fatto chiudere. Disgraziato paese, sì, non ancora nel terzo mondo, ma con i piedi dentro.
Mitrali vuole da me un’inchiesta tra coloro che vorrebbe chiamare i nuovi ragazzi di vita. Ama Pasolini, nel suo bene e nel suo male, Mitrali. Io solo nel suo bene, che poi a ben pensarci a volte confinava, o sconfinava, proprio col suo male. Per dimostrargli che so di cosa parla ho recitato l’inizio di Alla mia nazione davanti a lui.
Ora sento un leggero percuotere nel petto: non è il cuore, ma come uno sparo soffocato d’emozione fredda che quasi implode dentro di me, al centro proprio del mio petto nicotinico. È una rassegnazione che s’è scritta tanti anni fa e non è ancora finita. Quella nazione di Pasolini, dico tra me e me, in fondo non è cambiata, è sempre quella, amata e poi odiata come solo l’amore permette, con un urlo soffocato. Mitrali ha abbassato la testa, è un giornalista serio, uno che ci crede ancora. Io non più. Io non credo che ai miei libri, che pochi leggono, sopraffatti dalla corsa senza speranza dei “titoli”, di ciò che “tira”. Tira come tira l’uccello di un vecchio dopo l’impasticcazione blu. Un mondo di droga, di drogati, di combattenti contro la droga che si drogano.

domenica 17 ottobre 2010

Bolaño e i suoi ‘Detective selvaggi’

Marcello Andreozzi -

ottobre 2010

Vittima di un’infatuazione adolescenziale- simile a quella che ti può prendere a quattordici anni per un cantante appena scoperto- non riesco a non cadere nella tentazione di trasmettere il verbo di un autore che pur vantando, come testimoniano le pagine di Anobii , schiere di fedeli, mi pare non conoscere ancora, almeno in Italia, la fama che la sua dimensione artistica pure gli meriterebbe.

venerdì 15 ottobre 2010

l'uomo arma

Raul Schenardi 

-

Horacio Castellanos Moya
L’uomo arma
traduzione e nota finale di Nicoletta Santoni
La Nuova Frontiera, pp. 102, euro 14


“Nel plotone mi chiamavano Robocop. Ho fatto parte del battaglione Acahuapa, delle truppe di assalto, ma quando la guerra è finita, mi hanno smobilitato. E sono rimasto senza niente: i miei unici averi erano due fucili AK-47, un M-16, una dozzina di caricatori, 8 granate a frammentazione, la mia pistola nove millimetri e, d’indennizzo, un assegno equivalente a tre mesi di salario.”

L’uomo arma è scritto in prima persona con un linguaggio secco, aspro e privo di connotazioni emotive, impassibile e cinico come il protagonista. Lo scenario è il San Salvador, mai nominato, ma potremmo trovarci in Honduras, Nicaragua, Guatemala, e gli anni sono quelli delle guerre civili e delle violenze che hanno imperversato in quei paesi. 

Questo l’incipit del monologo di Juan Alberto García, detto Robocop (come il cyborg del film di Verhoeven), 1,90 d’altezza, 120 libbre. Non è facile per lui accettare la “democratizzazione”, riciclarsi come “civile”: sa soltanto combattere e uccidere. Così, ruba una Golf e rapina una villa ammazzando una coppia di vecchietti. È l’inaugurazione di una carriera criminale costellata di tradimenti: prima va a letto con la moglie del cugino, poi con una puttana che non esiterà a uccidere temendo una spiata; entra in un gruppo paramilitare al servizio dei narcotrafficanti, ma è pronto a vuotare il sacco per arruolarsi nella lotta antidroga...

Horacio Castellanos Moya, salvadoregno, ne sa qualcosa, essendo costretto a vivere all’estero dopo le minacce di morte ricevute in patria. Con cinque romanzi e due raccolte di racconti, tutti di grande livello, ha saputo creare un mondo proprio cambiando continuamente registro silistico e si è imposto come uno degli autori più importanti e originali del Centroamerica, erede dei maestri del “realismo sucio” Arlt e Onetti. Di lui Roberto Bolaño ha detto: 
“Castellanos Moya è un malinconico e scrive come se vivesse nel cratere di qualcuno dei tanti vulcani del suo paese. Questa frase sa di realismo magico. Eppure non c’è niente di magico nei suoi libri, salvo forse la sua forza stilistica”.


Pulp libri   
©   Raul Schenardi

 intervista a Horacio  Castellanos  Moya
 

Orrore e divertimento. Possibile?

Maurizio Garreffa -


.:: Orrore e divertimento. Possibile? ::.


Appronfondimento sullo stretto rapporto esistente tra orrore e divertimento, nella narrativa horror, nella cinematografia basata sulle opere di Stephen King, in psichiatria e medicina.
 
"Nessun organismo vivente
 può mantenersi a lungo
 sano di mente in condizioni
 di assoluta realtà."
(Shirley Jackson)
Scrivere di paura non è una cosa da ridere.
Ci insegnano che far divertire è difficile, ma non è che mettere paura alle persone (in questo caso ai lettori) sia semplicemente nascondersi dietro un angolo buio e gridare "bu!" al momento opportuno. Come dice Stephen King, "il sangue non è una questione di splatter", ma tutto ha un senso. Il noto autore americano si riferisce alla sua opera prima, Carrie, dove la presenza del sangue la fa da padrona: Carrie è un romanzo breve che parla di una ragazza con capacità telecinetiche, ma i momenti cruciali della storia sono conditi dalla presenza dell'idolo rosso, il sangue appunto. King afferma che è un po' come un marchio di fabbrica per chi scrive thriller e, soprattutto, horror. Ma la lezione del noto autore è che non bisogna essere degli splatter, il sangue deve significare qualcosa, che sia simbolico oppure no.

giovedì 14 ottobre 2010

dal "Seminario sui luoghi comuni" di francesco pacifico

Francesco Pacifico -

7 ottobre 2010

31. Movimento

Questa pagina di Bolaño, tratta dal diario di Garcia Madero, il giovane poeta che domina la prima sezione dei Detective selvaggi, racconta parte di una movimentata vigilia di Capodanno a casa dell’eccentrica famiglia della sorelle Maria e Angélica. Racconta forse la parte in cui accadono meno cose: il suo scopo mi pare infatti restituire soprattutto la sensazione di una casa piena di gente. Ci sono nove personaggi, di varia età, intensità e condizione economica: Pancho e Angélica, la domestica, Jorgito, Maria, Lupe, il narratore Garcia Madero, Quim il capofamiglia e sua moglie. Per raccontarne il movimento Bolaño attribuisce a ciascuno compiti semplici. Pancho e Angélica si infrattano in una frase, la domestica sta tra i piedi di tutti in due frasi. Jorgito subisce dai genitori in due frasi. Due frasi per la partita a carte degli altri tre ragazzi, quindi una breve riflessione sul passato, sui vecchi tempi in cui Pancho e Angélica si infrattavano nella dependance. Poi, come si conviene a un romanzo sudamericano, la moglie snervata chiede il divozio al marito scapestrato ma dal cuore d’oro, il quale dà a vedere di non prenderla sul serio. Qualcuno si mette a piangere. Fin qui il riassunto che faccio è lungo quanto il brano: tutto è ridotto al modo più semplice per raccontarlo, e non per sciatteria: perché forse l’unico modo per dare la sensazione del movimento caotico di varie persone in uno stesso brano è semplificare il racconto, dire per una volta le cose come stanno e interessarsi solo della sensazione di confusione. Ossia, la confusione viene ottenuta con la chiarezza, invece di usare metafore o un’abbondanza di dettagli. Che infatti quando ci sono non sono molto più che un documentario sui ragni, una busta con la gratifica di fine anno, un’osservazione sulla situazione di pericolo in cui si trova la famiglia che sembra però solo una battuta (“per il momento non ci hanno ancora tagliato il telefono”). E infine, con una battuta stupida e solenne che pare uscita da Wes Anderson, Quim che ringrazia il giovane Garcia Madero per aver deciso di passare la notte lì con loro per condividere il momento di difficoltà in cui si trovano: “Non mi aspettavo di meno da te, Garcia Madero” (detto, diciamo, da Bill Murray), e “Sono a vostra disposizione” (detto, diciamo, da Jason Schwartzman). La capacità di rendere questa piccola massa di persone e desideri e situazioni è un tesoro prezioso. Una scrittura vasta, piena di trovate e risorse come quella di Bolaño dimostra la sua tenuta proprio dove compaiono strategie del racconto di semplicità assoluta. C’è un tempo per descrivere minuziosamente una singola azione, o un pensiero, o la copertina di un vecchio libro di poesie, e c’è un tempo per far muovere sulla pagina molti personaggi concentrandosi solo sulla leggerezza, sul soffio. È il tipo di sicurezza di chi non ha bisogno di dimostrare sempre quanto sa scrivere bene.



Da I detective selvaggi
di Roberto Bolaño
Pancho si chiuse con Angélica nella casetta. La domestica arrivò sul tardi e si mise a fare le pulizie infastidendo chiunque le capitasse a tiro. Jorgito voleva andare a casa di certi suoi amici ma i genitori non lo lasciarono. Maria, Lupe ed io ci mettemmo a giocare a carte nell’angolo del giardino dove avevano avuto luogo le nostre prime conversazioni. Per un istante ebbi l’illusione che stessimo ripetendo gli stessi gesti di quando ci eravamo appena conosciuti, di quando Pancho e Angélica si chiudevano nella casetta e ci ordinavano di uscire, ma ormai era tutto diverso. All’ora di pranzo, al tavolo di cucina, la signora Font disse che voleva il divorzio. Quim rise e fece un gesto come per dare a intendere che sua moglie era impazzita. Pancho si mise a piangere. Poi Jorgito accese la tele e lui e Angélica si sedettero a guardare un documentario sui ragni. La signora Font servì il caffè a quelli di noi che erano rimasti in cucina. La domestica prima di andarsene avvisò che il giorno seguente non sarebbe venuta. Quim parlò con lei per qualche secondo, nel cortile, e le diede una busta. Maria domandò se fosse una richiesra d’aiuto per qualcuno. Per Dio, figlia, disse Quim, per il momento non ci hanno ancora tagliato il telefono. Era la gratifica di fine anno. Non so in quale momento, Pancho se ne andò dalla casa. Non so in quale momento, io decisi che sarei rimasto a passare la notte lì. So solo che Quim, dopo cena, mi prese da parte e mi ringraziò del gesto.
- Non mi aspettavo di meno da te, Garcia Madero. – disse.
- Sono a vostra disposizione. – risposi stupidamente.

minima & moralia  7 ottobre 2010

 

martedì 12 ottobre 2010

il Mandala di julio Cortázar

   Raul Schenardi   


 Julio Cortázar
profilo di Raul Schenardi

“La verità, la triste o gioiosa verità, è che mi piacciono sempre meno i romanzi, la narrativa come si pratica di questi tempi. Quello che sto scrivendo adesso (se un giorno o l’altro lo finirò) sarà qualcosa come un anti-romanzo.”

Così Julio Cortázar in una lettera a un amico. Il libro, Rayuela, sarebbe uscito tre anni dopo, nel 1962 (Il gioco del mondo nella traduzione italiana di Flaviarosa Nicoletti Rossini del 1969). Sulla copertina, disegnata dall’autore, l’illustrazione del gioco infantile cui allude il titolo: un rettangolo tracciato per terra e diviso in sei caselle che bisogna occupare, saltellando su una gamba dopo avervi gettato un sasso, per raggiungere il traguardo del Cielo. (Rivelatore il titolo primitivo che Cortázar poi cambiò, giudicandolo “un po’ pedante”: Mandala.) Subito baciato dal successo e tradotto in varie lingue, entrò di prepotenza nel ristretto numero di opere – Cent’anni di solitudine in testa – che a partire dalla fine degli anni Sessanta hanno forgiato l’idea che ci si è fatti in Europa della letteratura latinoamericana, a controbilanciare l’impressione che tutto quanto proveniva di lì fosse sotto il segno del barocco e del realismo magico.

Soprattutto era una conferma, quasi un inveramento, di posizioni che si affacciavano allora nel panorama critico internazionale: proprio nel 1962 uscivano Opera aperta di Eco e l’edizione italiana di un testo del ‘57 dal titolo altrettanto battagliero, La hora del lector, di Castellet, entrambi imperniati sull’importanza del ruolo del lettore nella genesi dell’opera letteraria. Erano in fondo le medesime preoccupazioni di Cortázar, espresse con chiarezza in uno dei frammenti metanarrativi più pregnanti di Rayuela:

a poison cup

M. Ward    

a poison cup


Uno
Uno
Uno
uno o due non servono a niente
perche' lo voglio tutto

E un sorso
Un sorso
Un sorso o una cucchiata non servono
No, lo voglio tutto

E spero
Spero
Spero che tu sappia cosa sto pensando ora
Voglio tutto il tuo amore
Ho bisogno di tutto il tuo amore

Lei disse " se l'amore
Se l'amore
e' una tazza di veleno
allora bevila tutta

Perche' un sorso
Un sorso
o una cucchiaiata a nulla servono
non ti servono a niente
se non a incasinarti ancora di piu' "

E io spero
Io spero
Io spero che tu sappia cosa cio' significa
ora ti daro' tutto, ogni cosa
ora ti daro' tutto, ogni cosa
One
One
One
One or two won't do
Cos I want it all

And a sip
A sip
A sip or a spoonful won't do
No, I want it all

And I hope
I hope
Hope you know what I'm thinking of
I want all of your love
I need all of your love

She said "If love
If Love
Is a posion cup
Then drink it up"

"Cos a sip
A sip
Or a spoonful won't do
Won't do nothing for you
Except mess you up"

And I hope
I hope
Hope you know what this means
I'm gonna give you everything
I'm gonna give you everything

M. Ward
 

  

i buoni lettori sono cigni

  Jorge Luis Borges / E. Vila-Matas  




"A volte credo che i buoni lettori siano cigni anche più tenebrosi e rari che i buoni autori... Leggere, per intanto, è un'attività successiva a quella di scrivere: più rassegnata, più civile, più intellettuale."
(J.L.Borges)     tratto dal sito L'Aleph di Borges 
 

Estaba claro que en la frase había una confianza en un tipo de lector activo,
parecido a ese tipo de escritor exigente en el que Roberto Bolaño
percibía una disposición intelectual que le llevaba a ver, en todo giro 

del destino, un problema de ajedrez o una trama policiaca a clarificar.
Enrique Vila-Matas -  El fondo eterno 

©




 
 

domenica 10 ottobre 2010

le poesie di nerina garofalo

  Nerina Garofalo

La matta femmina

Era perfetta l’impietosa
forma che assumeva
e non osava dismettere
o scucire perché lasciasse
fuoriuscire il senno dalla fodera

L’esatta millimetrica
concentrica attinenza
al suo non senso
si nutriva al suo seno scoperto
e lo lasciava vuoto

Straziato sarebbe stata
l’immagine di un vertice
tirato via alla sua aderenza
e reso vigile e sensibile
e scoperto

Un canto che si fa
strada pietrosa in gola
all’uccellino a sé persino
controverso innesto
fra l’esserino e l’universo.



Regole

Le mestruazioni, mia madre, le chiamava regole.
Come se fosse l’orologio biologico a dare norma all’esistenza.
Dal primo accenno di un possibile contenimento
fino alla sparizione progressiva di ogni senno.

Come se poi la donna senza lune fosse di fatto
autorizzata a dissennare. Come se le camelie messe al petto
fossero segno distintivo di riserbo, di pausa lenta, di cantuccio.
Di malumore senza freno, di pericolo, di danno.

Così per regola la donna fatta sangue
neanche poteva dedicarsi alle sue piante
come una maga infetta, un corpo che abortiva ogni 28.

A quindici anni l’ho preteso che le dita maschie
sapessero mischiarsi al sangue
deve esser stata la componente dominante
che pretende rispetto nello scarto
costanza approssimata anche allo spasmo
che chiamano dolore.

Ed anni dopo ho incontrato una regina
che delle donne amava tutto, voleva tutto, tutto vestiva
e tutto ricreava, persino quell’assenza
di un sesso che si alza
denominato clitoride il suo centro.

Però ho sentito che diceva:
non posso sopportare
l’odore delle lune nelle donne.

tratte da Poetarum silva  
© Nerina Garofalo (il suo blog: http://dirtyinbirdland.splinder.com/)

di lei viene detto nel sito Poetarum silva 

Nerina Garofalo ha 45 anni e vive a Roma.
Per lavoro, ma anche per passione, si occupa di narrazione nelle organizzazioni, nuove tecnologie e sostenibilità (direi alla Kundera). Nel 2004 nasce maiko_dirtyinbirdland, la metà poetica di Nerina.
Il suo regno di parole è  http://dirtyinbirdland.splinder.com/   




il nobel a Vargas Llosa

  Francesca Lazzarato-

ottobre 2010
LA SUA LINGUA ABBRACCIA LE DUE RIVE DELL'ATLANTICO
il nobel a Vargas Llosa
”Bolaño non fu in alcun modo ( salvo in alcune intemperanze dell’ultima ora) un detrattore del boom, quanto precisamente il suo continuatore più disciplinato: il suo lavoro non solo è inimmaginabile senza una lettura sottobraccio di Borges, ma neanche senza la trasparenza colloquiale della prosa di Cortàzar, o senza le astuzie narrative e le architetture romanzesche di Vargas Llosa, senza dubbio il romanziere in vita, in lingua spagnola, più ammirato da Bolaño, e uno di quelli che assimilò con più attenzione”
Javier cercas - print the legend
È la prima volta che il massimo riconoscimento letterario va a uno scrittore del Perù: «per la cartografia delle strutture del potere e le immagini taglienti della resistenza, rivolta, sconfitta degli individui», che ha saputo disegnare. Questa la motivazione dell'accademia di Stoccolma. Nel 1990 Vargas Llosa fu in lizza per le presidenziali, poi vinte da Fujimori. La delusione lo spinse a assumere la cittadinanza spagnola. Il suo esordio è legato a racconti datati 1959, ma la fama arrivò con il romanzo La città e i cani, bruciato pubblicamente in piazza a Lima

sabato 9 ottobre 2010

intervista a mario bellatin

intervista a Mario Bellatin

settembre 2007
"La letteratura di Mario Bellatin condiziona la lingua, la fa balbettare e la spinge al silenzio; scommette tutto sul nonsense, e questa diversità è sufficiente per rendere conto dell'universo, dei suoi terrori e glorie
Gabriel Ríos

Ciò che voglio conseguire è che si riconosca l'autore, lo stesso autore dietro tutti i libri, indipendentemente dal fatto che i tem isiano distinti, delle differenti situazioni, temi, e obiettivi di ogni libro. Che si senta che c'e' la stessa struttura che li sostiene.
Mario Bellatin

Consideri la tua narrativa minimalista ?
Mi fa molta paura etichettare la mia opera e ancor più me stesso. Perchè, in qualche modo, quando si compie questo esercizio si riducono le possibilità dell'opera sottomessa a ulla determinata idea che si impone. Credo che  non vogliano tanto etichettarla come minimalista, perchè il minimalismo è una corrente che ha caratteristiche sue proprie, quanto come scrittura che permette l'esistenza dei vuoti, del silenzio, della presenza del lettore come autore dei testi. E' una scrittura  come  una sorta di impalcatura dove pretendo che il lettore transiti, e chiunque vada scoprendo un mondo determinato, un mondo proprio  a seconda di chi sia il lettore, è un libro a misura di tutti i lettori


 Altra cosa che si distingue nella tua opera è la creazione di mondi speciali, universi propri e chiusi con regole proprie che, tuttavia, lasciano molte questioni aperte al lettore.
 Credo che sia anche un mondo abbastanza abituale e quotidiano. E' costruito in modo taleda invitare a entrare nel suo universo; perchè si potrebbe pensare, parlando di uno spazio particolare, a uno spazio estraniato dalla realtà, come fosse una cosa esotica, o uno spazio sperimentale, ma io credo di no, che sono testi che mantengono una coerenza abbastanza tradizionale e che qualsiasi lettore possa essere catturato da essi


In qualche modo resta questa stranezza…
Io credo che qui la stranezza  consiste nel fatto che il lettore sta aspettando una forma determinata in cui gli vengano raccontati gli accadimenti che appaiono nel libro, e quindi, si stabilisce uno schock nel momento in cui il contenuto viene costruito in una forma perfino più amabile per il lettore, che apparentemente non pone ostacoli di carattere retorico o intelletuale, ma che è costruito con una logica che apparentemente è abbastanza innocente, amabile, ripeto la parola, seduttiva, affinchè qualcuno entri in quel mondo. Questo succede in un modo che quasi non lo avverti, o lo avverti quando sei già dentro l'opera e non succedono cose che tu pensi debbano succedere, e  questo mi pare importante nella letteratura, che non si sappia mai cosa succederà, perchè questo è un po' l'idea di confrontarsi con un'opera d'arte, che tu non sappia mai come sarà il tuo itinerario come lettore, che ci  siano sempre delle sorprese e che queste sorprese consentano che tu venga coinvolto da quel testo che hai davanti

C'e' qualcosa di allegorico nella tua narrativa?
Non lo so, io a volte la leggo, e questo libro in particolare (El gran vidrio),  in un modo anche abbastanza realista. E sento che nel dire che la mia letteratura è allegorica cadremmo lo stesso in questo destino di dare un'etichetta che  impedirebbe di vedere tutte le opzioni che essa puo' avere. Credo che certi aspetti possano essere letti in forma allegorica, in una forma non realista per dirlo in qualche modo, più che allegorica, che non aderisce alla realtà; però nello stesso tempo sorge la domanda Che cos'è la realtà? credo che questo sia uno dei libri più reali che abbia scritto e, curiosamente si crea il meccanismo contrario. Quando pensiamo che siamo in un mondo totalmente immaginario, un universo che obbedisce aolo alle sue regole, curiosamente stiamo esibendo la realtà in una forma molto più profonda di di quanto potremamo farlo se ripetessimo ciecamente un modo tradizionale di scrivere, di costrure ciò che presumiamo essere un romanzo
http://jojuzapalps.wordpress.com  18 settembre 2007
©

  Mario bellatin è nato a Città del Messico, da genitori peruani, ed ha passato gran parte della sua vita in Perù. Ha studiato teologia per due anni e si è laureato in scienze della comunicazione all'auniversità di Lima.nel 1987 ottiene una borsa di studio per studiare sceneggiatura a Cuba nella scuola internazionale del cinema latinoamericano. Pubblica i primi cinque romanzi in perù, tra il 1986 e il 1995, quindi si trasferisce a Cittò del Messico.
La sua opera è stata tradotta in tedesco inglese francese e italiano (Dama cinese). è in corso la pubblicazione di Salone di Bellezza.

un sito ricco di informazioni e link: http://www.losnoveles.net/bellatin.htm    
 

giovedì 7 ottobre 2010

Minacciato dalla Ndrangheta Musolino di "Calabria Ora"

  giornalisti di Calabria

Minacciato Musolino di "Calabria Ora"

REGGIO CALABRIA – E’ il cronista di giudiziaria Lucio Musolino, redattore di Reggio Calabria del quotidiano “Calabria Ora”, l’ennesimo destinatario di intimidazioni nei confronti di giornalisti. Qualcuno, verso le 2 di stanotte, ha lasciato su un tavolino della veranda della sua abitazione, nella frazione Catona di Reggio Calabria, una bottiglietta contenente liquido infiammabile ed un bigliettino dal contenuto inequivocabile: «Smettila di scrivere di ‘ndrangheta. Segui Pollichieni, altrimenti fai una brutta fine. Questa è per te, non per la macchina».
Il giornalista, che da anni si occupa di cronaca nera e giudiziaria, è impegnato da mesi a dare il suo contributo ai percorsi di conoscenza e di contrasto al fenomeno criminale a Reggio Calabria e dintorni attraverso l’approfondimento dei risvolti connessi alle operazioni antimafia “Meta” e “Crimine”. Proprio di queste due inchieste, infatti, si è occupato in maniera incisiva il professionista in servizio alla redazione reggina di “Calabria Ora”.
Musolino ha fatto scoperto bottiglietta e lettera rincasando, verso le ore 4 di stamani. Verso le 2, invece, era stata la madre ad udire strani rumori nel cortile. Il giornalista ha, quindi, provveduto a denunciare immediatamente l’episodio alla Polizia di Stato, che conduce le indagini, ed all’Arma dei Carabinieri.
Totale solidarietà al collega Lucio Musolino viene espressa dal segretario del Sindacato dei Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, componente della Giunta Esecutiva Fnsi, secondo il quale “è inammissibile continuare ad assistere, quasi quotidianamente, ad episodi di violenza, palese o velata da vergognose minacce, nelle regioni del sud ed in particolare in Calabria”.
Carlo Parisi, assieme al segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, appena il 25 marzo scorso ha incontrato, al Viminale, il Capo della Polizia, Antonio Manganelli, che si è assunto l’impegno di dare “una risposta ai singoli episodi, dopo aver scandagliato ogni ipotesi” assicurando che “i giornalisti non sono soli, né in Calabria, né altrove”. Alla luce del frequente ripetersi di episodi di vigliacca intimidazione, Carlo Parisi invita, quindi, investigatori e forze di polizia ad “intensificare 
l’azione di controllo e di accertamento delle responsabilità per garantire sicurezza e incolumità a quanti non fanno altro che svolgere il proprio mestiere di giornalista”.
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