lunedì 4 ottobre 2010

3 cortocircuiti per il writecamp

  fabrizio venerandi -


Sono andato al writecamp@ebookfest pensando ad alcuni cortocircuiti legati al tema del  writecamp
Il primo cortocircuito ha a che fare con la nozione di “scrittura nativa digitale” e di “scrittori nativi digitali”. 
Mi chiedo perché non si arrivi quasi mai all’anello successivo, cioè perché si parli così poco di “narrativa nativa digitale“. Si parla dello scrittore, si parla dello strumento, ma non si parla del prodotto di questa scrittura digitale. È un prodotto narrativo nuovo rispetto al raccontare tradizionale? O tutti questi scrittori sono  in realtà digitali perché scrivono con un computer e mettono i loro pezzi in rete, ma continuano a pensare ad una forma narrativa che -prima o poi- andrà stampata su carta e letta in maniera tradizionale?
Come cambia l’ideazione e la messa in pratica di una narrativa nativa digitale, intesa come qualcosa che sfrutta il suo essere non-analogica?
Io ho una idea al riguardo, che è quella delle polistorie che curo per quintadicopertina, ovvero concepire il narrare fabule come la creazione di ambienti narrativi virtuali, al cui interno il lettore “naviga” tramite ipertesti.
Ma è solo una idea di narrativa nativa digitale, e sono curioso di scoprire come gli scrittori digitali ne troveranno altre.
Il secondo cortocircuito è invece legato al termine stesso di scrittori nativi digitali. È un termine che sembra riferirsi a qualcosa di assolutamente contemporaneo. Qualcosa legato al mondo dei blog, di friendfeed, twitter.
Mentre andavo da Genova a Riva del Garda mi sono chiesto quando è stato che ho cominciato ad essere uno ‘scrittore nativo digitale’, e dopo aver fatto due conti mi sono reso conto che erano passati 23 anni.
Ventitré anni fa mi collegavo con il mio Apple ][+ e il mio modem 300 baud alla BBS genovese Elios e lì c’era un area di scrittura e lettura dove si leggevano i racconti scritti dagli altri e dove avevamo iniziato a scrivere un libro collettivo, il libro telematico. Ventitré anni fa io ed altri ragazzi facevamo scrittura nativa digitale collettiva, e oggi la cosa sembra ancora una grossa novità.
Forse la scrittura digitale ha dei problemi a creare una storia di se stessa. Tanto è pronta ad esserci nella contemporaneità, tanto la sua storia si dimentica e non riesce a creare degli strumenti, anche critici, per interpretare il proprio grado di innovazione.
Non so se avete presente Wired. È una rivista, interessante, e i suoi articoli trasudano questo mito della contemporaneità, dell’essere sempre connessi ad un reale aggiornabile e in mutazione. C’è anche una rubrica che segnala le cose Wired, ovvero contemporanee e “giuste”, da quelle Tired, cioé quelle che hanno annoiato o addirittura le Expired.
Il grosso cortocircuito è proprio qua: la scrittura digitale è per sua natura wired, perennemente connessa e diventa velocemente ‘tired’, obsoleta.
Ma si scrive per creare memoria delle cose e per conservarle. La scrittura vince quando supera la contemporaneità per durare nel tempo.
La scrittura digitale invece quando invecchia diventa debole come le macchine e le piattaforme su cui è stata scritta. Le BBS sono (quasi) tutte chiuse, blog nascono e chiudono cancellando migliaia di scritture digitali incapaci di fare storia di sé.
Il rischio di questo cortocircuito è di restare in un perenne “grado zero” della scrittura digitale.
Il terzo cortocircuito è legato al cambiamento della figura del lettore e dello scrittore, di come possono cambiare queste figure (e le loro relazioni) nell’epoca del digitale.
Per parlare di questo terzo cortocircuito racconterò di una specie di fantascienza a rovescio, ovvero dei MUD. I MUD sono delle cose nate negli anni settanta del secolo scorso e poi sviluppatisi soprattutto negli anni ottanta e novanta. Sono dei mondi a cui chiunque può connettersi e interpretare un personaggio che si relaziona con gli altri personaggi connessi.
Nati come giochi, hanno anche avuto uno sviluppo sociale. In pratica sono i padri di cose come Wow o Second Life.
In Italia due esempi importanti sono Little Italy e The Gate.
Sono entrambi chiusi, e poi spenderò una parola su questo.
Cosa c’entrano con la scrittura?
Beh, i Mud non hanno grafica. Questi mondi in cui si vive con il proprio personaggio sono descritti con prosa, descrizioni, dialoghi, narrazioni. Viene descritto l’ambiente in cui si è, poi vengono descritte le cose che ci sono, poi le persone che ci sono. Tutto in prosa, come se fosse un racconto.
A questo punto io posso dare dei comandi al mio personaggio, ad esempio posso dirgli di prendere un bicchiere. Il computer mi dirà che ho preso un bicchiere, ma contemporaneamente questa mia azione creerà una narrazione in tutte le altre persone che sono in quel momento nello stesso posto. Leggeranno che Fabrizio si è alzato e ha preso un bicchiere in mano.
A questo punto io potrò dire di salutare i presenti, e tutti leggeranno che Fabrizio ha detto ciao, e potranno rispondermi dando vita ad un dialogo. Non una chat: un vero e proprio dialogo narrativo, come quello di un romanzo, solo che succederà in quel momento.
Ecco il cortocircuito: siamo al ribaltamento completo della costruzione di una storia. Non abbiamo più una fabula e uno scrittore che attraverso un intreccio la fa diventare libro. Qua abbiamo dei personaggi che fanno cose e il loro fare cose, attraverso degli strumenti creatori di intreccio, fa nascere una fabula. Il procedimento inverso.
The Gate era uno dei più affascinanti strumenti narrativi in cui sia entrato. Ai lettori era richiesto di interpretare il personaggio dentro al MUD, non si poteva parlare della Real Life mentre si era connessi. I personaggi partecipavano ad una storia in progressione, programmata con attenzione perché la simulazione fosse coerente e quindi narrativamente convincente.
I personaggi manipolavano questo mondo, potevano costruire cose, avevano una forte interazione con un mondo che modellavano sfruttando gli strumenti dati dai programmatori.
Era nato come gioco, ma era di fatto un continuo generatore di narrativa.
Fantascienza all’incontrario dicevo: parliamo di una macchina generatrice di fabule in cui non è possibile distinguere autore, lettore e personaggio. Un futuro degli anni ottanta.
Chiudo con una parabola che riprende i tre cortocircuiti. The Gate non esiste più, ha chiuso. Nel momento che tutti sono creatori di un mondo narrativo (e sociale) anche il conflitto  diventa un elemento di questo mondo e può portare all’implosione della storia stessa. Se non esiste uno scrittore ed un lettore; Renzo può litigare con Lucia e i Promessi Sposi chiudono, non esistono più.
E nel momento in cui The Gate chiude, chiude anche la sua scrittura digitale e di nuovo emerge l’incapacità di questo media di lasciare traccia della sua storia.
Il paradosso è che magari tra qualche anno potrà uscire un libro, di carta, in cui qualcuno racconta la fabula di The Gate o delle BBS o di un blog chiuso all’improvviso, e quel libro di carta sarà tutto quello che resta della scrittura digitale che gli sta dietro.
Digita volant, scripta manent?

blog di fabrizio venerandi  27 settembre 2010
© fabrizio venerandi

 

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