sabato 2 ottobre 2010

Il segreto di Rivera Cristina Garza

  Francesca Lazzarato

settembre 2010
Un libro di Cristina Rivera Garza


 Il segreto di
Rivera Cristina Garza
Tarduzione di Raul Schenardi
Voland Editore
settembre 2010
  




 Manoscritti rubati nel segno della follia
«L'osso iliaco, uno dei tre che formano la cintura pelvica. Un osso largo a forma di campana, le cui ali si dispiegano ai due lati della spina dorsale. Il punto superiore delle ali dell'ilio viene chiamato cresta iliaca. Da lì, da Ilio, dalla sua cresta, Ulisse salpò per tornare a Itaca dopo la Guerra». 
E da questo promontorio osseo, che sporge ben visibile dal fianco scarno di una ragazza, salpa anche La cresta de Ilión, terzo dei cinque romanzi di Cristina Rivera Garza, appena uscito anche da noi nell'ottima traduzione di Raul Schenardi con un titolo diverso ma calzante, Il segreto (Voland, pp. 134, euro 13).
Della stessa autrice, nata nel 1964 in una cittadina di frontiera tra Messico e Stati Uniti, Mazamoros, l'editore Voland ha pubblicato nel 2008 lo splendido Nessuno mi vedrà piangere, con cui Il segreto presenta molti punti di contatto e altrettanto notevoli differenze. Come il romanzo precedente, anche questo ha fra i suoi temi fondanti la follia, l'istituzione totale (che in Nessuno mi vedrà piangere è l'immenso manicomio la Castañeda, fatto costruire nel 1910 da Porfirio Díaz, e qui è uno spaventoso cronicario a picco sul mare), il potere del linguaggio e la sua reinvenzione, il labile confine tra maschile e femminile.


Ma Il segreto segna anche, nel percorso della Rivera Garza, un punto di svolta singolamente audace, che Nessuno mi vedrà piangere, fornito di una trama relativamente compatta e di una scrittura immaginosa ma accessibile, anticipava in modo sotterraneo, senza però portarlo alle estreme conseguenze. Quello che stavolta ci viene sottoposto, infatti, è un testo «non consumabile», che cioè si oppone - secondo la definizione di Emily Hind, studiosa nordamericana che gli ha dedicato un'acuta analisi - alla memoria e al dominio del lettore e si sottrae a «una facile assimilazione o digestione», stabilendo regole proprie e uscendo per sempre dal territorio «della formula e dei libri light», cui la Rivera Garza si sente estranea.

Di fatto, Il segreto è un romanzo suscettibile di infinite interpretazioni (ciascuna delle quali contribuisce a «fare» il testo), che si apre con una scena semplice e intensa: una donna bussa alla porta di una solitaria casa sul mare, e il medico che ci vive la lascia entrare per via di un'improvvisa e inspiegabile ondata di desiderio. Solo dopo l'uomo scoprirà che si chiama Amparo Davila e che è una scrittrice in cerca di un manoscritto rubato: una creatura sfuggente che stringe un forte legame, cementato da una lingua liquida e inventata, con l'ex amante di lui.

Sempre più turbato dalla rivelazione che le due donne conoscono un suo presunto segreto, l'uomo indaga, va in cerca delle pagine perdute e tenta di rintraccia la vera Amparo, perché quella che conosce non è che un doppio, un'usurpatrice. E alla fine, solo alla fine, in due righe rivelatrici, il protagonista cede a quel segreto sconosciuto a lui stesso, sorprendendo il lettore con un'ammissione che lo rimanda all'Orlando di Virginia Woolf quanto al Come diventai monaca (Feltrinelli 2008) di César Aira, piccolo gioiello della letteratura argentina che scala le vette della «letteratura irrazionale». Procedendo per salti temporali e facendo a meno della verosiglianza quanto di passaggi logici tra una azione e l'altra, come per proporre a chi legge una sfida che richiede la massima partecipazione ed attenzione , Il segreto sfiora il romanzo nero, gioca con le detection, tenta il lettore con interpretazioni piscoanalitiche, si inoltra nei labirinti dell'identità di genere in un modo che non dispiacerebbe alla Béatriz Preciado del Manifiesto Contrasexual, e infine ci fa intravedere controluce quel vivere «alla frontiera» che segna gli scrittori del nord del Messico.

Ma l'aspetto più interessante del romanzo, il suo segno più forte, sta nel dialogo intertestuale stabilito dalla Rivera Garza con l'opera di Amparo Davila, che esiste davvero ed è a tutt'oggi uno dei segreti meglio custoditi della letteratura messicana. Nata nel 1928 e autrice di quattro libri di versi e tre raccolte di racconti (la sua intera, breve opera narrativa è stata pubblicata nel 2008 da Fondo de Cultura Economica, con il titolo di Cuentos Reunidos), la Davila è, senza esagerazione alcuna, una scrittrice prodigiosa, del livello di un Félisberto Hernandez (cui molto la accomuna), ammirata e lodata da Cortazar e tuttavia scomparsa dalla scena letteraria alla fine degli anni '70, per via di un volontario ritiro ma anche della corta memoria di editori e lettori.

È da una doppia rilettura (quella dei racconti di Davila, ma anche della sua sparizione) che Rivera Garza parte per costruire una sorta di originalissimo ipertesto in cui si affacciano i personaggi, i luoghi, le frasi ma soprattutto le immagini e il climax daviliani, esibiti e fatti propri, ma anche profondamente trasformati. Entrambe sono lontane dai canoni del realismo.

Ma mentre gli spiazzanti raccontini di Davila esprimono superbamente il dolore e il disagio delle donne, in una dimensione che parte dal fantastico per diventare eversiva e in fondo politica, il romanzo della Rivera Garza punta a dimostrare che le parole sono tutto e tutto controllano. Ovvero, come suggerisce la Hind, «la fiction determina la percezione umana del mondo e difficilmente esiste un mondo fuori dal linguaggio». Così, rinunciando a una «leggibilità» molto sopravvalutata e a ogni compiacenza nei confronti di convenzioni consolidate, l'autrice opta per una narrazione più fluida, instabile, ambigua di quella della Davila, pretende in eguale misura abbandono e impegno e ci ripaga con una inusuale molteplicità di livelli di lettura, con lampi di intensa poesia e con l'accesso a un complesso gioco metaletterario, che resta a lungo nella mente di chi vuole esplorarne i confini.

La vita di un uomo, medico in un ricovero per malati terminali, viene sconvolta dall’arrivo dell’ex amante, tradita e abbandonata, e da una giovane che dichiara di essere la scrittrice Amparo Dávila. Le due donne, arrivate a poche ore di distanza, iniziano a parlare tra loro utilizzando un linguaggio misterioso e sembrano stabilire un’intesa contro di lui. Entrambe conoscono forse l’unico, terribile segreto che nasconde. E la loro comparsa costringerà il medico a fare i conti con un passato irrisolto. Quale strano legame unisce le due donne? E soprattutto cosa tormenta il medico? Un libro intenso sul potere del linguaggio e sul trionfo dell’irrazionale.

Il manifesto   23 settembre 2010
© Francesca Lazzarato

scheda del libro

La vita di un uomo, medico in un ricovero per malati terminali, viene sconvolta dall’arrivo dell’ex amante, tradita e abbandonata, e da una giovane che dichiara di essere la scrittrice Amparo Dávila. Le due donne, arrivate a poche ore di distanza, iniziano a parlare tra loro utilizzando un linguaggio misterioso e sembrano stabilire un’intesa contro di lui. Entrambe conoscono forse l’unico, terribile segreto che nasconde. E la loro comparsa costringerà il medico a fare i conti con un passato irrisolto. Quale strano legame unisce le due donne? E soprattutto cosa tormenta il medico? Un libro intenso sul potere del linguaggio e sul trionfo dell’irrazionale. 
 Voland

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