venerdì 26 novembre 2010

Hermann Broch, I sonnambuli

  prefazione di  Milan Kundera-




Hermann Broch, I sonnambuli, 2010, 
a cura di M. Rizzante, 
prefazione di M. Kundera, 
postfazione di C. Fuentes, pp. 720, 
Isbn 9788857501659, prezzo dei tre volumi indivisibili Euro 35,00



la prefazione di Milan kundera:


IL PRAGMATISMO È LO SPETTRO CHE SI AGGIRA PER L’EUROPA


Broch ha compreso che vi è una necessità sotterranea che orienta la Storia, sebbene quest’ultima, a causa degli esiti imprevedibili e inevitabili della vita politica, può realizzare questa necessità in un grande numero di varianti. A Broch perciò non interessa una storia reale, che (per caso) ha avuto luogo. Egli non desidera scrivere un “romanzo storico”. Ciò che lo affascina è la forza sotterranea, invisibile, che plasma le persone e i loro pensieri. Ecco il senso del titolo, I sonnambuli: tutti i personaggi di Broch sono ipnotizzati da forze sotterranee e agiscono (come sonnambuli) senza poter spiegare razionalmente perché fanno ciò che fanno, perché dicono ciò che dicono.


La parola-chiave per cogliere la forza sotterranea che orienta il comportamento dell’uomo è per Broch la nozione di «valore». Egli concepisce il tempo europeo come un processo di «disgregazione dei valori», cosa che non deve essere compresa come un disconoscimento morale. L’umanità è in grado di commettere gli stessi orrori in tutte le fasi del suo sviluppo. L’indebolimento dell’influenza dei valori (che orientano a nostra insaputa il nostro comportamento) caratterizza per Broch la trasformazione esistenziale dell’uomo europeo.

Il primo romanzo della trilogia è intitolato Pasenow o il romanticismo. Pasenow, un giovane ufficiale, non può vivere senza credere nei valori tradizionali che ancora (sebbene indeboliti) restano all’umanità del suo secolo: religione, pietà, famiglia, disciplina, patria.

Il secondo romanzo è intitolato Esch o l’anarchia. Esch, un contabile, aspira a un ideale che, nel caos dei valori, non sa riconoscere. L’amor di patria? Oppure, al contrario, l’internazionalismo? Il socialismo? La religione? Egli è sempre pronto a sacrificarsi. Terrorista potenziale, martire potenziale, quest’uomo semplice, ma tutt’altro che stupido o cattivo, cambia spesso le sue convinzioni che, del resto, non è in grado né di spiegare razionalmente né di comprendere.

Il terzo romanzo si intitola Huguenau o il realismo. Con «realismo » si traduce in italiano (come in francese) la parola tedesca Sachlichkeit (la cui traduzione è, in effetti, complicata). Die Sa-che significa «la cosa». Dal punto di vista della Sachlichkeit, Huguenau, un commerciante, si libera dall’illusione dei valori e tratta il mondo in modo pratico, pragmaticamente,giudicando ogni cosa con freddezza e in base alla sua utilità.

Le tre epoche della trilogia di Broch: tre possibilità storiche dell’esistenza europea. Le date concrete, indicate nella trilogia, non sono molto importanti (queste tre epoche si possono realizzare anche sotto datazioni diverse). La cosa più importante è la loro successione che disegna un cammino.

Rileggendo I sonnambuli penso al tempo della mia giovinezza, che ora mi appare come “l’epoca di Esch”. Aderire a un valore, impegnarsi in suo nome, allora era considerato da tutti come una necessità morale. Penso a un amico francese, intelligente e pieno di spirito, che aveva proclamato il suo amore per Mao, e in seguito ha profuso lo stesso amore per il Papa; penso a un importante ideologo comunista che ha finito con l’abbandonare il marxismo per l’Islam, e potrei evocare tante altre simili conversioni che non hanno nulla a che fare né con l’opportunismo, né con la carriera, né con l’idiozia. All’“epoca di Esch” le persone non possono vivere senza battersi per qualche ideale, ma, allo stesso tempo, non sono in grado di comprenderlo.

Quando in Europa gli stati comunisti sono crollati, le credenze religiose, nazionali e politiche hanno cessato, in modo assai discreto, di giocare il grande ruolo che avevano un tempo. La sinistra? La destra? Vivono una relazione di buon vicinato; litigano educatamente per guadagnare un po’ di potere, ma non certo per cambiare il mondo. Così ho cominciato a capire che ciò che ci minaccia non è più rappresentato né dalla guerra né dalla rivoluzione, e che ci troviamo nell’epoca del pragmatismo, in cui il solo senso che la vita può avere è quello del profitto. Il profitto inteso non come un valore egoistico e abietto, ma come la sola prova che il lavoro è stato ben fatto, che un individuo non ha vissuto per niente, che la sua vita ha avuto un senso.

Scrivo questo testo mentre l’Europa è colpita da una grande crisi economica con la prospettiva di immani catastrofi. Leggo l’intervista con un grande economista. Da dove viene la crisi? Dal «mercato» e dai suoi «speculatori », risponde. Sì, ma come combattere gli «speculatori»? Risposta: Il compito dei mercati finanziari è quello di cercare di guadagnare denaro. Non si può rimproverarli di speculare. È evidente: siamo entrati nell’“epoca di Huguenau ”.

Con un’euforica fiducia in se stesso Broch, durante la stesura dei Sonnambuli, afferma (in alcune lettere) che il suo romanzo rappresenta una nuova tappa della storia del romanzo. Dopo la lunga era del romanzo «psicologico», scrive, è giunto il tempo del romanzo «gnoseologico» (...).

Quando Sartre, nel dopoguerra, parla della necessità di cogliere non i caratteri e la loro psicologia, ma le situazioni fondamentali nelle quali si rivela l’esistenza umana, definisce così, nei termini che gli sono propri, la grande svolta compiuta vent’anni prima da Broch. Ma è soprattutto il grande romanzo latinoamericano che dagli anni cinquanta e sessanta continua sulla strada aperta da Broch. Penso a Ernesto Sabato che, nel 1974, afferma, in modo assolutamente brochiano, che «nel mondo moderno abbandonato dalla filosofia, frazionato in centinaia di specializzazioni scientifiche, il romanzo resta l’ultimo osservatorio da dove si può abbracciare la vita umana come un tutto ». Penso ad Alejo Carpentier, al suo Secolo delle luci, al suo Concerto barocco. Penso a Salman Rushdie (così vicino ai grandi latinoamericani), penso ai suoi romanzi polifonici dove diverse epoche storiche si confrontano. E penso soprattutto a Carlos Fuentes. Quando la «Frankfurter Allgemeine » nel 1999 domandò a vari scrittori di tutto il mondo quale fosse, secondo loro, l’opera letteraria del secolo, egli rispose: I sonnambuli.


© Traduzione di Massimo Rizzante


La trilogia romanzesca dei Sonnambuli (1931-32), si apre con il romanzo Pasenow e il romanticismo, cui seguono Esch o l’anarchia e Huguenau o il realismo. La storia di ogni romanzo si svolge quindici anni dopo quella del precedente: 1888, 1903 e 1918 (le date fanno parte del titolo). I tre romanzi affrontano tre momenti cruciali della storia tedesca – l’inizio, l’apogeo e la fine dell’impero guglielmino.
Hermann Broch (Vienna, 1886 - New Haven, 1951). E' considerato da autori come Milan Kundera e Carlos Fuentes il più grande romanziere del Novecento.


Mimesis   - - - -

recensione di Claudio Magris del 1997

Torna il capolavoro del grande scrittore austriaco: una violenta requisitoria contro la mediocrita' dell'uomo moderno e lo sfacelo dei valori Broch, l'Europa dei SONNAMBULI Un romanzo in tre parti scritto negli anni della follia totalitaria La peggiore colpa non e' l'ateismo ma vivere e peccare nell'ignoranza Biagio Marin ricordava spesso che, quando era bambino, la nonna gli diceva: "Ricordati, chi ignorantemente pecca, ignorantemente si danna".
Il poeta, giustamente, considerava quelle parole uno dei grandi insegnamenti morali della sua vita. Se talvolta - in certe circostanze in cui, nonostante ogni sforzo, non e' veramente possibile rendersi conto della situazione e dei valori realmente in gioco - la cosiddetta buonafede puo' essere una scusante, spesso essa e' invece un'aggravante, perche' e' il risultato di una lunga opera di corruzione della propria coscienza, stordita, inebriata o appannata dall'abitudine alla menzogna e al male, sino a diventare incapace di distinguere il bene dal male, sino a convincersi di essere nel giusto anche quando si macchia di colpe perche' non vuole guardare in faccia la realta', la difficolta' e la responsabilita' di scegliere, la necessita' di giudicare e di essere giudicata.
Se si commette una violenza o un'ingiustizia sapendo di fare il male, c'e' almeno la possibilita' di correggersi e di riparare i torti, possibilita' che non esiste quando si e' cosi' ottusi da non accorgersi di cio' che si fa o cosi' arroganti e ciechi da ritenerlo giusto. Quasi tutti i peggiori colpevoli sono in un'orrida buonafede e compiono i loro delitti ignorantemente; i razzisti che linciano uno straniero disgraziato sono convinti che, in un modo o nell'altro, questi si meriti la loro violenza e che sia un bene estirparlo dalla societa'. Se ci sara' un Giorno del Giudizio, questa ignoranza, una sorta di oscena innocenza, verra' probabilmente messa a loro carico, come riteneva la nonna di Marin. Tale ignoranza non riguarda solo la dimensione morale, ma investe, cosa ben piu' importante, il rapporto con l'intera realta', con l'esistenza e la storia; e l'incapacita' di guardarle in faccia senza remore, di sostenere la loro nuda e bruciante tensione.

Quanto piu' lacerante si fa questa tensione, tanto piu' gli uomini che temono di non reggervi se ne difendono - riuscendovi - cercando di offuscarne la percezione, di vivere come sonnambuli. Uno dei grandi scrittori del secolo, Hermann Broch, intitola infatti I sonnambuli la sua trilogia narrativa (1929 - 1932) - ora ripubblicata da Einaudi nella ormai classica versione di Clara Bovero con una introduzione di Luigi Forte - che abbraccia, con grande potenza poetica, profondita' speculativa e audace sperimentazione stilistica, la civilta' del Novecento e la sua crisi di valori.

Nato a Vienna da una famiglia d'origine ebraica nel 1886 e morto negli Stati Uniti nel 1951, cresciuto nell'atmosfera plurinazionale dell'impero e dell'ex - impero, nella cui bancarotta vedeva riflettersi e concentrarsi lo sfacelo e il vuoto dell'intera civilta' occidentale, Broch si forma in quella straordinaria cultura viennese fra le due guerre caratterizzata dalla simbiosi di poesia e scienza e da una letteratura - come quella dei suoi amici Musil o Canetti - che si propone di essere anzitutto conoscenza della realta'.

Poesia e conoscenza e' infatti il titolo che raccoglie i suoi saggi. Studioso di filosofia e di matematica, Broch frequenta il Circolo di Vienna e si nutre del neopositivismo logico, che gli insegna per sempre la distinzione tra le sfere di valore e soprattutto fra cio' che e' dimostrabile razionalmente e cio' che puo' essere solo oggetto di fede o esigenza del cuore. Quella scuola di asciuttezza e onesta' intellettuale gli lascia un'impronta incancellabile di chiarezza concettuale, ma lo lascia pure insoddisfatto, perche' non affronta quelle grandi domande sul senso della vita che, appunto, la scienza esclude e che Wittgenstein confina al silenzio e all'ineffabilita', ma contemporaneamente rivendica come essenziali e legittime per la poesia e per l'arte. Quest'ultima - che per Broch si identifica con la letteratura - viene cosi' ad assumere, ai suoi occhi, un compito fondamentale nella sconvolta epoca contemporanea: penetrare, comprendere, interpretare, rappresentare quei problemi e quegli aspetti della realta' che la scienza e la filosofia hanno accantonato come estranei alla loro competenza, ma che continuano ad incalzare gli uomini, come il senso della vita e della morte, la crisi dei sistemi di valore, il nichilismo, il delirio che in quegli anni terribili dei fascismi ottenebra la ragione, il totalitarismo, le cose ultime.
L'arte diviene cosi' "impazienza di conoscere", tensione a una conoscenza estrema della vita, che la trascende ma che essa puo' almeno indicare, arrivando sino ai suoi confini e additando cio' che sta al di la' di essi. Cosi' nel finale del romanzo La morte di Virgilio - possente monologo interiore che nelle ultime ore della vita del poeta latino condensa gli interrogativi dell'esistenza ed un'epoca che e' specchio di quella contemporanea - la parola si protende sull'orlo del silenzio e dell'indicibile, rimandando a cio' che sta "al di la' del linguaggio". Il romanzo diviene per Broch uno strumento conoscitivo per cogliere lo spirito dell'epoca, raccontando le vicende, i sentimenti e i pensieri degli uomini in cui esso si incarna.

Per ritrarre secondo verita' un'epoca - quella contemporanea - che si e' disgregata in un'atomizzazione centrifuga ed eterogenea e ha perso ogni unita' di valore e di stile, il romanzo deve farsi polifonico e polistorico, assumere nella sua struttura la sconnessa molteplicita' di stili dell'epoca stessa e la sua mancanza di un'unita' e di centro. Il romanzo deve essere contemporaneamente narrazione epica, inno e lirica, riflessione saggistica, teoria filosofica calata e vissuta nell'esistenza dei personaggi. Secondo Broch il romanzo sperimentale d'avanguardia - Joyce, Kafka - puo' essere per l'eta' contemporanea quello che Omero e il suo grande stile erano per il mondo classico.
Broch e' uno scrittore sperimentale, di risultati talora diseguali ma spesso di grande potenza poetica, perche' la sua passione di verita' e di conoscenza, le sue stesse istanze filosofiche diventano vita, carne e sangue di figure concrete, con tutto il loro amore, il loro desiderio e la loro angoscia; e' un intenso poeta dell'Eros, anche grazie al suo spregiudicato senso religioso.

Spirito religioso e nutrito di passione metafisica, Broch sa che l'eterno deve essere cercato quando si cala nella storia e si fa effimera carne mortale, smarrita nel caos ma confusamente memore di una sua piu' alta destinazione. Egli elabora una teoria - quella dello sfacelo dei valori - che non e' priva di motivi tradizionalisti e regressivi (come l'idealizzazione dell'unita' di vita e cultura del Medioevo, scardinata a suo avviso dal soggettivismo moderno del Rinascimento e della Riforma) ma che egli trasforma in elemento della viva e concreta narrazione, facendone una metafora per cogliere grandiosamente la dissoluzione del suo tempo.

Priva di un fondamento metafisico che le dia unita' di senso e di valore, l'eta' contemporanea si e' disgregata in una moltitudine di singole sfere (l'estetica, l'economia e cosi' via) ognuna delle quali innalza se stessa a valore assoluto, isolandosi da tutte le altre, sicche' l'esistenza intera appare un coacervo di tanti settori, ognuno dei quali funziona con grande razionalita' ma si contrappone a tutti gli altri, generando un caos irrazionale. Anticipando di decenni la Scuola di Francoforte e il pensiero negativo, Broch ha colto la contraddizione radicale della sua e nostra epoca, in cui la razionalizzazione dei singoli ambiti, non connessi ne' gerarchizzati da alcun criterio di valore, genera un ingranaggio irrazionale e insensato.

Narratore possente, Broch coglie questo vuoto di valori nella vita concreta degli uomini, nell'abisso che si spalanca intorno ad essi e che essi cercano di non vedere, nell'angoscia o nella passione che li afferra, nella solitudine che li isola, nella dissociazione che frantuma anche la loro personalita' e il loro Io, nella cui lacerazione centrifuga egli si avventura con una poesia ardita e pietosa. Orfani dell'assoluto e figli del vuoto, gli uomini non se ne accorgono e non se ne vogliono accorgere, perche' incapaci di sopportare quella terribile mancanza; essi allora sostituiscono l'assoluto mancante con una serie di surrogati falsi e idolatrici, con una specie di gigantesco kitsch - del quale Broch coglie genialmente la perversione etica prima ancora che estetica - che li ottunde e li avvolge nella falsita', nella colpa inconsapevole, nel male. Essi vivono come sonnambuli e lo scrittore mostra magistralmente questa irrealta' in cui vivono e che li spegne, raccontando con altrettanta maestria i sussulti, gli slanci, gli smarrimenti e le perdizioni amorose che si aprono nei loro cuori quando l'autentica e lontana realta', per un attimo, balena alla loro coscienza.

Il sonnambulismo, l'autoinganno divenuto ormai una seconda natura, e' una colpa, la colpa di vivere e di peccare ignorantemente; Broch intitolera' Gli incolpevoli il suo ultimo libro, storia di chi favorisce e compie il male, cooperando alla demonia dell'epoca senza saperlo e talora senza fare nulla, ma rendendosi complice passivo degli inferi. Pervaso di spirito religioso ebraico e cattolico, Broch sa che il peggiore peccato non e' l'ateismo, bensi' l'idolatria; la colpa piu' grave e' dunque quella di sostituire l'autentico valore con surrogati, magari ben intenzionati e moraleggianti che gli assomigliano, come l'Anticristo somiglia a Cristo. Nell'era del vuoto dei valori e' piu' autentico chi - come Hugueneau, il criminale protagonista della terza parte della trilogia - vive sino in fondo con coerenza la radicalita' del male, piuttosto che chi riesce a stordirsi sino a non vederlo.
E' solo dalla presa di consapevolezza del vuoto, del "non piu" e del "non ancora", che puo' partire il cammino verso la salvezza. Dei grandi autori della celebrata Austria, Broch e' il meno popolare, perche' non predica il vuoto, assecondando il diffuso nichilismo, ed e' uno spirito religioso, dunque sgradito ai moralisti ben pensanti, ma estraneo ad ogni ortodossia e dunque non necessariamente gradito a chi professa religioni positive. Scrittore diseguale, non privo di pathos ridondante e di ideologia regressiva, e' una voce che aiuta a capire il nostro presente e che "ripercorre il cammino dell'angoscia di un secolo, il libro di una grande nostalgia, di una patria che e' concesso presagire nel dolore, nella gelida solitudine di ogni creatura", come scrive Luigi Forte nella sua vigorosa introduzione.
Come diceva Canetti festeggiando nel 1936 il suo cinquantesimo compleanno, Broch e' il vero scrittore che, "segugio del suo tempo", ficca il suo umido muso in tutte le macerie e i rifiuti della sua epoca per scovare la verita'.*
Magris Claudio

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