venerdì 12 novembre 2010

scuola di calore V - ancora due poesie di massimo rizzante

Massimo Rizzante - poesie 


  ancora due poesie
 della raccolta ancora inedita Scuola di calore




Ora che non ci sei più

                                                a Carmen

Ora che non ci sei più, il tribunale militare
che accusava la mia adolescenza anarchica
ha smesso di condannarmi in contumacia. Con gli anni
sono diventata repubblicana: la nostra guerra civile è l’età adulta

Madrid è stato l’ultimo avamposto. Melilla,
da dove si è alzato il vento. Ma ricordo soprattutto
un vicerè del Messico, un uomo corrotto fino al midollo
ma giusto, un mulatto, figlio di un’africana e di un castizo

Ricordo il tuo disprezzo per la mia mancanza di purezza.
Nel mio sangue, dicevi, circolava la follia della nonna
che a Huesca tramava con i torturati perché il loro corpo
non si trasformasse in pasto per maiali

Ricordo Andrés Nin, ferito alla gola come il buon George,
come lui lungimirante ma molto meno fortunato. Il suo omaggio
alla Catalogna fu un sacchetto con dentro un paio di testicoli mozzati.]
I comunisti della NKVD serbano rancore solo ai morti, dicevi

Ora i tuoi resti sono qui. Alla luce. Ma in questo paese di sentinelle
i crimini non possono rimanere impuniti. Il presente è più sacro
del perdono. Perciò si girano spot miliardari: Pépe Cruz, di ritorno da Calcutta,]
scava nelle crepe della Meseta alla ricerca di qualche teschio

Io che sono una tua vittima, conosco l’odio delle tue mani
la rosa degli abusi, le chiavi della tua cella. E la paura – figlia
di una cagna africana e di un castizo – che incutevi a te stesso,
ai tuoi inferiori, a tutti noi, che siamo stati riesumati per nulla



La guerre des poissons

                                                a Imane

Sulla strada per Ourika siamo come uccelli notturni
che si strappano le ali a vicenda, fino a quando
il becco affonda in un organo cieco per molti,
soprattutto per coloro che sono stati ciechi a lungo

Così l’amore ci chiama. E da uccelli notturni
dobbiamo trasformarci in talpe, e scavare cunicoli nel tempo
e, se necessario, saziarci di tenebre senza poter risalire
in superficie. E questo per un giorno. O per sempre

O in cani che girano su se stessi un numero di volte
pari ai loro anni moltiplicato per le cagne in calore che hanno
posseduto e che ora ubriachi cercano di ricordare,
prima di trovare una posizione in cui dormire

O in mariti puntuali che, all’ultima chiamata, zoppicando
si avvicinano al letto e posano la loro mano azzurrina
sull’inguine di una sposa sottomessa. “Per questo esisti:
per correggere all’infinito i miei errori”.

Per questo esiste un incubo chiamato Ourika, dove con i piedi
nell’acqua gelata risalgo da sola il torrente, lasciandomi alle spalle
accampamenti di cicogne, passerelle per scheletri che scendono
dall’Atlante, muri di terra rossa, bambini annegati

E un branco di pesci in guerra per alcune briciole di pane
lanciate in una vasca da una coppia di innamorati
dall’occhio feroce di bambini annegati,
che non smettono di chiedere, di chiedere, di chiedere…

La dimora del tempo sospeso   - - - -


La raccolta dovrebbe essere pubblicata entro la fine dell'anno
 

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