giovedì 11 novembre 2010

scuola di calore IV - ancora tre poesie di massimo rizzante

Massimo Rizzante - poesie 


il ciclo di Marrakech”: ancora tre poesie
 della raccolta ancora inedita Scuola di calore







Idillio nero

a Isabel

Ho letto che Elsa Triolet, la moglie di Aragon,
se ne stava nuda in una grande gabbia surrealista costruita
allo scopo dal celebre consorte e, inginocchiata su un letto di spine,
lo pregava di godere del suo membro

I segreti sono come disperati in fuga
in una città fantasma dopo la fine di una battaglia:
non trovano rifugio in nessun luogo e non hanno alleati
né tra le fila dei compatrioti né tra quelle dei nemici

Dicono che qui a Granada, a Sacromonte, il quartiere gitano,
si nascondano centinaia di giovani tiratori scelti
venuti dalle zone proibite del Pakistan, e che ogni notte
si esercitino a sparare coperti dal frastuono delle nacchere

Nessuno ci crede. Ma al mondo piace illudersi.
La verità è un buco nel filo spinato. Lo so che quasi tutti
preferiscono proteggersi dall’orrore dei cecchini,
ma così i cadaveri restano a marcire in questa fogna a cielo aperto

Siamo tutti figli di un idillio nero. Ci vogliono uccidere
come i segreti perché non esistano più città fantasma
né gabbie per il piacere, né uccelli devoti ai loro rami,
né zone proibite dove esercitarci su letti di spine

Ci vogliono uccidere, mentre privi di corde vocali
ci rintaniamo nelle carcasse delle auto abbandonate,
sono miliziani della liberazione, sono tatuati dalla testa ai piedi,
si avvicinano nudi, le bocche senza denti impastate dal sonno

Complotto e carcasse

a Souhalia

Essere sverginata a quindici anni contro la propria volontà
e reiteratamente presa con la forza, fa crescere in gola
un linfoma che, ripetutamente inciso, secerne siero e disprezzo.
Senza contare che non si comprenderà mai più il prossimo

Lo stretto orifizio che portava al godimento è ora una statale,
dove un vecchio malato di cuore claudica maledicendo
le dinastie dei Mercedes e dei Benz e le loro carcasse,
che in questo paese si trasformano in taxi di prima classe

Per quanto mi metta in guardia dal pathos dell’eros,
poiché né assuefazione, né familiarità, dice, gettano ponti
né creano mistero, io sono convinta che due oscurità che non giungano
a estorcersi un vero amplesso sono condannate a vivere in epoche diverse

Del resto è quello che mi è successo. Quando l’ho incontrato,
il mio coetaneo Kamal per troppo amore è regredito fino a vagire.
Non c’è stato niente da fare: essere penetrata dal membro
di un neonato non può produrre nessuna comunione umana!

Come se un piccolo roditore potesse trovare riparo nel palato
di una bocca sdentata e gli aguzzini di turno per questo marcire
nelle loro celle di tortura! Una relazione umana
ha le sue catene, i suoi invalidi, le sue notti bianche!

Così non ho scelta. Ogni sera trascino il mio utero stanco
sulla statale alla ricerca di un vecchio sciancato dalle gengive
sanguinanti che blatera di un complotto di taxisti neonazisti in Africa.
Grazie al suo seme entrambi vivremo nello stesso istante



Sonnambuli al Mandalay

a Latifa

Una donna seduta al Mandalay, che da lontano guarda un uomo,
è alle soglie del sonnambulismo. Da sola,
per quanto rifletta, resta sempre nel dubbio,
affascinata dai bilanci, incatenata alle cifre del disastro

Dovrei fare il primo passo, o almeno accavallare le gambe,
mostrare impazienza, accendere una sigaretta, assumere il ruolo
dell’umiliata e offesa o della schiava affranta.
O con un movimento dell’indice andare al sodo

In un mese con poche consonanti,
ci sono state troppe vocali: dure, gutturali.
Nessuna maiuscola. Nessun corsivo. Nessuna lettera “p”.
Nessun piacere per i pronomi personali

Solo domande da sonnambuli. “Dove vai?”, “Già di ritorno?”
Meglio la coppia di sordomuti che gesticolando si apre un varco
verso Djemaa el-Fna. A loro il segreto. A noi toccano le voci
del venditore di denti, la terza chiamata, l’inventario dei mercanti di tappeti

A volte penso che ci sia stato troppo sesso che nessuna
tenerezza potrà mai cancellare. A che cosa servono tante
membra in un uomo se poi si riducono a uno solo? L’attesa
era diventata un filo spinato e in gola trattenevo un latrato

A volte ho la sensazione che non uscirò mai più dal Mandalay,
questo asilo per sonnambuli, e che la mia vita sia solo
l’allucinazione di una coppia di sordomuti a cui abbiano
cavato tutti i denti per strappare loro il segreto del dolore

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commento di Enrico de Vivo
Mi riaggancio all’ultimo commento di VIOLA per dire che la questione femminile, affrontata nel modo poetico di Rizzante, ha finalmente qualcosa di interessante perché ci avvicina al suo proprio buio, speculare a quello maschile. Altrimenti, tutto è sempre e solo chiacchiera, se si parla di certe cose, acuta quanto si vuole, ma solo chiacchiera. Penso al testo letto qui sotto di Evelina Santangelo sulla ragazzina di Avetrana. Un testo di chiacchiera che si aggiunge all’altro milione e passa di chiacchiere della tv, dei rotocalchi, etc. Dov’è la differenza dunque? Nel modo, nella forma, nella lingua che finalmente, nelle mani di Rizzante, torna a dire qualcosa. Tornare a dire qualcosa è quello che fa l’arte, in ogni tempo e in ogni luogo, per sfuggire alla macerazione dell’opinione e dell’attualità, dell’uso, in un certo sesno. Uno dei grandi problemi dell’arte e degli artisti di oggi, forse, è appunto il sentimento di accerchiamento nei confronti della lingua e dei discorsi per impedire loro di tornare al di là dell’hic et nunc, per dire qualcosa, di tornare indietro, di regredire, di immergersi nel male e nel buio, come fa Rizzante, con coraggio. Torno al fatto di cronaca di Avetrana. Se fosse stata viva Flannery O’Connor, avrebbe detto che ci stiamo soffermando, con i nostri commenti e con la nostra attenzione esasperata, sull’orrore sbagliato. Avviene sempre così. La tv, i giornali, la chiacchiera ci portano a soffermarci sull’orrore sbagliato e a credere che sia esso il vero problema. Ma l’orrore è altrove, e ci vuole coraggio per andare a scovarlo e parlarne. Coraggio che solo gli artisti possono avere, a maggior ragione in un’epoca di accerchiamento chiacchierante. Si veda, allora, ad esempio, per capire l’incipiente orrore della società familistico-consumistica, il famoso racconto della O’Connor, “A hard man is hard to find” (credo sia scritto così – e fu per questo racconto che i critici si scandalizzarono, appuntando la loro attenzione sull’orrore sbagliato, come disse la O’C.). E si vedano, infine, per capire il declinante orrore della questione femminile, le poesie di Rizzante, dove finalmente non si parla di donne che hanno diritto alla carriera o alle ferie o alle quote rosa, ma di tutt’altro – ossia del vero problema.ivo

pubblicata su Nazione Indiana
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono molto belle, come tutte le altre.
db