venerdì 31 maggio 2013

La Bolano-mania

   Marco Ferrari -

Succede oggi    31 maggio 2013


La Bolano-mania


A dieci anni dalla morte Barcellona gli dedica una grande mostra e il resto del mondo lo consacra divo (letterario) del momento. Ritratto di uno scrittore grande, stanco e senza fissa identità: Roberto Bolaño
Purtroppo per lui il successo gli è piovuto addosso quando non c’era più. Una consacrazione postuma è un classico del genere letterario, secondo la regola che la morte risarcisce l’indifferenza subita in vita. Così è andata anche per il povero Roberto Bolaño, lo scrittore latino-americano più letto in questo momento, scomparso nel 2003 a Barcellona.
Bolaño è stato un vagabondo con la penna in mano: era nato a Santiago del Cile nel 1953, ha passato l’adolescenza in Messico, è quindi tornato nel Cile di Allende. Lui stesso ha raccontato quella rocambolesca avventura: nel 1973 decise di rientrare in Cile, intenzionato ad appoggiare assieme ad un gruppo di trotskisti il processo di riforme socialiste di Salvador Allende. Alla fine di un lungo viaggio in pullman, autostop e barca, attraversando quasi tutta l’America Latina, arrivò in Cile pochi giorni prima del colpo di stato messo in atto da Augusto Pinochet. Qualche ora appena per assaporare il senso di libertà, poi gli scontri, gli arresti e il carcere a Concepción. Ma lui fu uno dei pochi fortunati a scampare alla repressione: dopo otto giorni di carcere venne liberato grazie all’aiuto di due compagni di studi dei tempi di Cauquenes, che erano tra i poliziotti incaricati di vigilarlo. Questo episodio è stato lo spunto per il racconto “I Detective”, nella raccolta Chiamate telefoniche. Quella  che si pensava fosse un’invenzione letteraria, è stata invece confermata dall’amico Jaime Quezada, il quale ha raccontato di averlo ospitato nella sua abitazione in Cile dopo la liberazione. Ma altri, come il sociologo Ricardo Pascoe e la scrittrice e poetessa Carmen Boullosa, hanno espresso dubbi sulla reale presenza di Bolaño in Cile al tempo del golpe.
Rientrato in Messico diede vita al movimento d’avanguardia dell’infrarealismo che aveva come linee guida la rottura con la letteratura ufficiale. Anche se intorno a questo movimento ruotavano all’incirca una quindicina di poeti, Roberto Bolaño e Mario Santiago Papasquiaro furono gli esponenti stilisticamente più solidi, autori di una poesia quotidiana, dissonante e con vari elementi dadaisti. Nel 1977 emigrò in Spagna, in Catalogna, dove viveva la madre, contagiato dalla movida postfranchista. Lì praticò diversi lavori – vendemmiatore in estate, vigilante notturno in un campeggio a Castelldefels, commesso in un negozio, lavapiatti, spazzino, scaricatore di porto, commerciante di bigiotteria – prima di potersi dedicare completamente alla letteratura. Bolaño morì il 15 luglio 2003 all’ospedale Valle de Hebrón di Barcellona, lasciando incompiuto il romanzo “2666” con il quale aveva portato all’estremo la sua inventiva, guarda caso attorno alla figura di uno scrittore svanito.
Scoperto in Italia da Elvira Sellerio e quindi rilanciato da Adelphi, già riconosciuto come scrittore di nicchia in vita nell’ambito delle lettere ispaniche, Roberto Bolaño è ora letto e tradotto in tutta Europa e in America anche se la sua letteratura non è facilmente classificabile restando in bilico tra realtà e finzione, storia e thriller, intrigo psicologico e politico. Uno scrittore a parte, solitario, abulico con addosso la tristezza dell’esule, capace di mescolare la metafisica di Borges e la complessità di Cortazar, un intellettuale cileno che definiva un po’ altezzosamente Isabel Allende “una scribacchina” e che disdegnava Luis Sepulveda.
A dieci anni dalla sua prematura scomparsa il caso Bolaño infiamma le librerie europee e americane. Si è venuti così a conoscenza del male al fegato che lo colpì, l’attesa del trapianto, la vita che si spense a cinquant’anni, con tanti rimpianti, storie lasciate a metà, storie da scrivere, appunti di personaggi che resteranno ombre. Così si moltiplicano le iniziative per i dieci anni delle morte, pubblicazioni, convegni, interviste di amici veri e presunti che dicono la loro, quasi sempre nella classica maniera retorica post mortem.
Per scoprire chi era davvero Roberto Bolaño bisogna osservare e studiare il repertorio di oggetti, taccuini, appunti raccolti nella monumentale mostra che Barcellona, sua città adottiva, gli dedica al Centro di Cultura Contemporanea fino alla fine di giugno.
In realtà è difficile entrare nella personalità di Roberto Bolaño, caustico e irriverente, scontroso prima di tutto con se stesso, afflitto da un desiderio di rivincita ma pur sempre isolato. I suoi interventi erano provocatori e, una volta raggiunta la fama, certamente non diventò più disponibile, specie verso quelli che si consideravano scrittori latino-americani di sinistra, lui che si definiva trotkista. Nelle interviste, invece, era torrenziale e ellittico.
I suoi libri celebrano una certa autofiction o una riscrittura della storia. Con “I detective selvaggi” ha comunque dato una svolta alla narrativa sudamericana, rievocando i tempi di Borges, diventando un’icona giovanile, più da rete che da botteghino. Tanto che L’Economist ha coniato il termine Bolano-mania dopo che negli Stati Uniti sono stati pubblicati 2666 e I detective selvaggi, su insistenza del famoso agente letterario Andrew Wiley. Pochi giorni fa, poi, Roberto Bolaño è stato al centro del Salone del Libro di Torino che aveva come ospite proprio il Cile con una nottata di letture e un dibattito da ultima spiaggia dal titolo, Scrivere dopo Bolaño.  Poco prima di morire, proprio per presentare I detective selvaggi venne al Salone di Torino, assieme al suo traduttore italiano, Angelo Morino, anche lui scomparso prematuramente nel 2007. Appariva stanco, era spettinato, portava in giro a fatica il suo fisico allampanato che di lì a poco lo avrebbe tradito per sempre. Sperava di scrivere cinque romanzi per lasciare qualcosa in mano alla moglie Carolina Lopez, per questo stava fisso al computer. Ma il suo vero sogno era vincere alla lotteria per pubblicare solo cinque poesie e nulla più perché in fondo la scrittura era per lui una pratica noiosa.




Succede oggi   31 maggio 2013
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 Materiali relativi alla mostra CCCB di Barcellona Archivio Bolaño 1977-2003 
• Patricio Pron: Bolaño nel musseo  
• Sergio Garufi: Dieci motivi per cui mi piace Bolaño 
• Juan Insua: intervista sulla mostra: Archivio Bolaño. 1977-2003 
• Ignacio Echevarria: La mostra di Barcellona Archivio Bolaño 1977-2003  
• Giulia Cavaliere: La musica preferita di Roberto Bolaño 
• Francesca Lazzarato: Quel che resta della vita selvaggia, Archivio Bolaño. 1977-2003 
• Riccardo Iori Roberto Bolaño: Il trionfo non fa per me 
• Radio Svizzera: presentazione mostra Archivio Bolaño 1977-2003 
• Mostra CCCB: Materiali video sulla mostra 
• Mostra CCCB: le foto di Bolaño a Gerona 
• Mostra CCCB: Foto dei manoscritti di Bolaño 

 testi sulla mitizzazione e mistificazione di Bolaño: 

• Origini del mito Bolaño: , carmelo P.
• la ridefinizione dell'immagine di Bolaño dopo la sua morte : Volpi, Moya, Galan, Tarifeño
• Bolaño falsificato: come nasce e prolifera una falsa notizia basata sul nulla 
• Bolaño forever , di Javier Cercas 
• Print the legend , di Javier Cercas 
• Leggere con e contro Bolaño, di Patricio Pron 
• buttate questo articolo e leggete Bolaño, di Javier Cercas 

giovedì 30 maggio 2013

Destino cieco - Un romanzetto lumpen

 Mrco Belpoliti -    31 maggio 2013


Destino cieco

Bianca è un'adolescente rimasta orfana per via dell'incidente d'auto dei genitori. Confusa, caotica, problematica, sensibile, è uno di quei personaggi borderline che Roberto Bolaño tratteggia con mano sicura, e a cui fa vivere fino in fondo il loro incontrovertibile destino in "Un romanzetto lumpen" (traduzione di Ilide Carmignani,  Ed. Adelphi, pp. 119, euro 14).

Bianca lavora come parrucchiera, il fratello in una palestra. Un giorno questi si porta a casa due amici più vecchi, che s'installano nell'appartamento. "Il bolognese" e "il libico" lavoravano nella medesima palestra: due sbandati. Si crea un quartetto improbabile con la tv come baricentro. La notte a turno i due ospiti entrano nel letto della ragazza e fanno l'amore con lei, senza che Bianca sappia bene chi sia, visto che i due si somigliano.

La storia, raccontata in prima persona dalla protagonista, ha un andamento catatonico. Quasi in trance Bianca rievoca quel momento della sua vita in cui si è smarrita, senza più trovare via d'uscita dal labirinto dei suoi atti e pensieri.
Bolaño è magistrale nel dare al racconto questo tono ipnotico, svuotando e insieme riempiendo dall'interno i suoi personaggi. Poi arriva Maciste, un campione di culturismo, attore di film di successo, diventato cieco, a suo modo anche lui un rottame. I quattro concepiscono il piano di derubarlo accedendo a una sua fantomatica cassaforte. Bianca si prostituisce con Maciste, e intanto cerca il denaro. Pian piano il rapporto con il gigante s'infittisce. Bianca è incapace di veri sentimenti, non ha stabilità emotiva; oscilla di continuo e vive, come un vero adolescente, nell'istante. Solo in questa dimensione temporale concepisce idee, sogni, immaginazioni, fantasie; per questo non distingue realtà e sogno (sogna molto e racconta i suoi sogni).

Appare insieme sentimentale e cinica, risoluta e indecisa. Non sa mai cosa vuole fare, e tuttavia agisce come se lo sapesse. Memorabile la scena in cui masturba Maciste, che vuol sapere di che colore sia il suo sperma. La ragazza è cieca come il suo amante: niente passato, niente futuro, solo un continuo presente. Alla fine, scossa da un movimento interiore si scrolla imprevedibilmente tutto di dosso. L'intuizione di un istante, che può perderla, ora invece la salva. Una scaglia di geniale narrazione scaturita da quell'immenso calderone di vite-non-vite che Bolaño si portava dentro come uno stigma.

L'Espresso     - 31 maggio 2013
© Marco Belpoliti 



Un libro: Un romanzetto lumpen

Paoblog - 31 maggio 2013


Un libro: Un romanzetto lumpen

Trama:
«Ormai sono una madre e anche una donna sposata, ma fino a non molto tempo fa ero una delinquente».
 Così comincia il breve, folgorante racconto dell’adolescenza di Bianca: ancora un personaggio, fra i tanti creati da Bolaño, che difficilmente dimenticheremo. Rimasti orfani dei genitori, Bianca e suo fratello scivolano a poco a poco in un’esistenza di ottusa marginalità, che li porterà a non uscire quasi più dall’appartamento in cui si sono rinchiusi, e dove passano nottate intere a guardare la televisione.

A loro si aggregheranno due improbabili soggetti, «il bolognese» e «il libico», con i quali la ragazza dividerà a turno, svogliatamente, il letto – senza quasi sapere con chi lo sta facendo. Un giorno però entrerà nella loro vita un ex campione mondiale di culturismo, diventato cieco in seguito a un incidente, che tutti chiamano Maciste perché è stato un divo dei film cosiddetti mitologici.

Uno che forse ha dei soldi, soldi che si potrebbero scovare e rubare. Con questo strano essere, che la attrae e la respinge al tempo stesso, Bianca vivrà una relazione che, nata sotto il segno della prostituzione e dell’inganno, si trasformerà invece in qualcosa di assai simile a ciò che chiamiamo «una storia d’amore».

Letto da: Francesco

Opinione personale: Questo romanzo breve – l’ultimo che Roberto Bolaño, il grande romanziere cileno morto in Spagna nel 2003 a cinquant’anni in attesa di un trapianto di fegato, ha visto pubblicato in vita e che scrisse su commissione per una collana dedicata alle grandi capitali di un editore – è piacevolissimo nella sua scrittura scarna, diretta ed essenziale e al tempo stesso particolarmente interessante per l’intensità di contenuti e intime riflessioni che propone e a cui conduce lungo la sua lettura.

Io l’ho trovato davvero magnifico.

Ambientato in una Roma trasteverina e popolare che, pur nella sua caratterizzazione ben enunciata, si manifesta come un non-luogo che appare piuttosto un “luogo-qualunque”, nel suo breve percorso incrocia una infinità di metafore.

A cominciare dall’io narrante, l’ancora adolescente Bianca che vive un sublime contrsto tra una vita reale – vissuta apaticamente e con terribile disincanto assieme al fratello dopo essere rimasti orfani e vittime schiacciate da un sistema sociale consumista e insensibile – e una vita intima, fatta di monologhi densamente riflessivi, pregni di una consapevolezza dura e realista, eppure al tempo stesso dolcissima e poetica propria a un adulto fatto, come se la vita le avesse compensato con un prezioso bagaglio di saggezza ed esperienza ciò che le ha rubato, iniziando dalla serena spensieratezza adolescenziale.

Riflessioni che magistralmente accompagnano Bianca, nel brevissimo percorso di questo breve romanzo, a compiere una metamorfosi radicale ma talmente graduale nel processo da sfiorare l’inafferrabile.

Continuando, poi, con le severe metafore sulla fisicità di una sessualità vissuta, esibita e offerta quasi come un impegno, un riempimento o un dovere, così come la prostituzione che assume caratteri di poetica leggerezza, dietro le quali possiamo trovarvi la società civile, politica, economica o, anche, la letteratura e l’editoria.

Sfumature e metafore rafforzate, poi, dalla ossessionante presenza della televisione, dello spettro della disoccupazione e del disagio sociale che assume carattere di passività o di fugaci apparizioni ideologiche.

Trovo davvero magnifico come Bolaño riesca a inserire tutto ciò in poche pagine di accattivante scrittura.

Paoblog   ----31 maggio 2013
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Un romanzetto lumpen, di Roberto Bolaño

Federico Batini -

il blog di Federico Batini 29 maqggio 2013   

Un romanzetto lumpen, di Roberto Bolaño
Ormai sono una madre e anche una donna sposata, ma fino a non molto tempo fa ero una delinquente. Mio fratello e io eravamo rimasti orfani. Questa cosa in qualche modo giustificava tutto. Non avevamo nessuno. E tutto era successo dalla sera alla mattina.    I nostri genitori erano morti in un incidente d’auto durante le prime vacanze che facevano da soli, su una strada vicino a Napoli, credo, o su un’altra orribile strada del Sud. La nostra macchina era una Fiat gialla, di seconda mano, che però sembrava nuova. Era ridotta a un ammasso di ferraglia grigia. Quando la vidi, dallo sfasciacarrozze della polizia dove finivano le macchine incidentate, domandai a mio fratello il colore.
“Ma non era gialla?”
Mio fratello disse di sì, certo che era gialla, ma prima. Prima dell’incidente. Le collisioni alterano il colore o alterano il nostro modo di percepire il colore. Non so cosa intendesse dire. Glielo domandai. Lui disse: luce…colore… tutto. Pensai che il poveretto era più sconvolto di me.
Quella sera dormimmo in albergo e il giorno dopo tornammo a Roma in treno, con ciò che restava dei nostri genitori, in compagnia di un’assistente sociale o un’educatrice o una psicologa, non lo so, mio fratello glielo chiese ma io non sentii la risposta perché stavo guardando il paesaggio fuori dal finestrino.
Al funerale venne solo una zia, una sorella di mia madre, e dietro a mia zia c’erano le sue terribili figlie. Io guardai mia zia tutto il tempo (che non fu poi molto) e più di una volta mi parve di coglierle sulle labbra un mezzo sorriso, a volte un sorriso intero, e allora seppi (anche se in realtà l’avevo sempre saputo) che mio fratello e io eravamo soli al mondo. All’uscita del cimitero baciammo nostra zia e le nostre cugine e non le rivedemmo mai più. Mentre camminavamo verso la prima fermata della metropolitana, dissi a mio fratello che quando avevano infilato le bare nei loculi mia zia aveva sorriso, per non dire che aveva apertamente sghignazzato. Mi rispose che se n’era accorto anche lui. Da quel momento in poi i giorni cambiarono. Voglio dire, il corso dei giorni. Voglio dire, quello che unisce e al tempo stesso segna il confine tra un giorno e l’altro.
 (Roberto Bolaño, Un romanzetto lumpen, Adelphi, pp. 11-13)

La storia si apre con il brano citato in esergo, una storia particolare, raccontata dagli occhi di una donna che, come lei stessa ci dice, ora è madre e moglie, ma il suo racconto si centra sul primo periodo della sua vita con il fratello, entrambi giovanissimi, minorenni, a seguito della morte di entrambi i genitori in un incidente d’auto. La vita appare quasi normale inizialmente, poi inizia a prendere una fisionomia diversa, si sfalda, si strappa: cambiano gli orari, la scuola viene lasciata progressivamente, come un orpello del quale non si ha più necessità, si trovano dei lavoretti per integrare il magro assegno di reversibilità del padre. Bianca racconta questo periodo come un periodo allucinato, in senso letterale, inondato di luce, quasi che tra notte e giorno, tra buio e lucentezza accecante non vi fosse differenza né soluzione di continuità.

Quasi per caso entrano nella vita di Bianca e del fratello due strani tipi, incontrati dal fratello stesso in palestra, dove lavora come inserviente: un bolognese loquace e un libico taciturno. Gentili, puliti in maniera sorprendente per chi conduce una vita di luogo in luogo, i due occupano la camera dei genitori dei due fratelli rimasti orfani e, di tanto in tanto, dividono il letto con Bianca che non si cura nemmeno, quando decide di aprire la porta, che sia l’uno o l’altro. Tutto pare rotolare lentamente verso uno strano equilibrio tra normalità e squallore (che a volte si somigliano stranamente) finché compare il “piano”. Il “piano” ideato dal “bolognese” e dal “libico”, gli amici del fratello e da lui stesso approvato, prevede per Bianca un ruolo da protagonista. Dovrà introdursi in casa di “Maciste”, un attempato culturista divenuto cieco in seguito a un incidente, già due volte Mister Universo (altro soprannome con il quale viene chiamato) e protagonista di film di successo mondiale nei quali ha interpretato il mitologico eroe. Bianca diventerà così una prostituta, seppure con un solo cliente e un cliente, nemmeno a dirlo, molto particolare. Eppure quel rapporto, fatto di poche parole ma di gesti essenziali e carichi di significato, segnerà, per Bianca e la sua vita, la svolta. Perché la vita, a volte, assume percorsi non consueti e la salvezza, la scossa si può trovare proprio in incontri che sembrano segnare un arretramento, un peggioramento, uno scivolamento verso il buio…

Il romanzo originale è stato scritto e pubblicato nel 2002, Adelphi lo pubblica in italiano, con la traduzione di Ilde Carmignani, nell’aprile 2013.

Roberto Bolaño: nato nel 1953 a Santiago del Cile, morto a Barcellona nel 2003. Autore di numerosi romanzi, molti dei quali tradotti in italiano. Negli ultimi anni Adelphi ha pubblicato: 2666 (2009), Amuleto (2010), Stella distante (2012).



il blog di Federico Batini 29 maqggio 2013   
© Federico Batini


mercoledì 29 maggio 2013

Di cosa (non) parla 2666 di Roberto Bolaño?

   Andrea Meregalli -


Di cosa (non) parla 2666 di Roberto Bolaño?

Poi prometto che non scrivo più a proposito di 2666  di Roberto Bolaño, vediamola così: per una rubrica come Trame contro Trame, 2666 (Adelphi) è un po' come un bicchiere d'acqua fredda una mattina d'estate, che c'è caldo, caldissimo, e la sera prima s'è mangiato alici piccanti, pizza cruda e bevuto birra col limone, tanta tanta birra col limone. Avete presente?

A libro chiuso – facciamo a e-reader spento – dopo mille pagine, mille nomi e mille storie, la prima considerazione che s'è affacciata al mio cervelluzzo ancora tramortito da cotanta baldanza prosaica è: Roberto Bolaño ha quella capacità di fotografare e ramificare il mondo – un mondo – tipica degli scrittori fantasy; Roberto Bolaño potrebbe chiamarsi John Ronald Reuel Tolkien, Clive Staples Lewis oppure George R. R. Martin.

In 2666 non ci sono draghi, non ci sono elfi – è vero – non ci sono anelli, troni, spade, non c'è araldica medievale, non ci sono armadi, leoni, streghe, però c'è parte del resto, un minimo comune denominatore che grava sugli intrecci esistenziali, mette in relazione vite lontane, paesi lontani, momenti lontani, gesti all'apparenza poco significativi; c'è l'abilità di unire tratteggi, di spostare la cinepresa, di raccontare sempre di tutti e mai di nessuno.

Bolaño non inventa alcun mondo, – il mondo è, purtroppo, sin troppo reale ed è il (n)(m)ostro mondo – ma gonfia i propri talentuosissimi polmoni e ne allarga il respiro, muovendosi a cavallo di due continenti, decine di città, centinaia di caratteri, migliaia di possibilità.

Probabilmente, come dice Alessandro Baricco, 2666 è un libro sul male e sul mistero dei viventi, non lo so, non lo sa nemmeno lui, Baricco, e, probabilmente, come dice il nostro Jacopo Cirillo, i libri non sono fatti per essere capiti ma per essere raccontati, non lo so, lo sa lui, Jacopo; da parte mia, se qualcuno dovesse chiedermi di cosa parla 2666 di Roberto Bolaño, risponderei che parla del mondo, risponderei che è come leggere una fotografia del mondo, risponderei che leggerlo, decidere di leggerlo, significherebbe accettare una sfida e relazionarsi con un'opera ambiziosa, monumentale, che ha inteso raccontare tutto prima di lasciarcelo sfogliare.

Finzioni 29 maggio 2013   - - - -
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