sabato 18 maggio 2013

BOLAñO: LE VITE REPLICATE

 Vincenzo Bonicelli della Vite -



 BOLAñO: LE VITE REPLICATE
 “Pochi mesi dopo il suo arrivo al villaggio morì il padre, come se avesse aspettato solo lui per lanciarsi a testa bassa all’altro mondo. (….) Anski sgattaiolò al cimitero e rimase a lungo accanto alla tomba, pensando a cose vaghe. Di giorno dormiva in soffitta, coperto fino alla testa, nel buio totale (…. ) Si domanda cosa resterà quando l’universo sarà morto e il tempo e lo spazio saranno morti con lui. Zero, nulla. Questa idea, però, lo fa ridere. Dietro ogni risposta si nasconde una domanda, ricorda Anski che dicono i contadini di Kostekino. Dietro ogni risposta inappellabile si nasconde una domanda ancor più complessa. La complessità, tuttavia, lo fa ridere, e a volte sua madre lo sente ridere in soffitta come quando aveva dieci anni. Anski pensa a universi paralleli. In quei giorni Hitler invade la Polonia e inizia la seconda guerra mondiale. Caduta di Varsavia, caduta di Parigi, attacco all’Unione Sovietica. Solo nel disordine siamo concepibili.”
 R. Bolaño, 2666- La parte di Arcimboldi- Adelphi 2007-pag. 483
Queste parole di 2666, opera sterminata di Roberto Bolaño, trascendono Anski, sono il motore di 2666 e della sua narrativa. Un caos primordiale segna l’uomo e il suo destino e l’autore sposta continuamente i confini alla parola narrativa, ne allarga spazi logici e cronologici dandole nuove prospettive. Con il caos che si sposta, gli scenari dentro 2666 mutano eppure rimangono continui. Dice Bolaño che solo nel disordine siamo concepibili: contenuto e forma del suo narrare, specificità letteraria. Nella sua varietà, insensata prima e consistente poi, la realtà trova nelle parole una sintesi continua, interminabile, soggetta all’instabilità. I personaggi, espressioni viventi del disordine, sono percorsi da un delirio lucido e consapevole. Ci portano lontano, verso territori della mente che sappiamo essere dentro di noi, seppure inventati da Bolaño. Anche noi dentro universi paralleli, come Anski ridiamo in soffitta. Complessa e semplice, Santa Teresa è una presenza senza veri confini: luogo privilegiato di 2666, s’estende in spazi reali e immaginari della parola dentro a un sistema di vasi comunicanti, da 2666 ai Dispiaceri del vero poliziotto, opera riassuntiva della volontà dello scrittore. Non solo zona geografica, si spiega come luogo mentale del tempo in cui non vi sono più limiti alla libertà e alla sua durata. Tempo dell’essere.

“I suoi passi lo portarono in centro … e poi s’infilò in un quartiere che, malgrado fosse a due isolati dal centro, riuniva in sé – e mostrava – ogni stigma, ogni segno di povertà, squallore e pericolo. La zona rossa. Quel nome divertiva Amalfitano con un misto di amara tenerezza; anche lui, nel corso della sua vita, aveva conosciuto zone rosse. I quartieri operai, i ‘cordoni industriali’, prima, i luoghi liberati dalla guerriglia, dopo.”
I dispiaceri del vero poliziotto- Adelphi 2011, pag.104

Il presente ha la libertà come unica alternativa a se stessa, la sua durata è pervasiva e tutto può accadere, violenza e crudeltà, eventi contrari al sentire umano e all’intendere civile. Ma è libertà di incontri anomali e manifestazioni impensabili di poesia, scontro di eventi e personaggi coi canoni della civiltà e del suo progredire. Il caos invade l’ordine. La morte del padre procede nel buio con la sua volontà perfida, imprevedibile nel provocare Anski appena dopo il suo arrivo al villaggio

“Alla fine di settembre fu ritrovato il corpo di una bambina di tredici anni, sul versante orientale del colle Estrella. (…..) Era stata violentata ripetute volte e accoltellata e la morte era attribuibile alla rottura dell’osso ioide. Ma quello che più sorprese i giornalisti era che nessuno reclamasse o riconoscesse il cadavere. Come se la bambina fosse arrivata a Santa Teresa da sola e vi avesse vissuto in totale invisibilità finché gli assassini non l’avevano notata e uccisa.”
2666- La parte dei delitti, pag. 154
109 donne sono assassinate a Santa Teresa, e le centinaia di pagine di La parte dei delitti danno un senso narrativo alle cronache insistite delle atrocità sostituendo la brutalità all’amore, i dettagli della deturpazione a quelli dell’integrità. Santa Teresa, cittadina messicana ai confini col Texas che nella realtà si chiama Ciudad Juarez, è sì luogo infernale, ma anche e con maggiore significato letterario, luogo della libertà dell’uomo nel bene e nel male, rovesciamento di canoni e aspettative umane. Nelle parole di Bolaño, a cui era stato chiesto di definire l’Inferno, questo appare proprio “come Ciudad Juarez, che è la nostra maledizione e il nostro specchio, lo specchio inquieto delle nostre frustrazioni e della nostra infame interpretazione della libertà e dei nostri desideri”. Come infame interpretazione della libertà, Santa Teresa è luogo fondamentale nelle opere di Bolaño: presenza di Bene e Male, violenza e poesia, sogno e realtà, immagini e fantasia e tant’altro ancora. Nel prevalere di regole predatorie della libertà, ne La parte dei delitti essa è insieme suggestione minuziosa ed esasperazione negativa: brutalità e violenza assassina frantumano corpi e sentimenti privi di difese, li annientano abbandonati a se stessi senza più umanità. La suggestione della libertà comprende in sé il caos primordiale. All’inizio dei Dispiaceri, la libertà omosessuale costringe Amalfitano in Messico, via dal suo amante, il poeta Padilla, e dalla Spagna. Le speranze di entrambi sono condannate al nuovo ordine spietato della sopravvivenza. In 2666 Amalfitano deve fare i conti con l’estremo male della libertà: l’amore diventato corruzione, il suo codice erotico tramutato in morte. La figlia Rosa fugge negli Stati Uniti per salvarsi dal sospetto di partecipare agli snuff movies. Il caos prevale sull’ordine delle cose.


Allontanarsi dai canoni correnti è qualità specifica del grande scrittore. Nelle parole di Amalfitano nei Dispiaceri troviamo Bolaño stesso.

“Alla radice di tutti i miei mali si trova la mia ammirazione per i delinquenti, le puttane, gli squilibrati, si diceva Amalfitano con amarezza. Nell’adolescenza avrei voluto essere ebreo, bolscevico, negro, omosessuale, drogato e mezzo matto, e come se non bastasse monco, ma sono diventato solo un professore di letteratura. Meno male, pensava Amalfitano, che ho potuto leggere migliaia di libri. Meno male che ho conosciuto i Poeti e che ho letto i Romanzi. (I Poeti, per Amalfitano, erano esseri umani splendenti come un lampo, e i Romanzi, le storie che nascevano dalla fonte del Don Chisciotte). Meno male che ho letto. Meno male che posso ancora leggere, si diceva tra scettico e speranzoso.“
2666- La parte dei delitti, pag. 119-120

La salvezza è nelle parole dei libri. Sempre Amalfitano, in Chiamate telefoniche racconta una storia che ha sentito raccontare, in cui un coscritto per errore finito in un campo delle SS, scoperto dai russi e scambiato per un collaborazionista, si salva esclamando “cazzo” perché la parola suona come “Kunst” in tedesco, termine che indica l’arte. L’arte e la poesia convivono fortunatamente con la barbarie. Quando è il loro momento sconvolgono i canoni correnti.  In una forma provocatoria, il racconto diviene verità in cui tutto è sensato e insensato insieme, indifferente alla morale e al suo equilibrio, tempo che coglie l’umanità nella sua vastità espressiva senza i limiti imposti da canoni morali ed estetici. Prima viene la verità della vita, il tempo e la libertà del caos prima della regola morale. Vorremmo la vittoria del bene, ma come in un sogno o un incubo la vita mette in vetrina se stessa in modo cinico e disincantato, ironico e sprezzante della mediocrità di ogni compromesso, vita libera di pescare nella parola e nel tempo per trovare la realtà umana affrancata dalla norma razionale.
“L’insegna, a grandi lettere rosse, annunciava la cantante di rancheras Coral Vidal, una seduta di striptease comunicativo e il famoso mago Alexander. Sotto la pensilina all’ingresso, in un brulichio di gente insonne, vendevano sigarette, droghe, frutta secca, riviste e giornali di Santa Teresa, Città del Messico, California e Texas. Mentre pagava un quotidiano della capitale, me ne dia uno qualunque, aveva detto all’edicolante, mi dia l’ ‘Excélsior’, un bambino gli tirò la manica.”

Come Arturo Belano nei Detective selvaggi, Amalfitano scopre il presente  quale replicante della vita sua e di altri, trova un ordine nella vita reinventandosi dentro nuove condizioni, tra passato e presente, memoria e scelta.

Nei Detective selvaggi,  Belano e Ulises Lima sono poeti in cerca di altri poeti, si muovono tra luoghi e persone  senza un delitto o un’indagine reale, lontani dall’essere detective secondo i canoni correnti. Cercano se stessi dentro a un fiume vitale – forse lo stesso di Huckleberry Finn – nell’avventura tra mille affluenti e rivoli spesso insignificanti. E arrivano al mare. Dentro l'acqua salata della storia, appare la poetessa Cesárea Tinajero che assume la parte simbolica che avrà Arcimboldi in 2666: poesia e letteratura fuori dai canoni. Ulises Lima e Arturo Belano, come real-visceralisti in cerca di se stessi e della poesia dentro un ordine più vasto, disordinato, attraversano con il lettore un mondo che è reale proprio perché ideale,  un paesaggio in cui i segni dell'intelletto e della poesia vorrebbero sostituire quelli della carne e della violenza. Nella realtà basta che la poesia non sia annullata dalla violenza ma le conviva fortunatamente accanto, come nei passi citati sopra su Amalfitano nei Dispiaceri e in Chiamate telefoniche: quando è il suo momento essa sconvolge i canoni correnti.

Leggendo Terzo Reich mi chiedevo dove volesse arrivare Bolaño. Se il gioco del terzo Reich è la metafora di qualcosa, una presenza non casuale della violenza, e l’insistenza sul Bruciato, sulla sua forza bruta e misteriosa un simbolo vivente della Storia con i suoi misfatti. Se c’è la cosa in sé in lui come in Philip Dick, e quell’uomo tornato bambino davanti a forze oscure è lo stesso nel Terzo Reich come nel Tempo fuor di sesto a cui s’ispira. Ma in Philip Dick la lucidità della memoria riporta a galla la verità delle cose, in Bolaño no: la suggestione dell’ignoto la suggerisce soltanto, detta le priorità senza mai chiarirsi, prepotente come nella realtà di ciascuno di noi. Disegna sempre nuovi quadri. La ripetizione dello war game spinge Hudo Berger dentro un gioco sconosciuto. Nelle simulazioni del gioco che affrontano scenari sempre nuovi Hudo non sa più rispondere da campione ed esce sconfitto come nella replica adulta dell’amore per Else e la rinuncia all’ordine solito della fidanzata. La libertà trova un suo codice perfetto nella sconfitta, nel nuovo ordine della prepotenza del gioco, dove l’uomo e il suo amore sono stati ipnotizzati da regole impersonali di provenienza oscura. Il Terzo Reich, prima di 2666 e senza i poeti protagonisti delle altre opere, è verità crudele del vivere oltre se stessi. Una prepotenza vitale decifrabile come suggestione della libertà, una fuga che porta la persona lontano insieme ai sogni insistiti della storia, in 2666 una fuga continua.

“La fuga si trasformava in libertà, anche se la libertà serviva soltanto a continuare a fuggire. Il caos si trasformava in ordine, sia pure a spese di quello che è comunemente noto come senno.2666- La parte di Amalfitano- pag.240

Nuovi confini s’aprono al corpo e alla mente, si abbattono i vincoli del “senno”. Nella suggestione la libertà si deforma e si amplia,  diventa sogno per esorcizzare paure e desideri. Come accade a Molly nel monologo dell’ Ulisse di Joyce, un’esenzione temporanea dalla prepotenza lascia la vita libera di ripetersi con altra armonia. Ignota e vasta. La libertà è replicata in mondi paralleli, eccezioni alla norma. Qui trova l’ordine 2666: solo nel disordine siamo concepibili. A Santa Teresa, è questo l’elemento vitale di Amalfitano. Replicando a suo modo Duchamp, appende a un albero come biancheria da stendere un libro di Dieste, Il testamento geometrico. Per giorni ne contempla il disfacimento e la degenerazione dovute agli agenti esterni. Ammira l’ordine che contiene anche il disordine, la nuova verità dei frammenti: realtà e vita oltre la geometria, l’indescrivibile oltre l’ordine, l’eccezione che mostra l’altra verità del mondo. Il frammento dissennato clona l’avventura umana a contatto con la vita. Amalfitano interroga il replicante di un filosofo “ammalato”, lo scomparso Guyau. Così la suggestione della libertà esce dal sogno. Guyau forse gli direbbe:

“Sia felice. Viva l’attimo. Sia buono. O il contrario: lei chi è? Cosa ci fa qui? Se ne vada. “   


Amalfitano gli chiede aiuto: non sa cosa è bene. Restare o fuggire. Trovare una risposta è il motivo per il 2666 di Bolaño, motivo inseguito pagina dopo pagina, con amore. Restare e vivere l’attimo: di questo s’alimenta l’amore. Ma anche l’odio. Andarsene: del movimento s’alimenta l’ordine creativo. E la libertà. I detective selvaggi attuano una fuga sospesa tra brutalità e poesia per liberare, in tutti i sensi, una puttana non assassina. Diversamente umana. Amalfitano fugge dentro Santa Teresa, tra dispiaceri e luoghi diversamente umani, dove un nuovo ordine è assicurato dal vero poliziotto. È un’isola senza mare in cui poter scoprire la magia, con il suo volto suggestivo.  La voce suggestiva del vecchio mago Alexander indovina le carte nascoste dall’ordine ignoto sotto quello apparente: replica attimi d’amore eccezionali e commoventi, scovando la perdita dell’amore dentro la vita ordinaria. Il nuovo ordine del piacere riconosce il legame che unisce padri e figli.

“Un’altra carta. E poi un’altra, in un’altra fila, e le carte continuano a formare, annunciate coralmente dagli spettatori, una scala reale di cuori (… ) Nel portafoglio, tra una foto di Rosa a dieci anni e un foglietto ingiallito e stropicciato, trovò la carta. Che carta è, signore? disse il mago, guardandolo fisso (… ) La regina di cuori, rispose Amalfitano. Il mago gli sorrise. Come avrebbe fatto suo padre. (….) Per favore, tolga la scarpa al piccino, disse il mago.            Il padre, un tipo magro e nerboruto dal sorriso gentile, tolse la scarpa al piccolo. Nella scarpa c’era la carta. Ad Amalfitano si riempirono gli occhi di lacrime…I dispiaceri del vero poliziotto- pag.114-115

Sagarana   ---- - - -





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