lunedì 31 gennaio 2011

E per Bolaño il Terzo Reich diventa un wargame

  Dario Voltolini  

22 gennaio 2011


Il trauma della memoria Un romanzo
postumo nel buco nero della guerra

Il Terzo Reich è stato terminato da Bolaño nel 1989. Scritto su quaderni, e successivamente ribattuto a macchina, fu trasferito parzialmente dall’autore sucomputer.Occupato dalla stesura del suo capolavoro 2666 e consapevole di avere molto probabilmente le ore contate (come poi purtroppo è stato), Bolaño non portòa termine la trascrizione del libro su computer e quindi, forse,nemmeno la sua definitiva revisione.

Non è certo un romanzo che formalmente risenta di questamancata revisione, anzi, è scritto con la limpidezza e la stupefacente maestria che sonola cifra stilisticadiquesto autore. Certo è un testo enigmatico e non va escluso che alcune chiavi di interpretazione siano rimaste per così dire nel la penna (nella tastiera) del grande cileno.

Siamo in un paese di mare della Costa Brava, dove il narratore, un tedesco di nome Udo Berger campione di wargames, in particolare del wargame chiamato «Il Terzo Reich», ritorna per una vacanza dopo dieci anni. Con lui la fidanzata, la bellissima Ingeborg. Dieci anni prima Udo era un ragazzino, ci veniva conla famiglia.Ora èungiovane uomo che si sente nel pieno della forza vitale edella soddisfazione di vivere.

La coppia fa presto amicizia con un'altra coppia tedesca e condue tipi locali chiamati Il Lupo e L’Agnello. Udo in verità è lì per studiare una variante del gioco Terzo Reich e per scrivere un articolo per una rivista specializzata.Non ama molto la vita da spiaggia, né socializzare con le nuove conoscenze. Tuttavia a poco a poco ogni relazione con gli altri attori della vicenda (centrali, come l'affascinante padronadell’hotel, o marginali che siano, come la cameriera) lo conduce a una progressiva destabilizzazione psichica ed emotiva e, potremmo dire, come spesso in Bolaño, metafisica.

Una figura in particolare viene a essere centrale nell’esperienza di Udo, un uomo muscoloso orrendamente ustionato, chiamato Il Bruciato, che vive sulla spiaggia affittando pattìni.

Il Bruciato diventa centrale perché comincia con Udo una partita decisiva a «Terzo Reich ».

Il romanzo è il diario di quei giorni scritto da Udo stesso.

Ora, il senso diminaccia e di pericolo che cresce di pagina in pagina è solo parzialmente giustificato dai fatti che il narratore racconta, e nemmeno le sottili fluttuazioni psicologiche dei personaggi, né le loro metamorfosi relazionali, riempiono l'enorme, magnetico vuoto che Bolaño allestisce. Una scena in particolare può fungere da esempio di questa sua capacità: Udo, chiamato a riconoscere unasalma ripescata dopo giorni in mare, come narratore arriva fino al puntocruciale e poi glissa e non descrive ciò che vede. Lo farà in seguito, indirettamente, riguadagnata una certa distanza. Qui Udo non è credibile come narratore, si tratta proprio di Bolaño, della sua capacità, anche altrove riscontrabile e forse alla base di tutto 2666, di arrivare fino all'orlo dell’abisso, fino a un millimetro oltre l’orlo dell’abisso e poi di riprendere da un'altra parte, scivolando verso altri abissi.

Chiaro qui è il trauma della Seconda Guerra Mondiale, trauma storico e anche mentale, visto che l'incessante tentativo dei giocatori di wargames è quello di rigiocare simbolicamente le grandi vicende storiche conducendole a esiti diversi da quelli reali, e anche trauma della memoria, che coinvolge tutta la narrazione, poiché nulla veniamo a sapere del passato che conduce il Bruciato a giocare con Udo, né perché porti su di sé quelle ferite. Tutto scorre come se qualcuno sapesse le cose che a noi sono celate,ma nessuno le sapesse tutte. E chi sa qualcosa invece di dire allude, sorride, fa l'occhiolino, fa smorfie, fa ipotesi che poi svaniscono.

La Seconda Guerra Mondiale qui funge da buco nero che organizza la narrazione e in questo il romanzo prefigura 2666, dove al posto di un buco nero dellanostra storia edellanostra memoria ci sarà il buco nero agghiacciante e attuale, nostro contemporaneo, della città di Santa Teresa.

tuttolibri  22 gennaio 2011


Due o tre cose che so sul mistero del genio Bolaño

  Marco Cicala intervista Ignacio Echevarría

di Marco Cicala , 28/01/2011

L'Heavy Metal come ispirazione. La passione per Risiko e Grande Fratello un'idea eroica della scrittura. Mentre in Italia esce un inedito viaggio tra i secreti di un autore "Postumo" raccontato da uno che lo riconosceva bene.

Barcellona. Oltre alla massima gioia della lettura, i pirotecnici libri di Roberto Bolaño producono in chi li ama altri due effetti. Primo: ti danno una voglia bestiale di metterti a scrivere. Secondo: ti accendono una fame non meno bestiale di un ulteriore Bolaño. E così via, fino a divorare tutto quanto egli abbia inventato nella sua vida breve (è morto nel 2003 a cinquant'anni), sradicata e sofferta. Ma felice. Per sua stessa ammissione: "Sono stato felice quasi tutti i giorni della mia vita, almeno per un attimo, incluse le circostanze più avverse". Traduci: l'esilio dal Cile di Pinochet, la bohème messicana - euforica ma pezzente ai confini dell'accattonaggio, e infine gli anni spagnoli del successo (tardivo), certo, ma pure della malattia epatica che l'avrebbe ucciso.

Adesso Adelphi manda in libreria Il Terzo Reich, romanzo riacciuffato da quella Fossa delle Marianne che sono gli inediti del grafomane Bolaño. Abisso senza fondo. Come le polemiche che sta suscitando. Solita, vexata quzestio: è lecito pubblicare quel che un autore teneva nel retrobottega? Se sì, fino a che punto?

Quando uscì in Spagna, El Tercer Reich fu presentato come un'opera compiuta. Di fatto, è un testo ricomposto da una massa di pagine sparse, in parte dattiloscritte, in parte trasferite su computer (Bolaño iniziò a servirsene nel 95, l'inizio della stesura andrebbe dunque retrodatato). Querelles filologiche a parte, qual è il valore del libro? "Soprattutto archeologico. Non aggiunge né toglie nulla a quanto conosciamo dell'universo-Bolaño. Ma, leggendolo, palpita il ricordo dei suoi momenti migliori" dice Ignacio Echevarría, critico e amico dello scrittore. Si conobbero nel '97. E subito Bolaño lo scaraventò nel grande, folle, funebre romanzo di formazione I detectives selvaggi, sotto le spoglie, appena mentite, del personaggio Iñaki Echevarne.

Echevarría ha curato l'edizione del magnum opus bolañano 2666 e della raccolta di recensioni Tra parentesi. Ha visionato i materiali rimasti sul pc ma non gli scatoloni con dattiloscritti e manoscritti. È perciò prudente riguardo alla pubblicazione di inediti come Los sinsabores del verdadero policía (I dolori del vero poliziotto) - che ora esce in Spagna, per volontà della vedova Carolina López e sotto l'ala di Andrew Wylie, il più potente e spregiudicato degli agenti letterari.

Los sinsabores è una storia incompiuta alla quale Bolaño lavorava dagli anni 80: siamo allo sfruttamento intensivo delle giacenze? "Tutto ciò che uno scrittore lascia dopo la morte può essere dato alle stampe" taglia corto Echevarría. "Se però certe pagine non sono state pubblicate in vita, una ragione ci dev'essere. Evidentemente l'autore non le riteneva all'altezza. Dunque direi: si faccia pure uscire tutto, ma con rigore filologico, situando i testi, spiegandoli con apparato critico, collocandoli nel loro giusto valore". Una parola. Specie da quando Bolaño spopola anche nel concupito mercato Usa. 


  Marco Cicala intervista Ignacio Echevarría



Qualcuno sostiene addirittura che vero propulsore della sua fama postuma siano stati proprio gli States.
"Storie. Quando Bolaño viene pubblicato in America è già un autore riconosciuto, tradotto in Germania come in Italia. Gli Stati Uniti non hanno creato Bolaño: forse solo accresciuto il suo mito".

Che tipo era?
"Molto divertente. Un solitario, ma facilmente avvicinabile".

Come lavorava?
"Quando l'ho conosciuto, specialmente di notte, ascoltando rock duro in cuffia. Era anche un grande consumatore di televisione. Stravedeva per i reality tipo Grande Fratello".

E per i giochi di strategia, che nel Terzo Reich impazzano. Torna anche il motivo allegorico del nazismo, un'ossessione: lei come la legge?
"In vari modi. Una prima interpretazione può essere biografica. In Cile, dove Bolaño vive fino a tredici anni, c'è una forte comunità di origine tedesca. Con villaggi che assomigliano al Tirolo. Una specie di mondo parallelo. Molto si è scritto e favoleggiato sui suoi legami con il nazismo. Non è escluso che quei racconti si siano incastonati nell'immaginario di Roberto da ragazzino. Per poi fondersi con il trauma del golpe di Pinochet. D'altra parte, nei suoi scritti riaffiora l'interrogativo su come poesia e bellezza possano coesistere coi crimini della storia, con il male. Riflessione che tocca il cuore ambiguo delle Avanguardie: fino a che punto, il loro progetto di estetizzare la vita, di rifondarla integralmente, ha elementi di contatto con i totalitarismi?".

Il fatto che traesse alimento da generi e letture disparatissimi, Cervantes e la fantascienza, Baudelaire e il cinema, Tito Livio e i polizieschi, i poemi e la pornografia, lo ha fatto erroneamente passare per una specie di tardo-pop o post-postmoderno...
"Un abbaglio. Fu un autodidatta onnivoro - impossibile tracciare una mappa delle sue letture. Aveva una cultura-bazaar, non una cultura-Google. Da Pop e Postmoderni lo separa la completa assenza di cinismo. Bolaño resta fedele a una visione eroica della scrittura come sfida esistenziale senza compromessi. Se vogliamo, vincolato all'idea rimbaudiana della letteratura che deve trasformare la vita. Certo, sempre con ironia. Che però non è disincanto ma, romanticamente, racchiude un'aspirazione alla totalità".

Al di là della venerazione indefettibile per Borges, il suo sguardo sui grandi latinoamericani, da Neruda a Octavio Paz, fu spesso sferzante. Di Gabriel García Márquez diceva: "Un uomo incantato di aver conosciuto tanti presidenti e arcivescovi"; di Vargas Llosa, che pure lo ammirava: "Stessa cosa, ma più pulito".
"Era un rifiuto istintivo. Quei giudizi riflettevano la sua di idea di autore come outsider anti-sistema. Faceva parte della sua storia, da quando, negli anni messicani, decise di fare lo scrittore, anzi, il poeta. Dei big, cosmopoliti e politicizzati, criticava più che altro il ruolo nella cultura come establishment. D'altro canto, lo irritava la fama, che riteneva ingiustificata, di bestselleristi tipo Isabel Allende o Pérez-Reverte. Ovvio, ci si può chiedere: e lui, se non fosse scomparso, come l'avrebbe gestita la sua, di fama? Chissà. Forse restando il più possibile nascosto".

Duro con i grandi ma benevolo con molti suoi contemporanei, esordienti o comunque meno noti. Nelle recensioni troviamo un Bolaño sorprendentemente amabile, sempre incoraggiante.

"È vero. Lì scattava in lui un sentimento di solidarietà. Perché aveva vissuto anni grami e oscuri e sapeva cosa significa coabitare con la possibilità di non essere letti, di rimanere sconosciuti".

Il Bolaño che lei ha frequentato era consapevole del proprio valore?
"Assolutamente. Un'ennesima conferma mi è arrivata poco tempo fa discutendo con i traduttori francese e tedesco: mi raccontavano di come non accettasse la benché minima modifica sui suoi testi".

Leggere Bolaño è anche un'esperienza pericolosa. Per contagio, rischi di passare all'atto, di dirti: "Posso farlo anch'io". Funesto equivoco: la stragrande maggioranza di noi non sa scrivere buoni libri, figuriamoci grandi libri...
"È perché in lui avverti subito la felicità di scrivere. E vieni catturato dalla velocità. Dall'apparente facilità della frase. Che non è flaubertiana, cesellata, ma liquida, fluviale, in questo vicina alla prosa spontanea dei beat sebbene molto più chiara, senza opacità misticheggianti. Ad affascinarti c'è, inoltre, la forte compenetrazione di letteratura e vita. Che molti libri di Bolaño parlino di libri non ne fa, come si tende a credere, uno scrittore per scrittori. I libri erano per lui un'esperienza. Se avesse fatto il meccanico avrebbe parlato di motori".

Negli ultimi anni, sapendosi gravemente ammalato, scrisse, ancor di più, come un pazzo. Eppure, contro il narcisismo di certi suoi colleghi, ribadiva sempre la fragilità, l'effimero della letteratura. L'illusione della posterità.
"Era una forma di modestia rispetto alla potenza annientatrice del tempo. Consapevolezza che nei veri scrittori convive senza contraddizioni con l'idea più alta ed enfatica di letteratura".

Bolaño viveva a Blanes, anonimo villaggio sulla costa catalana dove, prima del successo, teneva un negozio di bigiotteria. Fino alla fine vi restò appartato rivendicando il desiderio di una tranquillità ordinaria. Perché ce lo vendono come un "maledetto", magari pure eroinomane?
"Di "maledetto" c'era solo la sua idea radicale di letteratura, lo slancio romantico. Non coltivava alcuna vocazione autodistruttiva. E pazienza se adesso ne smerciano un'immagine maudit. Che importa se è diventato di moda, visto che è un vero autore? Eppoi andiamoci piano: non è mica Stephen King, i suoi libri stanno tra il culto e il successo, in Spagna vendono trentamila copie".

Prima che romanziere si considerava poeta. Anti-lirico, prosaico. All'estero i suoi versi restano per lo più non tradotti, come sono?
"Interessanti. Ma io preferisco il narratore. Punti di vista. Anche di Borges senti voci autorevolissime spiegarti che le sue poesie sono persino più grandi dei racconti".






venerdi di repubblica   - - - -
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sabato 29 gennaio 2011

Wargame del Male metafisico

  Stefano Lecchini

27 gennaio 2011


Il Terzo Reich
Adelphi, pag. 325,  20,00

Adifferenza di Murakami Harumi e del Philip K. Dick di «Time out of joint», Roberto Bolaño non è capace di adescarci troppo a lungo con la più amabile e croccante delle superfici per poi sconvolgerci con l’irruzione del tremendo e dell’irreparabile.

Perfida lealtà di Bolaño: fin da subito, quando tutto sembra allestito per accogliere una realtà media, quotidiana, e mediamente e quotidianamente affidabile, egli dissemina il cammino di molteplici e tutt'altro che vaghi segnali di allarme - finché l’allarme non finisce per diventare il subdolo basso continuo che inquieta e minaccia la narrazione. E’ la cifra peculiare del compianto scrittore cileno. Così anche «Il Terzo Reich» (il già leggendario inedito che Adelphi ora manda fuori da noi) si pone immediatamente sotto il segno dello sgomento e della minaccia ontologica.
Siamo nell’estate del 1989 (il libro tace, ma è facile dedurlo in quanto Bernd Schuster è già passato da un anno al Real): e il fatto che Bolaño stia scrivendo, come si suol dire, in diretta, rende l’aura di pericolo ancor più inquieta e incombente. Una coppia di giovani fidanzati tedeschi - Udo e Ingeborg - decide di trascorrere in Costa Brava un paio di settimane fra agosto e settembre. Per lui, campione e studioso di wargames, è un ritorno all’albergo dell’adolescenza. Fanno subito amicizia con un’altra coppia tedesca (Charlie e Hanna, venticinque anni anche loro), sottilmente minata dalle folli intemperanze di lui. Si trovano in spiaggia, frequentano discoteche e un sordido bar sul lungomare, lasciano che due strani ragazzi locali, il Lupo e l’Agnello, spesso li accompagnino in giro; e soprattutto conoscono il Bruciato, detto così perché ha il corpo e il volto sfigurati da terribili ustioni: è l’addetto ai pattini, che di notte si ritira a dormire nella «baracca» - qualcosa di simile a un tumulo barbaro, anche perché forse è il punto da cui l’Altrove si insinua nel Qui - assemblata ogni sera con i mosconi che di giorno vengono noleggiati. Ben presto ogni rapporto si sfalda. Udo vorrebbe passare almeno parte del tempo in camera, dove, su un tavolo, ha disposto la mappa esagonata del Terzo Reich (lui, antinazista, comanda le truppe naziste), per studiarne la variante decisiva capace di fargli vincere immancabilmente ogni campionato. Ci prova, e sembra che il tempo subisca una sospensione: ma gli avvenimenti lo incalzano. Dopo una furibonda lite con Hanna, che forse ha subito violenza (non sapremo mai se sia vero, né da chi), Charlie esce in mare con la tavola da windsurf e non fa più ritorno. Potrebbe essere un incidente: ma, sempre che davvero sia morto, forse si è ucciso - forse è stato ucciso. Prima che il cadavere venga ripescato, Hanna riparte per la Germania; Ingeborg la segue poco dopo: e Udo può anche cominciare a sospettarla di una relazione con il suo compagno di wargames, cui riferisce al telefono i (mancati) progressi nello studio del gioco. Qualcosa lo attira verso Frau Else, la matura e piacente proprietaria dell’albergo che già dieci anni prima lo aveva stregato: ma, benché suo marito sia malato terminale e resti pertanto invisibile (andando avanti capiremo fino a che punto), tutto, in questa attrazione su cui Bolaño gioca con piccoli, perversi tocchi da maestro, congiura perché il rapporto non venga consumato. Intanto, il Bruciato ingaggia con Udo la sfida decisiva al Terzo Reich. Sembra impossibile che ne abbia appreso così in fretta le regole. Forse è il marito di Else a istruirlo, avendo probabilmente sottratto le fotocopie del regolamento dalla camera di Udo. Ma non stentiamo a comprendere come in questa partita si innesti una sfida ben più decisiva, e forse mortale. Sulla quotidiana scansione degli eventi (Bolaño ha concepito questo libro come fosse il diario di Udo), cominciamo a sospettare - fino a quando il sospetto non diventa l’unica plausibile certezza di questo romanzo senza certezze - che si imprima una devastante forza ultramondana, capace di tornare infinite volte, senza esaurirsi, a sconvolgere le nostre ignare esistenze. Come Udo ha appreso dal giallo che Ingeborg ha lasciato in albergo e dai sogni che sempre più spesso lo visitano travolgendo e annientando l’ormai inservibile guarentigia del reale, forse il mondo non è altro che Male: e il Male (la sua essenza) non è altro che «aver commesso più volte lo stesso crimine» - e continuare, anche inconsapevolmente, a commetterlo. Il Male che è stato fatto una volta continuerà a ritornare: e a essere replicato in eterno, senza che noi riusciamo a immaginarlo,  nelle nostre minime azioni. Siamo solo le pedine di un gigantesco wargame metafisico che ci sovrasta e ci schiaccia, sbaragliando le nostre illusioni di mitezza, e la nostra sete di ordine, di pace e giustizia. Nessun gioco è innocente: e replica e replicherà fino alla fine dei tempi la stessa vicenda di odio, di sangue e di fuoco, su cui si regge l’oscura trama del mondo. Ma non è quest’allegoria (che lascia comunque il cuore del romanzo sigillato nell’enigma) a rendere «Il Terzo Reich» non un romanzo-monstre, in tutti i sensi, come «2666» e «I detective selvaggi», ma un libro comunque notevole.

Quel che ci conquista è, come sempre, la voce di Bolaño, la sua crudele felicità nel perforare, con oblique, vertiginose analogie e similitudini, la «cartina esagonata» del mondo: facendo sì che tutti i mondi possibili e impossibili da cui siamo pericolosamente osservati finiscano per sgominare la debolissima veglia del nostro - senza che nessun sogno (e men che meno quel sogno incerto che è la Letteratura) possa, almeno per ora, salvarci.


La gazzetta di Parma, 27 /1/ 2011
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inquietante immersione nelle radici del male

  Emily Barnett

28 gennaio 2011

 




Roberto Bolaño, Il terzo Reich
Adelphi, 325 pagine, 20,00 euro


Dal 2003, l’anno della sua morte, i romanzi postumi di Roberto Bolaño arrivano con la regolarità di un metronomo. I detective selvaggi e 2666 hanno finito per consolidare la fama dell’autore nel firmamento degli scrittori latinoamericani.

Accanto a queste odissee rock e poetiche, sorta di corse temporali e geografiche, Il terzo Reich, rappresenta un’opera di gioventù. Definizione singolare, visto che lo scrittore cileno non ha scritto nulla di significativo prima dei quarant’anni.

Scritto nel 1989, questo libro è un’inquietante immersione nelle radici del male, che prende la forma di un innocente diario di vacanza. Un giovane turista di origine tedesca, Udo Berger, racconta l’estate passata in Costa Brava con la fidanzata.

Quando non è in spiaggia, in discoteca, nei bar o a mollo, il protagonista, a porte chiuse, si dedica alla sua vera passione, i war game o giochi di guerra, con nomi meravigliosamente evocativi (The next war in Europe o, appunto, Il terzo Reich). Così durante l’estate, Udo rigiocherà le varie fasi dell’offensiva tedesca fra il 1939 e il 1945, realizzando un simpatico caso di revisionismo storico.

Con il finire dell’estate altri personaggi saranno coinvolti in questa strana attività: il Lupo, l’Agnello e il Bruciato, inquietanti personaggi locali che diventano i protagonisti di questo romanzo fuori dal tempo.
Strada facendo, Bolaño ha creato un paesaggio sempre più lunare, in cui un piccolo gruppo di adulti si ritrova a giocare alla guerra come dei bambini. Gli interrogativi sollevati dallo scrittore cileno riguardano gli aspetti primitivi dell’uomo: la pulsione aggressiva fa parte integrante di noi?

La guerra ha bisogno di un sostituto che funzioni come catarsi? Interrogare le origini del male, le pulsioni dell’uomo, sono gli elementi alla base della successiva opera di Bolaño. Gli stessi che in Notturno cileno o in Stella distante ritroveremo applicati alle dittature sudamericane, a cominciare da quella di Pinochet.
Nel 1989 lo scrittore esiliato in Spagna si è limitato ad abbozzare gli embrioni delle gigantesche riflessioni letterarie che sarebbero seguite. Il suo Terzo Reich è una critica ante litteram della violenza virtuale dei videogiochi e della sua rappresentazione eccessiva attraverso la tv e internet, di cui ancora oggi ci chiediamo se può essere legittimata come valvola di sfogo o se invece è un’istigazione all’aggressività.

Altrettanti enigmi che, in questo blitz­krieg di terz’ordine, assumono una luce lattiginosa da fine del mondo.

Emily Barnett, Les Inrockuptibles

Internazionale   - - - -

mercoledì 26 gennaio 2011

La leggenda, il gossip e l’arte La verità su Roberto Bolaño

  Michele de Mieri -


La leggenda, il gossip e l’arte
La verità su Roberto Bolaño

Forse è davvero giunto il momento di dire basta all’uso strumentale dell’eredità di uno dei massimi scrittori di questi anni. Forse è davvero l’ora di leggere i suoi libri piuttosto che appassionarsi a gossip editoriali, a presunte verità scomode sulla vita di questo autore che, almeno in Italia, fu ignorato in vita mentre uscivano i suoi romanzi, tanti, da Sellerio.

Roberto Bolaño, di cui ora le pagine culturali dei due maggiori quotidiani italiani abusano per logiche di controversialità e di eventizzazione, è uno scrittore che va letto anziché sbandierato per la sua morte prematura e per il successo postumo (verità poi parziale perché al momento della sua morte, nel 2003,

Bolaño era già una leggenda per una generazione di autori sudamericani e aveva vinto con I detective selvaggi i maggiori premi di area ispanica). C’è qualcosa che infastidisce, e che soprattutto non gioca a favore del lettore, ogni volta che evocandounfavoloso lascito si ipotizzano chissà quali capolavori, chissà quali sorprese dalle carte finite dalla fine del 2008 al mediatico agente Andrew Wylie.

Bolaño, siamo pronti a scommettere, non ha lasciato altri Stella distante, né Notturno cileno, né Puttane assassine e via dicendo. Lo stesso penta romanzo 2666 - che segna da noi il passaggio presso Adelphi - fu del tutto rivisto e approvato cosi come poi l’abbiamo letto; ora con molti dei recensori che si capisce bene che non l’hanno per niente letto (peggio ancora va con I detective) è triste assistere ad una sorta di frenesia per presunte parti seste e settime.

 L’effetto «caso Bolaño» «mito Bolaño» «ciclone Bolaño» si va ripetendo ora anche con l’uscita di Il Terzo Reich (Adelphi, traduzione di Ilide Carmignani, pp.325, €20), un romanzoper bolañistas di lungo corso visto che si tratta di un libro del primo Bolaño e che l’autore non vollemai pubblicare in vita. Non è il primo romanzo in assoluto che fu invece Anversa, scritto nell’80 e pubblicato con prefazione dell’autore nel 2002, a cui seguirono, nel 1981 Monsieur Pain e nel 1984, Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce, scritto insieme all’amico Antoni García Porta (tutti disponibili da anni al lettore non eventizzato). Tutto questo sta a dimostrare che il cantiere di Bolaño, prima che emergesse pubblicamente come narratore, intorno ai quarant’anni dell’autore, era molto attivo e incasinato. Il Terzo Reich è un testo a cui Bolaño lavorò nell’estate 1989, quindi sempre quando ancora l’autore non aveva pubblicamente esordito, e per oltre vent’anni è stato confinato nell’archivio, solo una sessantina di pagine furono trasferite al computer dallo scrittore.

TRE QUARTI E UN QUARTO Oggi nel giudicare questo romanzo, per tre quarti sicuramente delineato e lavorato mentre corre per l’ultima parte troppo repentinamente verso l’epilogo, si devono tener conto di alcuni fattori: un severo Bolaño ne parlò ad un suo amico giornalista, intorno al 2001, come di «una merda insalvabile», e sicuramente l’autore, in quel momento già celebre e consapevole del suo peso letterario, fu troppo sbrigativo nel giudizio visto che pure pubblicò testi minori come Un romanzetto canaglia. Dall’altro lato questo sospeso thriller senza soluzione è già un buon anticipo di alcuni dei temi e delle atmosfere che troveranno una più felice soluzione nelle opere degli anni Novanta.

Bolaño sceglie una cittadina della Catalogna, molto simile alla sua Blanes dove si era ritirato venendo via da Barcellona, per mettere in scena il racconto della fine di un’estate (e di molto altro) e che presto si impregna di un’atmosfera surreale e sempre in bilico tra unincubo e una paura di difficile decifrazione. UdoBerger èunventicinquenne tedesco arrivato in Costa Brava con la sua ragazza, tiene un diario di questi giorni: è il libro che noi leggiamo, per esercitarsi «ella prosa perché in futuro espressioni inadeguate o una sintassi zoppicante non screditino le scoperte contenute nei miei articoli». I due conoscono presto un’altra giovane coppia sempre tedesca e cominciano a frequentare insieme alcuni loschi individui locali: Il Lupo, l’Agnello e il Bruciato. I misteri che la storia man mano allestisce: fra tutte la scomparsa di Karl (componente della coppia tedesca incontrata), il riferimento ad una possibile violenza carnale mai accertata e il clima misterioso che circonda una stanza dell’albergo dove Udo e Ingeborg alloggiano fanno del libro un tipico schema sempre al lavoro nelle opere di Bolaño: stanze chiuse, persone scomparse, un meccanismo claustrofobico che pervade persino uno spazio aperto per eccellenza come la spiaggia.

Dal presente ma forse ancor più dal passato possono arrivare chissà quali minacce e chissà, sembra dirci Bolaño, se la battaglia che Udo sta combattendo in camera, su una cartina dell’Europa, è solo un wargame, di cui il tedesco èuncampione, oppure un sinistro modello in scala di un male che potrebbe ripetersi? La storia della Seconda Guerra Mondiale e quella del nazismo sono state due passioni costanti di Bolaño: dal falso manuale di La letteratura nazista in America alla quinta parte di 2666 sono temi che ritornano e che in questo romanzo fanno le prove su un tavolo da gioco, come nell’ossessione candida e sinistra che Udo ha per i generali del Terzo Reich, paragonati ai grandi scrittori tedeschi, e nella sfida che il misterioso Bruciato decide di affrontare per fermare le avanzate dei nazisti sulla cartina dispiegata in una stanza. Come comincia il Male? C’è un suo luogo di passaggio? Sono questiunpo’ i temi diunromanzo troppo severamente giudicato dal suo autore che in quel periodo leggeva, racconta lui stesso, romanzi di genere fra noir e fantascienza. Anche Il Terzo Reich, come molti dei libri scritti negli anni ‘80, racconta della fase avanzata di incubazione creativa che permetterà poi, nel volgere di un decennio, il dispiegarsi del meglio dell’opera di Bolaño, di quei testi che sono a disposizione dei lettori, meravigliosi e cupi, geniali e poetici, senza che necessariamente si aspetti ogni giorno unnuovo inedito, senza che si faccia gossip senza letteratura.

20 gennaio 2011
 
l'Unita  


Il sitplot senza confine di Roberto Bolaño

  Tommaso Pincio

il manifesto 26/1/2011 e Minima  Moralia
recensione de Il Terzo Reich

La voce si sparse rapida nell’ottobre 2008. Fra le carte del defunto Roberto Bolaño era spuntato un dattiloscritto di cui si ignorava l’esistenza. Andrew Wylie, la cui potente agenzia aveva da poco cominciato a rappresentare l’opera dello scrittore cileno, lo stava mostrando alla fiera di Francoforte. Non era un testo incompiuto né abortito, bensì un romanzo fatto e finito, un testo completamente redatto e con tanto di correzioni, ma per qualche inspiegata ragione non aveva mai raggiunto le stampe.

Il titolo, Il terzo Reich (Aldephi, trad. Ilide Carmignani, pp. 325, euro 20), non poteva non mandare in solluchero gli appassionati, giacché nel poliedrico mondo di questo scrittore il tema del nazismo è di casa quanto lo sono vecchie usuraie e gioco d’azzardo nelle pagine di Dostoevskij. Sul momento si ipotizzò che il testo fosse una parte apocrifa di 2666, l’ultima, mastodontica fatica dell’autore, anch’essa pubblicata postuma. Ipotesi errata. Si tratta invece di una giovanile incursione nella narrativa risalente agli anni Ottanta e nella quale lo scrittore sembra rimasticare un romanzo di Philip K. Dick, Tempo fuori sesto, che ha per protagonista un pacioso individuo, campione di un gioco a premi che compare ogni mattina sulle pagine del quotidiano locale.

Un set denso di mistero
Terzo Reich è giustappunto un gioco, un wargame, che ripropone gli scenari della Seconda guerra mondiale e del quale Udo Berger, giovanotto tedesco in vacanza in un piccolo centro sulla Costa Brava in compagnia della sua bella fidanzata, è un profondo conoscitore. Come avviene nei romanzi di Dick, la cappa sonnacchiosa di questo luogo di villeggiatura si colora a poco a poco di un mistero indefinibile. Gli eventi ci vengono riferiti, in forma diaristica e non aliena da una certa pedanteria, da Udo in persona, il quale, anziché godersi il mare e l’amore, preferisce starsene chiuso in albergo a elaborare nuove strategie. L’immersione in questo mondo speculativo lo aliena dalmondo circostante rendendolo un narratore inaffidabile, per cui ci è impossibile stabilire in quale misura gli strani personaggi che entrano in scena siano reali o un parto della maniacale fantasia di Udo.

ROBERTO BOLAÑO COSÌ SI COSTRUISCE IL MITO DI UNO SCRITTORE

  DARIO PAPPALARDO

17 gennaio 2011

ROBERTO BOLAÑO COSÌ SI COSTRUISCE IL MITO DI UNO SCRITTORE

Mentre batteva a macchina Il Terzo Reich, il romanzo che Adelphi manda ora in libreria (traduzione di Ilide Carmignani, pagg. 326, euro 19), Roberto Bolaño credeva ancora che sarebbe morto senza riuscire a vivere della scrittura.

Era il 1989, abitava già a Blanes, stazione balneare catalana tutt' altro che esclusiva, e si arrabattava come poteva: cameriere, venditore di bigiotteria, guardiano notturno in un campeggio. Ignorava che il successo critico sarebbe arrivato nel decennio successivo con la pubblicazione dei Detective selvaggi. Ma soprattutto non avrebbe mai saputo quanto la sua morte precoce, a cinquanta anni, nel 2003 per una malattia epatica, avrebbe coinciso con l' inizio della costruzione di un mito. Quale ormai è lo scrittore cileno.

Negli Stati Uniti, le sue opere sono state vendute in 100 mila copie, cifra record per un paese che legge libri tradotti solo per il 3 per cento. Le tesi su Bolaño vanno di moda nelle accademie e la fama ha influenzato anche la cultura pop. Patti Smith gli ha dedicato una canzone: Black Leaves' , suonata in Catalogna con Lautaro Bolaño López, figlio ventenne dello scrittore, alla chitarra. Mentre Hollywood da un po' ha messo in cantiere un film dai Detective selvaggi con Gael García Bernal. Bolaño eroe on the road. Bolaño bandito. Bolaño ribelle imprigionato durante il golpe di Pinochet. Tombeur de femmes. Eroinomane. Di volta in volta confuso con i suoi alter ego letterari (primo fra tutti, l' Arturo Belano dei Detective ).

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un libro vi trasporterà   di Francesco Forlani  --

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sabato 22 gennaio 2011

attenti a quel libro (Il terzo reich)

  tiziano Giannotti -

La repubblica delle donne 22 gennaio 2011

attenti a quel libro

Il romanzo inedito di Roberto Bolaño, il diario di una disfatta e una discesa all'inferno passando per gli esagoni di un wargame da tavolo: Il Terzo Reich. Una discesa cadenzata in sibili e tonfi. Sibili del maligno che attraversano il racconto, tonfi della coscienza del protagonista, un giovane tedesco che vagheggia le figure dei leggendari generali della II Guerra mondiale, Rommel, von Manstein, Guderian, e intanto non si avvede del nemico che lo aspetta al varco. Siamo alla fine di un'estate degli anni 80, in Costa Brava: Udo Berger arriva all'Hotel del Mar insieme alla giovane Ingeborg per una vacanza. È uno di quei giovani uomini minacciati dalla propria leggerezza, che non sanno del Male, dormono bene e si svegliano freschi, non si annoiano mai e accudiscono la minaccia che gli cresce accanto silenziosa.

Il giorno dell'arrivo chiede un tavolo ampio per poter disporre le mappe del wargame di cui è campione - e noi vediamo la minaccia dispiegarsi in tutta la sua portata. Intorno a Udo lo scrittore dispone le figure dell'enigma: Frau Else, bella donna nel fulgore della prima maturità, quando la freschezza si fa variegata di malinconia e rimorso, la bionda chimera che è la Germania di Udo; Ingeborg, tutta timore e concretezza e i due connazionali Karl detto Charly e Hanna, che mostrano le stimmate delle vittime; il marito malato di Frau Else, un fantasma, elusiva figura del maleficio; e il Bruciato, un vigoroso vilain sfigurato dalle ustioni che noleggia vecchi pattíni e la sera li raduna in una sinistra formazione, che Udo vede come un tumulo barbaro. Da quel punto tutto cambia di segno: i sogni diventano incubi e il bar sul lungomare che è il ritrovo dei giovani rivela la sua aura di disgrazia.

Tutto è pronto per la sfida, Udo e il Bruciato siedono al tavolo, in palio l'anima. E Bolaño ancora una volta ci accompagna come un Virgilio ferito nei gironi dell'inferno contemporaneo, con quelle "frasi carenti di tranquillità" (Anversa) che sono la forma letteraria d'una dissidenza selvaggia che si fa romanzo. Certo qualcosa nell'ultima parte dice perché Bolaño non ha pubblicato il libro in vita: chissà cosa ne avrebbe tratto rimettendoci al momento giusto le mani. Ma anche così, che meraviglia.


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venerdì 14 gennaio 2011

'Impression d'Afreak' al Meta-Teatro di Roma

Pippo di Marca-


Teatro: uno spettacolo 'lungo' 21 serate, 

 Roma, 14 gen. (Adnkronos) - In scena un ''lungoteatro'. Lunedi' prossimo, alle 21, debuttera' all'Atelier Meta-Teatro ''Impression d'Afreak 7/7/7'' il nuovo spettacolo di Pippo Di Marca. Si tratta di uno spettacolo insolito, nel senso che si sviluppera' per 21 serate, per l'esattezza 21 lunedi' consecutivi, durante l'arco dell'intera stagione teatrale. Ogni serata, tuttavia, sara' totalmente diversa rispetto alla precedente, costituendo spettacolo unico e irripetibile, ancorche' sotto lo stesso titolo. In effetti, quindi, lunedi' 17 gennaio andra' in scena la prima puntata di un lungo esperimento teatrale. Che, al di la' della continua metamorfosi alla quale verra' sottoposto nelle 21 differenti versioni, si configurera' come uno stesso unicum ideativo e drammaturgico basato su una rigida composizione a contenitore - una sorta di sceneggiatura teatrale, o se si vuole format - suddiviso invariabilmente in piu' parti, o quadri: sette. Il format drammaturgico-performativo ricalca un 'rituale' fisso entro cui si sviluppano e ogni volta si riformulano tutte le 'soire'es', programmaticamente ispirate a surrealistici cortocircuiti 'exquis', 'squisiti', ma all'occorrenza in-sensatamente spietati.

Gli autori (tra cui figurano Roberto Bolaño, Thomas Bernhard, Carlo Emilio Gadda, Julio Corta'zar, Edoardo Sanguineti, Franco Cordelli, Lautre'amont) dei ventuno romanzi che andranno a confluire nella parte ''Pezzi di lettera/dura'' e che costituiscono il segmento piu' cospicuo, in certo senso l'asse drammaturgico portante, il segno distintivo di ogni serata (sulla lontana scia di Raymond Roussel, Lautre'amont... et d'autres fre'res) sono stati scelti da Luca Archibugi, Andrea Cortellessa e Pippo Di Marca, sette per ciascuno: in sintonia con il numero che sovrintende all'intero progetto.

Collaborano allo spettacolo Luisa Taravella (spazio scenico), Michele Marsili (cura video), Simona Volpi (ricerche e aiuto regia).

APippo di marca su archivio Bolano   - - - -
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domenica 9 gennaio 2011

  Alejandra Oyarce Orrego


* Chiara Bolognese
Pistas de un naufragio. Cartografía de Roberto Bolaño,
Santiago de Chile,
Editorial Margen, 2009, pp. 317.
introduzione di Roberto Brodsky









Chiara Bolognese, italiana, licenciada en Lenguas y Literaturas extranjeras, doctora en Literatura por la Universidad Autónoma de Madrid. Realiza su investigación posdoctoral en la Université de Poitiers, centrándose en una de sus líneas de investigación, la narrativa y poesía chilena contemporánea y, de manera específica, en la obra de Roberto Bolaño. Como resultado de ello, a fines del año recién pasado nos ha sorprendido con su trabajo Pistas de un naufragio. Cartografía de Roberto Bolaño (2009).

El libro se inicia con un interesante prólogo de Roberto Brodsky, seguido de una esclarecedora introducción en la cual Bolognese destaca que no existe un trabajo sistemático que se haga cargo del estudio en profundidad de la totalidad de la obra de Roberto Bolaño, idea con la que coincidimos; asimismo, da cuenta detalladamente de cada una de las partes que conforman el texto, como también de las perspectivas críticas y lineamientos teóricos que organizan su investigación.

sabato 8 gennaio 2011

il terzo reich in uscita

Il terzo Reich - di Roberto Bolaño

(trad Ilide Carmignani)  

                             

                          

Adelphi ha annunciato  la prossima uscita de Il terzo Reich, romanzo postumo di Roberto Bolaño, tradotto da Ilide carmignani.
Sul sito  di Libreria universitaria   è possibile prenotare il libro che verrà spedito enza costi di spedizione, o chiedere di essere avvisati quando verra pubblicato (presumiamo nel mese di gennaio).
Il Terzo Reich , fu scritto a mano in vari quaderni e terminato nel 1989. Successivamente fu trascritto a macchina e depositato in in una cassa. Prima di morire Bolano era riuscito a trasferire 60-90 pagine del testo dattiloscritto (contenente delle annotazioni a mano ) sul PC. L'impresa rimase inconclusa probabilmente perchè nel 2003 Bolano era totalmente immerso nella stesura di 2666, e lavorare alla revisione e correzione del romanzo gli sembro' un lavoro troppo impegnativo in quel momento.
La mania di Bolaño, che a volte diventata una vera e propria ossessione, per i giochi di guerra da tavolo (soprattutto) e digitali è risaputa.

Ecco la breve sintesi del libro tratta da libreria universitaria

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Appena mette piede, in compagnia della fidanzata, nella sua stanza d'albergo sulla Costa Brava, il giovane Udo Berger ottiene, dopo molte insistenze, che gli venga portato un grande tavolo, sul quale piazza il war game di cui è campione assoluto e di cui intende elaborare nuove e più audaci strategie: Il Terzo Reich. L'atmosfera è delle più beatamente, ottusamente balneari. Eppure, quasi subito, sentiamo che non tutto è luce, e che nell'ombra sono in agguato fantasmi inquietanti. Né ci vorrà molto perché la liscia superficie della routine vacanziera si incrini: e dalle fenditure vedremo apparire qualcosa in cui non potremo che riconoscere il Male. A mano a mano che l'estate si spegnerà, l'albergo, svuotandosi, assomiglierà pericolosamente a quello di Shining - mentre noi, insieme a Udo (sempre più ossessionato dal suo gioco, e risoluto a trovare il modo di portare alla vittoria l'esercito tedesco nella seconda guerra mondiale), cominceremo a interrogarci sugli eventi ominosi a cui andiamo assistendo: a chiederci, per esempio, a che cosa miri davvero Frau Else, l'affascinante ed enigmatica proprietaria dell'albergo; e perché il Bruciato, l'uomo dal corpo e il volto coperti di cicatrici ripugnanti che vive sulla spiaggia, abbia ingaggiato contro Udo una lunghissima partita di Terzo Reich, più simile a un duello o a una resa dei conti - e che potrebbe anche concludersi nel sangue; e soprattutto per quali tortuose vie quel che avviene nel gioco influenzi gli avvenimenti del mondo reale - o non è piuttosto il contrario? Venuto alla luce pochi mesi fa, questo romanzo del primo Bolaño rivela già tutta la forza e la sapienza della sua scrittura, la sua capacità di evocare atmosfere di sorda, velenosa minaccia.




martedì 4 gennaio 2011

Le grandi opere

  Via Pozzo 6 -

Ecco qualcosa che ho letto e non potrò più far finta di non aver letto, come fossi andato a sbattere contro il muro:
Uno degli impiegati era un farmacista quasi adolescente, estrememente magro e con grandi occhiali, che la sera, quando la farmacia era di turno, leggeva sempre un libro. Una volta Amalfitano gli chiese, tanto per dire qualcosa mentre il giovane cercava sugli scaffali, quali libri gli piacevano e cosa stava leggendo in quel momento. Il farmacista gli rispose, senza voltarsi, che gli piacevano i libri tipo La metamorfosi, Bartleby, Un cuore semplice, Canto di Natale. E poi gli disse che stava leggendo Colazione da Tiffany, di Capote. Anche trascurando il fatto che Un cuore semplice e Canto di Natale erano racconti e non libri, i gusti di quel giovane farmacista colto [...] erano indicativi di una preferenza netta, indiscussa, per l’opera minore a discapito dell’opera maggiore. Sceglieva La metamorfosi invece del Processo. Sceglieva Bartleby invece di Moby Dick, sceglieva Un cuore semplice invece di Bouvard e Péuchet e Canto di Natale invece di Le due città o del Circolo Pickwick. Che triste paradosso, pensò Amalfitano. Neppure i farmacisti colti osano più cimentarsi con le grandi opere, imperfette, torrenziali, in grado di aprire vie nell’ignoto. Scelgono gli esercizi perfetti dei grandi maestri. In altre parole, vogliono vedere i grandi maestri tirare di scherma in allenamento, ma non vogliono saperne dei combattimenti veri e propri, quando i grandi maestri lottano contro quello che ci spaventa tutti, quello che atterrisce e sgomenta, e ci sono sangue e ferite mortali e fetore.
(Roberto Bolano, 2666 – La parte di Amalfitano)

Via Pozzo 6  12 luglio 2010
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domenica 2 gennaio 2011

Dialogo con José Saramago

  di Massimo rizzante 


Dialogo con José Saramago


Questo dialogo (che in realtà sono tre dialoghi avvenuti tra il 1994 e il 2004 in tre città diverse) è tratto da un'opera di dialoghi e ricordi intitolata "Avanzando verso il passato" di prossima pubblicazione. (Massimo Rizzante)


MR - Una domanda sulla sua vocazione romanzesca. La sua carriera letteraria iniziò nel 1947 con la pubblicazione di Terra do pecado. Il suo secondo romanzo, Manuale di pittura e calligrafia, uscì trent’anni dopo, nel 1976. Come mai un così lungo silenzio?

       JS - Cominciamo dalla vocazione romanzesca. Siamo nel 1947. Un ragazzo privo di studi universitari, educatosi nelle biblioteche pubbliche, scrive un romanzo. Trova miracolosamente un editore che gli consiglia di cambiare il titolo iniziale, A Viúva, ritenuto poco “commerciale”, con Terra do pecado. Il giovane scrittore, eccitato dalla prospettiva di vedere il suo libro pubblicato, accetta. Il romanzo ha il successo che merita, cioè nessuno. Il giovane scrittore allora si rimette al lavoro e scrive un altro romanzo, Clarabóia, a tutt’oggi inedito. Poi, vent’anni di silenzio, fino alla pubblicazione, nel 1966, di un libro di poesie, Le poesie possibili. Ecco la mia preistoria come scrittore. Credo sia perciò azzardato parlare di «vocazione romanzesca», tanto più che il mio primo libro di poesie osava proporsi appena come «possibile». Dovevano trascorrere ancora undici anni prima che l’autore, già molto meno giovane, trovasse la forza di confrontarsi per davvero con il romanzo. Perché un così lungo silenzio? Dopo aver scritto Clarabóia, compresi di non avere più niente d’interessante da dire. Le ragioni estetiche del successivo rifiuto del mio primo romanzo? Non si tratta di ragioni estetiche, ma semplicemente del fatto che Terra do pecado era stato scritto da un’altra persona, una sorta d’altro io fossilizzato nel tempo. Se alla fine ritornai al romanzo, fu grazie alla poesia che andavo scrivendo: riflessiva, concettuale, a volte descrittiva.

      
MR - Il protagonista di Manuale di pittura e calligrafia abbandona – per poi farvi ritorno – la pittura e si dedica anima e corpo alla letteratura come altra forma di conoscenza. Pensa che il romanzo sia una forma d’arte e di conoscenza autonoma rispetto a tutte le altre?

sabato 1 gennaio 2011

DUE INEDITI E UN FILM PER IL "MITO" BOLANO

  DARIO PAPPALARDO -


due romanzi inediti  in arrivo, un documentario e un ricco arvhivio: l'esplorazione del pianeta Roberto Bolaño non è ancora terminata. Se per trovare in libreria una nuova  opera di stieg larson bisognerà attendere  non si sa quanto, diverso è il caso dell'autore cileno morto nel 2003, che con lo svedese condivide una fortunata fama postuma. Qui però non ci sono faide tra eredi familiari ed ex-compagne. La vedova Carolina, con la complicità del potentissimo agente americano Andrew Wylie, continua a pubblicare i manoscritti del marito, osaìnnato negl istati uniti e non

solo, dal tempo delle prime entusiastiche recensioni di Susan Sontag. Il noir Il Terzo Reich, stampato quest'anno in Spagna e America Latina, uscirà da noi il mese prossimo grazie ad Adelphi, che ha già tradotto il capolavoro in cinque parti 2666, la raccolta di saggi Tra parentesi e il romanzo breve Amuleto (gli altri libri sono targati Sellerio).

il rumore del vento

  Vincenzo Aiello-

il rumore del vento 

Ho scoperto da relativamente poco il Roberto Bolano, questo autore cileno – morto cinquantenne a Barcellona – e vissuto soprattutto – come si arguisce dalle sue opere – in Messico. Per tante ragioni – morte prematura, biografia non ancora sistematizzata – è destinato, secondo i più avvertiti, a divenire oggetto di culto, a mo’ del già citato e lodato Stieg Larsson, che ha condiviso con lui un percorso di esplosione in libreria post mortem. Dalla lettura di “Amuleto” e “2666” che l’ottima Adelphi nella traduzione sempre viva della Ilide Carmignani ha approntato – a gennaio già si annuncia un altro tomo del nostro – mi sono fatto persuaso che ci troviamo di fronte ad un grande narratore di storie civili.