Stefano Lecchini
27 gennaio 2011
Il Terzo Reich
Adelphi, pag. 325, 20,00
Adelphi, pag. 325, 20,00
Adifferenza di Murakami Harumi e del Philip K. Dick di «Time out of joint», Roberto Bolaño non è capace di adescarci troppo a lungo con la più amabile e croccante delle superfici per poi sconvolgerci con l’irruzione del tremendo e dell’irreparabile.
Perfida lealtà di Bolaño: fin da subito, quando tutto sembra allestito per accogliere una realtà media, quotidiana, e mediamente e quotidianamente affidabile, egli dissemina il cammino di molteplici e tutt'altro che vaghi segnali di allarme - finché l’allarme non finisce per diventare il subdolo basso continuo che inquieta e minaccia la narrazione. E’ la cifra peculiare del compianto scrittore cileno. Così anche «Il Terzo Reich» (il già leggendario inedito che Adelphi ora manda fuori da noi) si pone immediatamente sotto il segno dello sgomento e della minaccia ontologica.
Siamo nell’estate del 1989 (il libro tace, ma è facile dedurlo in quanto Bernd Schuster è già passato da un anno al Real): e il fatto che Bolaño stia scrivendo, come si suol dire, in diretta, rende l’aura di pericolo ancor più inquieta e incombente. Una coppia di giovani fidanzati tedeschi - Udo e Ingeborg - decide di trascorrere in Costa Brava un paio di settimane fra agosto e settembre. Per lui, campione e studioso di wargames, è un ritorno all’albergo dell’adolescenza. Fanno subito amicizia con un’altra coppia tedesca (Charlie e Hanna, venticinque anni anche loro), sottilmente minata dalle folli intemperanze di lui. Si trovano in spiaggia, frequentano discoteche e un sordido bar sul lungomare, lasciano che due strani ragazzi locali, il Lupo e l’Agnello, spesso li accompagnino in giro; e soprattutto conoscono il Bruciato, detto così perché ha il corpo e il volto sfigurati da terribili ustioni: è l’addetto ai pattini, che di notte si ritira a dormire nella «baracca» - qualcosa di simile a un tumulo barbaro, anche perché forse è il punto da cui l’Altrove si insinua nel Qui - assemblata ogni sera con i mosconi che di giorno vengono noleggiati. Ben presto ogni rapporto si sfalda. Udo vorrebbe passare almeno parte del tempo in camera, dove, su un tavolo, ha disposto la mappa esagonata del Terzo Reich (lui, antinazista, comanda le truppe naziste), per studiarne la variante decisiva capace di fargli vincere immancabilmente ogni campionato. Ci prova, e sembra che il tempo subisca una sospensione: ma gli avvenimenti lo incalzano. Dopo una furibonda lite con Hanna, che forse ha subito violenza (non sapremo mai se sia vero, né da chi), Charlie esce in mare con la tavola da windsurf e non fa più ritorno. Potrebbe essere un incidente: ma, sempre che davvero sia morto, forse si è ucciso - forse è stato ucciso. Prima che il cadavere venga ripescato, Hanna riparte per la Germania; Ingeborg la segue poco dopo: e Udo può anche cominciare a sospettarla di una relazione con il suo compagno di wargames, cui riferisce al telefono i (mancati) progressi nello studio del gioco. Qualcosa lo attira verso Frau Else, la matura e piacente proprietaria dell’albergo che già dieci anni prima lo aveva stregato: ma, benché suo marito sia malato terminale e resti pertanto invisibile (andando avanti capiremo fino a che punto), tutto, in questa attrazione su cui Bolaño gioca con piccoli, perversi tocchi da maestro, congiura perché il rapporto non venga consumato. Intanto, il Bruciato ingaggia con Udo la sfida decisiva al Terzo Reich. Sembra impossibile che ne abbia appreso così in fretta le regole. Forse è il marito di Else a istruirlo, avendo probabilmente sottratto le fotocopie del regolamento dalla camera di Udo. Ma non stentiamo a comprendere come in questa partita si innesti una sfida ben più decisiva, e forse mortale. Sulla quotidiana scansione degli eventi (Bolaño ha concepito questo libro come fosse il diario di Udo), cominciamo a sospettare - fino a quando il sospetto non diventa l’unica plausibile certezza di questo romanzo senza certezze - che si imprima una devastante forza ultramondana, capace di tornare infinite volte, senza esaurirsi, a sconvolgere le nostre ignare esistenze. Come Udo ha appreso dal giallo che Ingeborg ha lasciato in albergo e dai sogni che sempre più spesso lo visitano travolgendo e annientando l’ormai inservibile guarentigia del reale, forse il mondo non è altro che Male: e il Male (la sua essenza) non è altro che «aver commesso più volte lo stesso crimine» - e continuare, anche inconsapevolmente, a commetterlo. Il Male che è stato fatto una volta continuerà a ritornare: e a essere replicato in eterno, senza che noi riusciamo a immaginarlo, nelle nostre minime azioni. Siamo solo le pedine di un gigantesco wargame metafisico che ci sovrasta e ci schiaccia, sbaragliando le nostre illusioni di mitezza, e la nostra sete di ordine, di pace e giustizia. Nessun gioco è innocente: e replica e replicherà fino alla fine dei tempi la stessa vicenda di odio, di sangue e di fuoco, su cui si regge l’oscura trama del mondo. Ma non è quest’allegoria (che lascia comunque il cuore del romanzo sigillato nell’enigma) a rendere «Il Terzo Reich» non un romanzo-monstre, in tutti i sensi, come «2666» e «I detective selvaggi», ma un libro comunque notevole.
Quel che ci conquista è, come sempre, la voce di Bolaño, la sua crudele felicità nel perforare, con oblique, vertiginose analogie e similitudini, la «cartina esagonata» del mondo: facendo sì che tutti i mondi possibili e impossibili da cui siamo pericolosamente osservati finiscano per sgominare la debolissima veglia del nostro - senza che nessun sogno (e men che meno quel sogno incerto che è la Letteratura) possa, almeno per ora, salvarci.
La gazzetta di Parma, 27 /1/ 2011
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