lunedì 31 gennaio 2011

Due o tre cose che so sul mistero del genio Bolaño

  Marco Cicala intervista Ignacio Echevarría

di Marco Cicala , 28/01/2011

L'Heavy Metal come ispirazione. La passione per Risiko e Grande Fratello un'idea eroica della scrittura. Mentre in Italia esce un inedito viaggio tra i secreti di un autore "Postumo" raccontato da uno che lo riconosceva bene.

Barcellona. Oltre alla massima gioia della lettura, i pirotecnici libri di Roberto Bolaño producono in chi li ama altri due effetti. Primo: ti danno una voglia bestiale di metterti a scrivere. Secondo: ti accendono una fame non meno bestiale di un ulteriore Bolaño. E così via, fino a divorare tutto quanto egli abbia inventato nella sua vida breve (è morto nel 2003 a cinquant'anni), sradicata e sofferta. Ma felice. Per sua stessa ammissione: "Sono stato felice quasi tutti i giorni della mia vita, almeno per un attimo, incluse le circostanze più avverse". Traduci: l'esilio dal Cile di Pinochet, la bohème messicana - euforica ma pezzente ai confini dell'accattonaggio, e infine gli anni spagnoli del successo (tardivo), certo, ma pure della malattia epatica che l'avrebbe ucciso.

Adesso Adelphi manda in libreria Il Terzo Reich, romanzo riacciuffato da quella Fossa delle Marianne che sono gli inediti del grafomane Bolaño. Abisso senza fondo. Come le polemiche che sta suscitando. Solita, vexata quzestio: è lecito pubblicare quel che un autore teneva nel retrobottega? Se sì, fino a che punto?

Quando uscì in Spagna, El Tercer Reich fu presentato come un'opera compiuta. Di fatto, è un testo ricomposto da una massa di pagine sparse, in parte dattiloscritte, in parte trasferite su computer (Bolaño iniziò a servirsene nel 95, l'inizio della stesura andrebbe dunque retrodatato). Querelles filologiche a parte, qual è il valore del libro? "Soprattutto archeologico. Non aggiunge né toglie nulla a quanto conosciamo dell'universo-Bolaño. Ma, leggendolo, palpita il ricordo dei suoi momenti migliori" dice Ignacio Echevarría, critico e amico dello scrittore. Si conobbero nel '97. E subito Bolaño lo scaraventò nel grande, folle, funebre romanzo di formazione I detectives selvaggi, sotto le spoglie, appena mentite, del personaggio Iñaki Echevarne.

Echevarría ha curato l'edizione del magnum opus bolañano 2666 e della raccolta di recensioni Tra parentesi. Ha visionato i materiali rimasti sul pc ma non gli scatoloni con dattiloscritti e manoscritti. È perciò prudente riguardo alla pubblicazione di inediti come Los sinsabores del verdadero policía (I dolori del vero poliziotto) - che ora esce in Spagna, per volontà della vedova Carolina López e sotto l'ala di Andrew Wylie, il più potente e spregiudicato degli agenti letterari.

Los sinsabores è una storia incompiuta alla quale Bolaño lavorava dagli anni 80: siamo allo sfruttamento intensivo delle giacenze? "Tutto ciò che uno scrittore lascia dopo la morte può essere dato alle stampe" taglia corto Echevarría. "Se però certe pagine non sono state pubblicate in vita, una ragione ci dev'essere. Evidentemente l'autore non le riteneva all'altezza. Dunque direi: si faccia pure uscire tutto, ma con rigore filologico, situando i testi, spiegandoli con apparato critico, collocandoli nel loro giusto valore". Una parola. Specie da quando Bolaño spopola anche nel concupito mercato Usa. 


  Marco Cicala intervista Ignacio Echevarría



Qualcuno sostiene addirittura che vero propulsore della sua fama postuma siano stati proprio gli States.
"Storie. Quando Bolaño viene pubblicato in America è già un autore riconosciuto, tradotto in Germania come in Italia. Gli Stati Uniti non hanno creato Bolaño: forse solo accresciuto il suo mito".

Che tipo era?
"Molto divertente. Un solitario, ma facilmente avvicinabile".

Come lavorava?
"Quando l'ho conosciuto, specialmente di notte, ascoltando rock duro in cuffia. Era anche un grande consumatore di televisione. Stravedeva per i reality tipo Grande Fratello".

E per i giochi di strategia, che nel Terzo Reich impazzano. Torna anche il motivo allegorico del nazismo, un'ossessione: lei come la legge?
"In vari modi. Una prima interpretazione può essere biografica. In Cile, dove Bolaño vive fino a tredici anni, c'è una forte comunità di origine tedesca. Con villaggi che assomigliano al Tirolo. Una specie di mondo parallelo. Molto si è scritto e favoleggiato sui suoi legami con il nazismo. Non è escluso che quei racconti si siano incastonati nell'immaginario di Roberto da ragazzino. Per poi fondersi con il trauma del golpe di Pinochet. D'altra parte, nei suoi scritti riaffiora l'interrogativo su come poesia e bellezza possano coesistere coi crimini della storia, con il male. Riflessione che tocca il cuore ambiguo delle Avanguardie: fino a che punto, il loro progetto di estetizzare la vita, di rifondarla integralmente, ha elementi di contatto con i totalitarismi?".

Il fatto che traesse alimento da generi e letture disparatissimi, Cervantes e la fantascienza, Baudelaire e il cinema, Tito Livio e i polizieschi, i poemi e la pornografia, lo ha fatto erroneamente passare per una specie di tardo-pop o post-postmoderno...
"Un abbaglio. Fu un autodidatta onnivoro - impossibile tracciare una mappa delle sue letture. Aveva una cultura-bazaar, non una cultura-Google. Da Pop e Postmoderni lo separa la completa assenza di cinismo. Bolaño resta fedele a una visione eroica della scrittura come sfida esistenziale senza compromessi. Se vogliamo, vincolato all'idea rimbaudiana della letteratura che deve trasformare la vita. Certo, sempre con ironia. Che però non è disincanto ma, romanticamente, racchiude un'aspirazione alla totalità".

Al di là della venerazione indefettibile per Borges, il suo sguardo sui grandi latinoamericani, da Neruda a Octavio Paz, fu spesso sferzante. Di Gabriel García Márquez diceva: "Un uomo incantato di aver conosciuto tanti presidenti e arcivescovi"; di Vargas Llosa, che pure lo ammirava: "Stessa cosa, ma più pulito".
"Era un rifiuto istintivo. Quei giudizi riflettevano la sua di idea di autore come outsider anti-sistema. Faceva parte della sua storia, da quando, negli anni messicani, decise di fare lo scrittore, anzi, il poeta. Dei big, cosmopoliti e politicizzati, criticava più che altro il ruolo nella cultura come establishment. D'altro canto, lo irritava la fama, che riteneva ingiustificata, di bestselleristi tipo Isabel Allende o Pérez-Reverte. Ovvio, ci si può chiedere: e lui, se non fosse scomparso, come l'avrebbe gestita la sua, di fama? Chissà. Forse restando il più possibile nascosto".

Duro con i grandi ma benevolo con molti suoi contemporanei, esordienti o comunque meno noti. Nelle recensioni troviamo un Bolaño sorprendentemente amabile, sempre incoraggiante.

"È vero. Lì scattava in lui un sentimento di solidarietà. Perché aveva vissuto anni grami e oscuri e sapeva cosa significa coabitare con la possibilità di non essere letti, di rimanere sconosciuti".

Il Bolaño che lei ha frequentato era consapevole del proprio valore?
"Assolutamente. Un'ennesima conferma mi è arrivata poco tempo fa discutendo con i traduttori francese e tedesco: mi raccontavano di come non accettasse la benché minima modifica sui suoi testi".

Leggere Bolaño è anche un'esperienza pericolosa. Per contagio, rischi di passare all'atto, di dirti: "Posso farlo anch'io". Funesto equivoco: la stragrande maggioranza di noi non sa scrivere buoni libri, figuriamoci grandi libri...
"È perché in lui avverti subito la felicità di scrivere. E vieni catturato dalla velocità. Dall'apparente facilità della frase. Che non è flaubertiana, cesellata, ma liquida, fluviale, in questo vicina alla prosa spontanea dei beat sebbene molto più chiara, senza opacità misticheggianti. Ad affascinarti c'è, inoltre, la forte compenetrazione di letteratura e vita. Che molti libri di Bolaño parlino di libri non ne fa, come si tende a credere, uno scrittore per scrittori. I libri erano per lui un'esperienza. Se avesse fatto il meccanico avrebbe parlato di motori".

Negli ultimi anni, sapendosi gravemente ammalato, scrisse, ancor di più, come un pazzo. Eppure, contro il narcisismo di certi suoi colleghi, ribadiva sempre la fragilità, l'effimero della letteratura. L'illusione della posterità.
"Era una forma di modestia rispetto alla potenza annientatrice del tempo. Consapevolezza che nei veri scrittori convive senza contraddizioni con l'idea più alta ed enfatica di letteratura".

Bolaño viveva a Blanes, anonimo villaggio sulla costa catalana dove, prima del successo, teneva un negozio di bigiotteria. Fino alla fine vi restò appartato rivendicando il desiderio di una tranquillità ordinaria. Perché ce lo vendono come un "maledetto", magari pure eroinomane?
"Di "maledetto" c'era solo la sua idea radicale di letteratura, lo slancio romantico. Non coltivava alcuna vocazione autodistruttiva. E pazienza se adesso ne smerciano un'immagine maudit. Che importa se è diventato di moda, visto che è un vero autore? Eppoi andiamoci piano: non è mica Stephen King, i suoi libri stanno tra il culto e il successo, in Spagna vendono trentamila copie".

Prima che romanziere si considerava poeta. Anti-lirico, prosaico. All'estero i suoi versi restano per lo più non tradotti, come sono?
"Interessanti. Ma io preferisco il narratore. Punti di vista. Anche di Borges senti voci autorevolissime spiegarti che le sue poesie sono persino più grandi dei racconti".






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