Javier Cercas - 14 aprile 2007
print the legend
La figura dello scrittore cileno Roberto Bolaño non smette di crescere. Già prima della sua morte, a 50 anni, nel 2003, iniziava ad essere una leggenda, specialmente in America Latina. L'edizione di un libro di racconti e un libro di poesie, entrambi postumi, servono, secondo vari scrittori, per revisionare la figura del creatore di Detective selvaggi e 2666 attraverso un mosaico realista.
Quasi quattro anni dopo la sua morte, la leggenda di Roberto Bolaño continua. Mi riferisco alla leggenda che alcuni iniziarono a costruire nel momento stesso della sua morte, ovviamente non a quella che lo stesso Bolaño scrisse nella frenesia monastica dei suoi ultimi anni, dopo una vita intera consacrata con tenacia alla letteratura. Entrambe le leggende, come lo stesso nome indica, non sono conformi alla realtà, ma quella scritta da Bolaño ha il grande vantaggio di essere, in un certo senso, più veritiera della verità, mentre l'altra è essenzialmente fasulla, oppure è menzogna fabbricata con gli ingredienti della verità, che è la forma più precisa di mentire. La leggenda che Bolaño costruì nei suoi libri vivrà molti anni, o meglio, questo è ciò che credo io; quella che hanno costruito gli altri sfumerà presto, o meglio, questo è quello che spero.
E' quasi superfluo dire che era prevedibile la mitizzazione di Bolaño. Al di là (o al di qua) del valore letterario della sua opera, il fatto che Bolaño morisse giovane e all'apice della sua potenza creativa e del suo prestigio, suppongo che impedisse qualsiasi altra possibilità. La incurabile propensione mitomane del nostro media letterario, sommata alla nostra ipocrita e ugualmente incurabile propensione a parlare bene dei morti - perché ormai non ci infastidiscono e possono essere manipolati a piacere, o forse perché vogliamo compensarli per quanto ne parlammo male quando erano vivi - ha fatto il resto. La storia della letteratura, come le altre, abbonda di esempi di questo tipo di canonizzazione in seguito ad una morte prematura, quindi non c'è da sorprendersi, almeno per quanto concerne questo punto; su altri punti invece non succede la stessa cosa. Niente faceva presagire, per esempio, che la stessa persona che scrisse La pista di ghiaccio scrivesse solo tre anni dopo Stella distante, e appena sei anni dopo I Detective selvaggi; che tra il 1996, anno di Stella distante , e il 2003, anno della sua morte, scrivesse ciò che ha scritto entrando in pieno nel terreno dello stupefacente.
E' anche vero, tuttavia, che nel caso di Bolaño, come in quello di altri scrittori morti in circostanze simili, ci sia nella leggenda che ruota intorno alla sua fama postuma, una certa giustizia poetica: in fondo, tutta l'opera di Bolaño può leggersi come un tentativo, riuscito, di convertire la sua vita in leggenda e gli scatti, le insolenze e le provocazioni dei suoi fugaci anni di scrittore consacrato, se non fossero corrosi da uno humor feroce, che i suoi lettori più accecati o letterari non sempre sembrano percepire, potrebbero indurci a pensare che Bolaño terminò i suoi giorni credendosi un personaggio di Bolaño, cosa che per fortuna non è vera, o lo è solo nella triste misura in cui qualsiasi scrittore finisce col rassegnarsi, presto o tardi, a convertirsi in un personaggio della sua stessa opera. Comunque non c'è da essere pessimisti: per quanto la leggenda deformi la realtà a piacimento di ognuno, per quanto un uomo morto precocemente e con prestigio sia un pasto privilegiato dei cinici di turno, per quanto i morti non possano difendersi e i vivi che possano farlo non lo sappiano, non possano o non vogliano farlo, è certo che a breve, questo chiacchiericcio permanente che avvolge la vita postuma di Bolaño, porterà il vantaggio indubitabile di attrarre ogni giorno nuovi lettori sulla sua opera. Non dobbiamo scartare che alla lunga - o non tanto tardi - abbia alcuni inconvenienti, però quando arriveranno, se dovessero arrivare, la stessa opera di Bolaño si incaricherà di affrontarli, e lo farà per intero.
Bolaño non fu in alcun modo ( salvo in alcune intemperanze dell'ultima ora) un detrattore del boom, quanto precisamente il suo continuatore più disciplinato: il suo lavoro non solo è inimmaginabile senza una lettura sottobraccio di Borges, ma neanche senza la trasparenza colloquiale della prosa di Cortàzar, o senza le astuzie narrative e le architetture romanzesche di Vargas Llosa, senza dubbio il romanziere in vita, in lingua spagnola, più ammirato da Bolaño, e uno di quelli che assimilò con più attenzione.
Sia come sia, così come stanno le cose è possibile che presto o tardi alcuni lettori meno perspicaci o più confusi possano restare delusi nel sapere che lo "scrittore bandito-delinquente",in cui hanno voluto convertire Bolaño, fu nella sua vita reale un uomo morigerato e prudente, uno che - poniamo caso - non passava per essere un socialdemocratico o un liberale di sinistra, che è, suppongo, il più prudente e morigerato che si possa essere politicamente; ma già questo non è un problema di Bolaño né della sua opera, quanto piuttosto dei frastornati e di chi alimenta la loro confusione.
Quello che importa veramente è,
Quello che importa veramente è,
credo, l'altra leggenda: quella che Bolaño forgiò con la sua vita e ci giunge con i suoi libri. Anche questa, ovviamente, può essere manipolata, solo che in questo caso manipolarla è legittimo e a volte perfino indispensabile, sebbene non tutte le manipolazioni siano ugualmente intelligenti e valide, e non in tutti i casi è possibile farlo senza che l'opera di Bolaño venga allo stesso tempo tradita. A mio giudizio, molti dei luoghi comuni più azzardati sull'opera di Bolaño sono sbagliati.
Si ripete, per esempio, che la sua opera sorge da una reazione contro gli autori di ciò che viene definito, nel bene e nel male, boom della letteratura latinoamericana, contro i quali sarebbe insieme l'antidoto e la via di fuga, o una delle vie di fuga. Sebbene alcune insolenze negli scritti dello stesso Bolaño sembrano avallarla, questa idea può essere frutto solo dell'inettitudine o dell'impotenza di chi la difende (quando non della sua cattiva indole) e di una lettura molto superficiale dell'opera di Bolaño. Essa ha l'inconveniente tremendo di proporre un Bolaño inetto ed impotente, oltre che indocumentato, incapace in ogni caso di capire che scrivere qualcosa di valido consiste non nell' ignorare i grandi, ma piuttosto - per quanto penoso o lesivo dell'amor proprio di taluni possa sembrare - nel riconoscerli e arrampicarsi sulle loro spalle, sebbene si incorra alle volte nella civetteria veniale di disprezzarli tra i denti. Quello che voglio dire è che Bolaño non fu in alcun modo ( salvo in alcune intemperanze dell'ultima ora) un detrattore del boom, quanto precisamente il suo continuatore più disciplinato: il suo lavoro non solo è inimmaginabile senza una lettura sottobraccio di Borges, ma neanche senza la trasparenza colloquiale della prosa di Cortàzar, o senza le astuzie narrative e le architetture romanzesche di Vargas Llosa, senza dubbio il romanziere in vita, in lingua spagnola, più ammirato da Bolaño, e uno di quelli che assimilò con più attenzione.
D'altra parte, sembra anche lusingare la vanità o confortare le frustrazioni di alcuni lettori o esegeti di Bolaño, immaginarlo come un avanguardista radicale, come un outsider estraneo alle forme letterarie di un'epoca prostituita al convenzionalismo degli usi narrativi e alla rapacità del mercato. In questo caso la miopia è, se possibile, più appariscente, anche se, pure in questo caso, alcune dichiarazioni di Bolaño - accettate con sconcertante docilità dai suoi esegeti - ovviamente non hanno contribuito a curarla: lasciando da parte il fatto evidente che l'avanguardia, sia quello che sia, in Bolaño è prima di tutto una vocazione o se si preferisce un'attitudine, e soprattutto un giacimento tematico più che una pratica letteraria.
Quello che è certo è che i due tratti più visibili dell'opera di Bolaño, sono i due tratti più visibili, se non della corrente dominate della narrativa in castigliano (o forse dovrei dire in spagnolo, posto che Bolaño fu anche e forse soprattutto uno scrittore spagnolo), sicuramente di una certa corrente dominante nella narrativa seria scritta in castigliano negli ultimi anni: la leggibilità e la narratività. Come può comprovare qualsiasi lettore di buona fede, aprendo uno qualunque dei suoi libri, Bolaño non fu uno scrittore ermetico o difficile, gratuitamente esigente con il lettore, arroccato in autofagie sperimentaliste più o meno innovative - che normalmente sono le piu' vecchie, o quelle che invecchiano prima - piuttosto era uno scrittore allergico a qualsiasi forma di logomachia, un narratore compulsivamente leggibile, immediatamente cordiale, furiosamente attrattivo e infaticabile narratore di storie, la cui struttura, spinta da una trazione senza freno, si trascina da un aneddoto all'altro, da un personaggio all'altro, da un paesaggio all'altro in un vortice allucinato che lascia il lettore senza fiato. No: come tanti grandi scrittori di qualunque epoca, Bolaño non fu in assoluto un'eccezione; fu, senza che forse egli stesso lo sospettasse - senza che forse il suo ostinato spirito di contraddizione si sentisse troppo a suo agio in cio' - un'insperata e superba conferma della regola.
Se non mi inganno, malgrado sia un'evidenza palese, ciò che ho detto non verrà accettato senza scandalo dagli ammiratori più superficiali o spigolosi di Bolaño, che saranno i più effimeri. Mi rende felice pensare, però, che nemmeno lo accetteranno i detrattori più severi, i quali nemmeno la morte di Bolaño ha zittito totalmente.
Non mi riferisco adesso a coloro i quali sembra vogliano lesinare all'opera di Bolaño il suo indiscutibile valore a causa delle dichiarazioni o attitudini personali del suo autore, che è una stupidaggine e una cosa indegna, o meglio le due cose insieme: addurre, diciamo, che il rancore contro il suo paese, o contro l'establishment della letteratura in lingua spagnola, fu il principale carburante della scrittura di Bolaño non solo è probabilmente falso; è qualcosa di peggio: è ignorare che per uno scrittore il rancore può essere un carburante tanto legittimo come qualunque altra cosa, e forse più efficace, e che in ogni caso questo rancore non è un argomento né contro Bolaño né contro l'opera di Bolaño, come non è un argomento, diciamo, contro James Joyce, né contro l'opera di Joyce, il cui fervido rancore contro l'Irlanda alimentò per tutta la vita la sua scrittura.
Mi riferisco, chiaramente, a rimproveri propriamente letterari. Tra di loro ce ne sono due che sono, credo, i più comuni.
Mi riferisco, chiaramente, a rimproveri propriamente letterari. Tra di loro ce ne sono due che sono, credo, i più comuni.
Il primo afferma che la prosa di Bolaño è pedestre, piana, elementare (del tipo "io Tarzan, tu Chita", ha detto Fernando Vallejo, con una cattiveria che sembra uscita da un libro di Bolaño); il secondo afferma che l'unico tema di Bolaño è la letteratura, o peggio ancora, la vita letteraria. Posso capire che alcuni ammiratori spregiudicati di Bolaño concedano che nessuno dei rimproveri è del tutto ingiusto, ma gli ricorderei che entrambi sono insufficienti: tenendo conto di tutte le distanze, la prima critica si dimentica che anche a Cervantes si rimprovera, e non senza ragioni, l'uso di una prosa piatta, a tratti volgare e colloquiale, e che, se Bolaño sacrifica le sontuosità del linguaggio e le complessità della sintassi e perfino del pensiero, lo fa a vantaggio dell'efficacia torrenziale, delirante ed esattissima delle sue fabulazioni; o, detto in forma più chiara: questa prosa atona e a momenti senza rilievo è la prosa di cui Bolaño ha bisogno - questa e non altra- per raccontare quello che racconta. Per quanto riguarda il secondo rimprovero, parte da una premessa vera, perché è un fatto che la scrittura di Bolaño si tenda fino al limite quando ciò di cui tratta è un assunto solo letterario, però arriva ad una conclusione erronea, perché ciò non lo converte in uno scrittore endogamico, autocompiacente e solipsista: nei libri di Bolaño la letteratura o la vita letteraria è solo una metafora della vita, e uno dei principali meriti di Bolaño consiste nell'aver dotato l'aggeggio letterario di una dimensione quasi epica, nella quale tutte le passioni, le vertigini e le perplessità dell'essere umano scoprono una espressione lacerata e nuova.
"Print the legend!", esclama alla fine de "L'uomo che uccise Liberty Valance" il direttore del Morning Star, dopo aver compreso che la leggenda è più potente della realtà, o che la finzione è più vera della storia. Per Bolaño, la scrittura consistette precisamente in questo: nell'imprimere la propria leggenda. Per i lettori di Bolaño, come per quelli di chiunque altro scrittore, questa è l'unica leggenda che conta, perché è l'unica che ha voluto, saputo o potuto raccontarci e perché nei labirinti e linee di fuga di questa leggenda si trova l'unico vero Bolaño. Le altre sono solo letteratura. Letteratura nel senso puzzolente della parola, che è ciò che Bolaño detestava più di ogni altra cosa e che con basstanza frequenza gli si è inflitto dopo la sua morte. Così che la cosa migliore da fare è prescindere da tutto questo. Prescindere dai profittatori che si lanciarono dal primo momento sul suo cadavere, di coloro che lo ridicolizzarono e umiliarono in vita e lo canonizzano ora che è morto (per umiliare e ridicolizzare altri vivi, gli stessi che forse canonizzerebbero, se fossero morti), della idolatria arrossita di chi sospira per convertirlo in una specie di James Dean cileno, dei rancori sterili e smarriti dei suoi esegeti, delle ingenuità e volgarità dei suoi lettori pacchiani e ingenui e perfino degli spropositi e insolenze di cui lo stesso Bolaño si sentì a volte obbligato per la celebrità o con cui gli piacque giocare nei suoi ultimi anni. Prescindere da tutto questo e rimanere con l'unica cosa che era sicura quando era vivo e continua ad esserlo anche adesso che è morto: il coraggio e l'onestà inaudite con cui Bolaño assunse la sua vocazione di scrittore ed il fatto incontrovertibile che è, fin dove arrivò e a meno che qualcuno si affretti a dimostrare il contrario, lo scrittore latinoamericano meno prescindibile dalla sua generazione.
© Javier cercas - "Print the legend"
Javier Cercas (wikipedia) nato nel 1962 a Ibahernando, Cáceres, in Spagna, è uno scrittore e, dal 1989, docente di letteratura spagnola presso l'Università di Girona, in Spagna. Collabora a El País ed è stato un grande amico di Bolaño
In Italia ha pubblicato:
Javier cercas | ||
La donna del ritratto 2008, Guanda | Soldati di Salamina 2008, Guanda |
La velocità della luce 2008, Guanda | Il movente 2004, Guanda |
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