Raffaele Simone - giugno 2000
Italiano scrittoRaffaele Simone - tre paradigmi di scrittura
2. Il paradigma digitale
Fin qui il paradigma platonico nel quale tutti siamo cresciuti, per lo meno tutti coloro che all'altezza della mia generazione e all'altezza di quella dei miei figli non hanno imparato immediatamente a scrivere con il calcolatore, non hanno cioè praticato il secondo paradigma di scrittura che è quello che suggerisco di chiamare il paradigma digitale.
Cosa accade nel caso della scrittura digitale emblematicamente rappresentabile dalla scrittura con il calcolatore? Il testo digitale enfatizza a dismisura la fase processuale, cioè la fase di creazione del testo. Nello scrivere, chiunque adoperi risorse digitali sa, o capisce immediatamente, che può compiere una quantità di operazioni che prima erano o difficili o addirittura impossibili: può redigere, può scalettare, può modificare, tagliare, incollare, spostare, sintetizzare, spostare a grande distanza, montare un testo dentro l'altro e così via. Tutte queste operazioni sul display non lasciano alcuna traccia di sé; non notiamo nessuna ferita, nessuna cicatrice, nessuna cucitura delle operazioni che abbiamo compiuto e che fino a una attimo prima della scrittura digitale avrebbero lasciato tracce fisiche ben visibili: correzioni, montaggi, pezzetti aggiunti, cancellazioni eccetera. Sul display digitale il testo si riassesta da sé ad ogni modifica, cancellando (la maggior parte dei programmi lo fa) i passaggi che si sono attraversati per arrivare al prodotto finale. In questo modo l'idea stessa di un prodotto veramente finale, che era il concetto fondamentale del paradigma platonico, di un prodotto chiuso, ne varietur, di una scrittura oltre la quale non si può andare, si indebolisce fino a scomparire completamente. Il testo digitale non è mai ne varietur, come sa chiunque di noi scriva con il calcolatore; tutti sappiamo che possiamo rimettere sempre mano a quel testo e richiuderlo indefinitamente; ciò crea anche delle sindromi e delle sofferenze ben note a tutti noi ( in particolare coloro che hanno a che fare con laureandi o dottorandi sanno che molti giovani soffrono del fatto di non essere costretti mai da un fatto interno a chiudere il testo, perché quel testo può essere sempre ritoccato). Ciò dipende dal fatto che, una volta chiuso il testo, lo si può riaprire indefinitamente creando così un effetto speciale non da poco, se si considera che tocca uno dei fondamenti della riflessione platonica sulla scrittura. Il testo digitale infatti, essendo infinitamente riapribile, è un testo permanentemente e intrinsecamente instabile: non possiamo mai dire che si sia stabilizzato sotto forma di prodotto definitivo, la bebaiotes di cui parlava Platone, e su cui ho tanto insistito, è improvvisamente e immediatamente dissolta. In secondo luogo il testo digitale è immateriale non ha bisogno di un supporto di carta, non ha bisogno di acqua nera, come diceva il vecchio Platone, non fa volume, né massa, non si tocca, non si accumula, non ha neppure peso né odore: si vede su uno schermo, ma in realtà quel che vediamo non sono segni grafici ma solamente pixel elettronici; quindi un corrispondente analogico, improprio, della scrittura. Per conseguenza il testo digitale non porta traccia della mano del suo autore, uno dei concetti fondamentali dell'idea di scrivere, come ho cercato di mostrare, non mostra ductus; perché non è il suo mestiere; non porta traccia della consistenza o del peso della mano che scrive; non porta traccia di colore d'inchiostro, di nulla di simile; tutti questi concetti sono inapplicabili; persino la pagina che vediamo sul display sembra una pagina ma in realtà non lo è: è una rappresentazione iconica di una pagina, perché in realtà si tratta di una superficie di cristallo. Questa proprietà del testo digitale è connessa al fatto che, a differenza del testo scritto rispondente al paradigma platonico, il testo digitale è un testo delocalizzato e adespota, cioè privo delle due fondamentali proprietà che ho illustrato prima, della localizzazione e della despotia. Un messaggio di posta elettronica è l'esempio più vistoso di testo delocalizzato: come sapete il messaggio e-mail può essere spedito e ricevuto in ogni parte del mondo senza portare nessuna traccia del sito da cui sta proveniendo: è quindi totalmente delocalizzato, possiamo rispedirlo, farlo circolare, forwardarlo illimitatamente ad altre persone senza che nessuno sappia dove siamo nel momento in cui l'abbiamo o scritto o forwardato. Quindi non esiste, per lo meno per l'utente comune, il modo di capire da dove questo messaggio ci stia arrivando. Analogamente questo messaggio è totalmente adespota: l'indirizzo elettronico del mittente può essere segnalato, ma in realtà nessuno può garantire che quel mittente sia esattamente la persona che ha scritto il testo e quindi il concetto stesso di responsabilità dell'autore, rispetto ai testi generati nel paradigma platonico, è totalmente cambiato.
La posta elettronica, e in generale il testo digitale, esalta un'altra proprietà tipica della testualità, e cioè l'illimitata diffondibilità: il testo digitale una volta scritto può essere spedito immaterialmente cioè senza passaggio di massa e di materia, ma di piccolissimi, irrilevanti quantità di energia, a un numero illimitato di destinatari, ognuno dei quali può riaprire quel testo, integrarlo, modificarlo, elaborarlo, e farlo circolare così modificato presso un numero illimitato di altri destinatari.
L'esempio più parlante di questo fenomeno, di questa illimitata espandibilità adespota e delocalizzata, è costituito dai chat groups che sono una simulazione di conversazione a più voci dove ciascuno aggiunge qualcosa di suo ma in cui non sappiamo se questo qualcosa risale effettivamente alla persona che sostiene o dichiara o esibisce di essere l'autore di quella porzione di testo oppure per esempio a un qualsiasi impostore. Questo problema è delicato; non tanto nel caso dei gruppi di conversazione quanto, per esempio, nelle transazioni per via telematica, nei contratti telematicamente generati; e sarà delicato in una pratica testuale molto particolare che è la denuncia dei redditi telematica, che si sta diffondendo anche in Italia di recente. Ci sono dei segnali che dicono "sì sono io" ma in realtà questi segnali sono a loro volta adespoti: la riferibilità di un testo al suo autore è con questo nuovo paradigma totalmente perduta. Il testo parlato ha una forte contestualità, è radicato, embricato nel contesto in cui viene prodotto, mentre invece il testo scritto è dotato di media contestualità e il testo digitale di nessuna contestualità; cioè in un testo elettronico, soprattutto di posta elettronica o assimilabile a quello, dobbiamo sempre costruire il contesto nel quale stiamo operando, e descriverlo al nostro interlocutore o al nostro destinatario. Il testo parlato ha soltanto una fase processuale: salvo casi molto particolari, è difficile distinguere la fase processuale da quella dal prodotto, perché nel momento in cui parliamo stiamo processando il nostro testo.
Nel testo scritto tradizionale le due fasi sono nettamente distinte, come Platone aveva chiaramente visto; la fase processuale è aperta, lunga e indefinitamente prolungabile, ma quando il testo approda alla chiusura non si può più toccare; la fase del prodotto è una fase chiusa. Il testo digitale ha invece una sola fase processuale illimitatamente aperta, non potendo per ragioni di principio essere mai dichiarato chiuso. Si tratta di un testo nel quale chi sta scrivendo, o anche persone sopraggiunte a scrivere, possono illimitatamente rimettere mano producendo delle modifiche. Per conseguenza il testo parlato non è interpolabile: nessuno può inserirsi nel mio discorso e dire delle cose spacciandole come dette da me, né io posso fare lo stesso con voi; il testo scritto è interpolabile solo nella fase processuale, cioè soltanto durante la lavorazione io posso inserirmi nel testo scritto e modificarlo; il testo digitale invece è interpolabile in ogni momento.
Il testo orale non è archiviabile se non con supporti esterni: non possiamo conservarlo, e comunque per millenni non abbiamo potuto conservarlo in nessuna forma; il testo scritto è archiviabile in forma materiale; il testo digitale in forma che io chiamo qui, un po' esagerando, immateriale, ma in realtà un dischetto, un cd rom o altri archivi elettronici di maggiori dimensioni hanno una materialità tutta speciale, perché conservano microscopiche quantità di informazione magnetica e quindi non fanno massa. Il testo parlato ha un supporto immateriale: non abbiamo bisogno di attrezzi per parlare; il testo scritto ha un supporto materiale: possiamo immagazzinarlo sotto forma, per esempio, di carta; il testo digitale ha un supporto immateriale: noi possiamo scriverlo, ma non siamo tenuti a depositarlo sotto forma di carta o altra forma fisicamente riconoscibile. Il testo parlato ha una limitata diffondibilità; il testo scritto, come Platone aveva visto, ha una larga diffondibilità; il testo digitale una illimitata diffondibilità. Il testo parlato è fortemente localizzato, e poi ,via via, relativamente localizzato (testo scritto), non localizzato (testo digitale).
Il testo parlato è autografo (bisognerebbe dire autofono): non può essere parlato se non dalla persona che lo sta parlando; il testo scritto è potenzialmente autografo; in taluni casi è o deve essere autochiro, cioè deve essere scritto proprio da quella mano e non da altra mano: l'autochiria è dunque la sua proprietà più marcata e determinante; il testo digitale non è autografo in nessun senso: nessuno può dire "riconosco il font del mio vecchio amico", mentre posso dire "riconosco la grafia di un mio vecchio amico". Quindi il testo digitale non è autografo in nessun senso, e fino a questo momento sembra non poterlo essere per ragioni di principio. Come vedete, i cambiamenti non sono da poco, e per il momento mi attengo soltanto ai cambiamenti di carattere superficiale, perché ci sono cambiamenti di carattere profondo attinenti per esempio ai meccanismi mentali, cognitivi, al modo di adoperare l'informazione, della conoscenza di cui ciascuna di queste testualità si serve ma di cui non dirò assolutamente nulla.
© Raffaele Simone -
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