intervista a Umberto Eco - 11 maggio 2010
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Wiki@Home è lieta di presentarvi un'intervista a Umberto Eco. Il professore ha accolto il nostro inviato Aubrey nella sua casa milanese per una chiacchierata su Wikipedia, Internet, collaborazione e, ovviamente, libri. L'intervista si è svolta a Milano il 24 aprile 2010.
W@G - Grazie davvero per la possibilità accordataci. La comunità era da tempo molto interessata a intervistarla, anche perché lei, fra i più importanti esponenti del mondo culturale italiano, è stato tra i pochi a mettersi di fronte ad un'esperienza come Wikipedia senza pregiudizi, sperimentandola, criticandola, comunque utilizzandola. Ha scritto vari articoli a riguardo, l'ultimo se non erro nel 2009. Potrebbe provare a rispiegarci la sua opinione in merito?
Eco: - Sono un utente compulsivo di Wikipedia, anche per ragioni artrosiche: quanto più mi fa male alla schiena, quanto più mi costa alzarmi ed andare a cercare la Treccani, e quindi, se posso trovare la data di nascita di qualcuno su Wikipedia, faccio prima.
Sono un utente dell'automobile, non riuscirei a vivere senza, ma questo non mi impedisce di dire quali sono tutti i difetti e tutti i guai dell'automobile.
Io ho fatto una volta una distinzione fra le cose che fan bene ai poveri e le cose che fan bene ai ricchi, dove poveri e ricchi non ha una immediata connotazione in termini di danaro, ma in termini, diciamo, di evoluzione culturale... Diciamo, un laureato è un ricco, un analfabeta è un povero. Ci può essere ovviamente un costruttore edile che è un povero e un impiegatuccio che è un ricco.
Allora, la televisione fa bene ai poveri e fa male ai ricchi: ai poveri ha insegnato a parlare italiano, fa bene alle vecchiette che son sole in casa. E fa male ai ricchi perché gli impedisce di andare fuori a vedere altre cose più belle al cinema, gli restringe le idee.
Il computer in generale, e Internet, fa bene ai ricchi e fa male ai poveri. Cioè, a me Wikipedia fa bene, perché trovo le informazioni che mi sono necessarie, ma siccome non mi fido, perché si sa benissimo che, come cresce Wikipedia, crescono anche gli errori. Io ho trovato su di me delle follie inesistenti, e se qualcuno non me le segnalava, avrebbero continuato a restare lì.
I ricchi sono coltivati, sanno confrontare le notizie. Io vado a vedere la Wikipedia in italiano, non sono sicuro che la notizia sia giusta, poi vado a controllare quella in inglese, poi un'altra fonte, e se tutte e tre mi dicono che quel signore è morto nel 371 d.C. comincio a crederci.
Il povero invece becca la prima notizia che gli arriva, e buonasera. Quindi c'è per Wikipedia, come per tutto Internet, il problema del filtraggio della notizia. Siccome conserva tutto, sia le notizie false che le notizie vere, mentre i ricchi hanno delle tecniche di filtraggio almeno per i settori che sanno controllare. Se io devo fare una ricerca su Platone, individuo immediatamente i siti scritti da un pazzo, ma se devo fare una ricerca sulle cellule staminali non è sicuro che possa individuare il sito sbagliato.
Quindi c'è questo enorme problema del filtraggio. Il filtraggio collettivo non serve, perché può anche ubbidire a delle fluttuazioni. Io mi sono accorto che, in un certo periodo di vittoria berlusconiana, sono andati a cercare informazioni sui libri di destra su di me e le hanno messe: siccome la correttezza mi impedisce di andare io a modificare direttamente, le ho lasciate. Ma evidentemente era una voce fatta dai vincitori di quel momento.
Il controllo collettivo dunque serve sino ad un certo punto: è pensabile che se uno dà una falsa lunghezza dell'equatore prima o poi qualcun altro venga e la corregga, ma su questioni più sottili e difficili è più complicato.
E il controllo interno redazionale mi pare che sia minimo, cioè non può controllare i milioni di notizie che entrano. Tutt'al più, può controllare proprio se un pazzo ha scritto che Napoleone è un cavallo da corsa, ma più di tanto non si può fare
W@HC'è un filtro particolare. La comunità si auto-organizza in persone che, spontaneamente, guardano la lista delle "Ultime modifiche" e cercano di stare attenti agli errori più gravi, ai vandalismi, a persone che cancellano brani, ecc. Ci sono vari strumenti software quantitativi che aiutano.
Eco: Interventi con insulti, certo. Ma quelle sono le cose grosse.
W@HVero, sono i più facili. Le cose più sottili sono molto più complicate. Supportati in parte da qualche ricerca, possiamo dire che più c'è una comunità di persone (una sottocomunità, un gruppo di persone) interessate ad un argomento, meglio è. Queste persone infatti si salvano le pagine in una lista dei preferiti (Osservati speciali si chiamano). Per esempio, se io ho la sua pagina negli Osservati speciali, quando qualcuno la modifica mi viene segnalato, ed io posso andare a controllare: con un meccanismo di diff, una sorta di collazione, vedo la variante, quello che è stato il contributo, e posso vedere se è stata inserita una notizia giusta oppure no. Il principio di Wikipedia, in un certo senso, è che in più gente c'è, più è interessata, meglio funziona, e questo è un po' un paradosso. C'è stata qualche ricerca a riguardo, (l'ultima che io ricordi è del febbraio 2007, dei laboratori HP di Palo Alto) puramente a livello quantitativo, statistico, basata sulla Wikipedia inglese, che diceva che le pagine più modificate, mediamente, sono quelle con la maggiore qualità. Più c'è gente, meglio è. Poi c'è il discorso effettivo, problematico, della coda lunga, delle tante pagine abbastanza importanti, o problematiche o contraddittorie. La sua pagina, per esempio, può cascare in questo insieme delle pagine importanti ma non troppo, oltre ad essere una biografia. Le biografie dei viventi sono le più problematiche, avendo il problema del recentismo, del reperimento delle fonti, ecc. Le biografie, generalmente, sono un problema, anche se in quelle dei personaggi storici c'è più accordo. È interessante, secondo me, il discorso delle pagine che in teoria dovrebbero essere le più problematiche, come temi quali il creazionismo, l'intelligent design, che nella Wikipedia inglese sono chilometriche, perché le persone si scannano, spesso, non su interi paragrafi, ma sui singoli termini, l'incipit, le parole. Più occhi ci sono, meglio è. Riprende un po' la teoria della "saggezza della folla", portata avanti da Surowiecki, che afferma che quando sono presenti 4 parametri (indipendenza, diversità d'opinione, aggregazione, decentramento), mediamente, il giudizio di una folla supera quello degli esperti.
Eco: Io qui correggerei. Io sono un discepolo di Peirce, che sostiene che le verità scientifiche vengono, in fin dei conti, approvate dalla comunità. Il lento lavoro della comunità, attraverso revisioni ed errori, come diceva lui nell'Ottocento, porta avanti "la torcia della verità". Il problema è la definizione della verità.
Se alla verità io fossi obbligato a sostituire "folla", non sarei d'accordo. Se si va a fare una statistica dei 6 miliardi di abitanti del globo, la maggioranza crede che il Sole giri intorno alla Terra, non c'è niente da fare. La folla sarebbe pronta a legittimare la risposta sbagliata. Questo accade anche in democrazia, lo stiamo vivendo in questi giorni, la folla vota Bossi. Napoleone III per fare il colpo di stato fece allargare l'elettorato alle campagne, perché la folla delle campagne era più reazionaria della folla delle città.
Allora bisogna trovare un altro criterio, che è quello della folla motivata. Quelli che collaborano a Wikipedia, non sono soltanto un'aristocrazia, solo professori dell'università, ma neanche la folla indiscriminata: sono quella parte della folla che si sente motivata a collaborare a Wikipedia. Ecco, sostituirei alla teoria della "saggezza della folla" una teoria della "saggezza della folla motivata". La folla generalizzata dice che non dobbiamo pagare le tasse, è la folla motivata che dice che è giusto pagarle. E infatti in Wikipedia non si inserisce lo zappatore o l'analfabeta, ma già qualcuno che fa parte, per il fatto stesso di usare il computer, di una folla colta.
W@HÈ interessante anche la citazione che lei ha fatto di Peirce, che ha utilizzato anche nel suo articolo dell'Unità. Lei diceva di sostituire la parola "verità" con "folla", mentre io pensavo alla definizione "comunità": chi è la comunità?
Eco: Peirce pensava la comunità scientifica, certamente; specie ai suoi tempi, ancora più divisa dalla folla.
W@HIo credo che, in un mondo come il nostro, sia più difficile discriminare fra i "veri" esperti: spesso un titolo accademico non fa di un esperto un vero esperto. Magari ci sono veri appassionati che hanno più competenze su un certo argomento di presunti esperti. C'è stato su Wikipedia, almeno in partenza, uno shift fra autorità e autorevolezza. La comunità di Wikipedia molto più "piatta" rispetto ad una gerarchia accademica o di una comunità scientifica, non c'è l'autorità delle nostre normali gerarchie. Quello che dici "tu", in questo momento, in un determinato contesto, e tutto quello che hai detto garantisce la "tua" autorevolezza, e, tante volte, si dà ascolto al contenuto di un messaggio e non al mittente del messaggio. In questo senso, si può arrivare ad un meccanismo diverso che porta avanti la torcia della verità. Un meccanismo in cui si guardi all'informazione, al messaggio, non a chi l'ha mandato. Anche nella scienza e nella comunità scientifica ci sono mode, forzature (pensiamo ai nostri baroni): esiste infatti la sociologia della scienza. In questo senso, Wikipedia forse ha portato, o forse dato qualche barlume, di qualcosa di nuovo. Non so se lei sia d'accordo.
Eco: Le funzioni di Wikipedia secondo me sono due: uno è permettere la veloce ricerca di informazione, e allora è soltanto la moltiplicazione delle Garzantine, e basta. L'altro, e qui stiamo parlando dell'altro, è se il controllo dal basso non possa essere, molte volte, più fruttuoso del controllo dall'alto. Siccome il mondo è pieno di esperti idioti, certo che può esserlo.
Faccio un esempio: l'altro giorno stavo correggendo un saggio su Croce. Croce, basandosi sulla sua autorevolezza, ha per 50 anni diffuso in Italia delle idee false, e tutti in Italia le han prese per buone, senza calcolare che lui non capiva niente di arte. È stato il maestro di estetica di due, tre generazioni senza aver mai capito niente di arte. E quindi vedi che, l'autorevolezza, certe volte... sarebbe stato molto più utile la risposta di artisti, ragazzi, studenti. Questo controllo da parte della massa può, come diceva Peirce, in the long run, produrre uno sviluppo.
Continuo però a dire che questo mi espone sempre al rischio dell'incapacità di filtrare la notizia. Ultimamente mi ero messo ad annotare alcune notizie false, alcuni errori che uno può trovare in Wikipedia. In uno stesso articolo per esempio c'erano due notizie contraddittorie, segno che c'era stato un amalgama.
W@HLei dunque non modifica le pagine?
Eco: In quel caso lì, no. Non vado a modificare le pagine. Ho solo modificato le mie, quando c'era scritto che avevo sposato la figlia del mio editore, perché, as a matter of fact, non l'ho fatto. Poverina, ha corso un bel rischio. [ride, N.d.R] Poi, un'altra volta perché diceva che ero il primo di 13 fratelli.
W@HNon è vero, era suo padre, giusto?
Eco: Sì. Se poi l'errore è di un altro, non vedo perché dovrei perdere tempo a modificare. Non sono la Croce Rossa. [ride, N.d.R]
Dunque, ho proprio notato, all'interno dello stesso articolo, c'era la contraddizione. Però io sono bravo, e lo noto, perché è il mio mestiere, un altro poveretto può leggere solo metà, e prendere la prima versione.
W@HVolevo giusto capire se era per una questione di tempo, che non modificava e correggeva gli errori. O se invece non voleva entrare nel giro, dire chi è, ecc.
Eco: Certo, è un discorso di tempo. Quando scrivo, andrò su Wikipedia 30-40 volte al giorno, perché è molto comodo. Quando scriviamo, magari non ci ricordiamo se questo o quello è nato nel VI secolo e VII secolo, o quante n ci sono in Goldmann... Una volta per queste cose si perdeva un sacco di tempo. Oggi, fra Wikipedia e Babylon, che corregge gli errori di ortografia, se ne guadagna moltissimo.
W@HSecondo lei, quanto è esportabile questo modello wiki? Con wiki si intende, in questo caso, una "collaborazione forte", l'editing collaborativo. Avere un testo che collaborativamente viene cambiato. Che fra l'altro è legato al fatto che il testo sia libero, che in un modo o nell'altro sia rilasciato con una licenza libera. Questo meccanismo ovviamente chiama in causa tanti problemi: il discorso del filtro, il discorso di un processo bottom-up piuttosto che top-down, il discorso di diversi valori rispetto a quelli di una comunità accademica o scientifica. Il mondo wiki ha sviluppato anche altri progetti: per esempio Wikiquote, una raccolta di citazioni (ce ne sono moltissime sue), o Wikisource, una biblioteca digitale wiki. Secondo lei, questa esperienza è esportabile ad altri meccanismi di scrittura che non siano produzione collettiva di sapere, com'è Wikipedia? Wikipedia, infatti, nasce come enciclopedia creata con un wiki, un software particolare, e paradossalmente è stato un successo. Hanno provato tante volte a fare altri progetti: il Los Angeles Times, anni fa, provò a fare editoriali collettivi, e fu un fallimento. Sembra dunque che ci siano alcuni progetti che possano essere costruiti collaborativamente e altri no.
Eco: Lei mi parla di collaborazione collettiva. Allora, ci sono due, tre cose che Internet mi offre: la prima sono informazioni brute, come gli orari della ferrovia che nessuno può andare a correggere. L'altra, sono le informazioni enciclopediche, che sono sempre correggibili, perché uno può aver sbagliato o non aver detto abbastanza. La terza, sono testi: io devo andare a correggere i testi che ha scritto un altro? E poi c'è tutto l'universo dei blog, di Facebook; ma non ci interessa, sono le persone che parlano fra di loro, dialogano.
In questi giorni devo fare un dibattito su Ipazia: mi sono cercato un po' di materiale su Internet, e ho trovato testi interessanti e meno interessanti. Ma sono testi. Internet ha messo a disposizione testi classici e contemporanei, ma anche se sono sbagliati o non sono d'accordo non vado certo a modificarli. Non posso dire "Tu hai sbagliato a dare questa valutazione di Aristotele".
W@H -Vero. Mi correggo dunque: l'interpretazione di una persona è la sua interpretazione, e vale per quello.
Eco: E poi è firmata. Infatti io trovo un sacco di documenti interessanti non firmati, non ho mai capito perché.
W@HL'idea che avevo, sui testi, è quella che in ambito accademico vengono chiamate biblioteche digitali co-laboratorio, cioè biblioteche digitali per filologi, medievisti, italianisti...
Eco: Intende bibliografie?
W@HNon necessariamente. Per esempio, pensavo al Perseus Project, un progetto della Tufts University. La comunità degli accademici ha a disposizione vari strumenti per lavorare su testi greci, facendo analisi linguistiche, collazioni, analisi statistiche. Un progetto dove insieme si collabora per un'edizione...
Eco: Mi ci sono imbattuto. Proprio sulla storia Ipazia, ho trovato un progetto dove studiosi diversi collaborano per dare la traduzione di un certo brano di un testo del X secolo.
W@HPerfetto, dunque. Come vede questa idea di collaborazione nelle scienze umanistiche?
Eco: Questo è un altro argomento ancora. Sono stati fatti dei congressi da studiosi di ecdotica a riguardo. Sono vere e proprie comunità autocontrollate.
W@HComunità di pratica.
Eco: Sì, ma dove si sa che il tal studioso viene dalla tal università. In questo caso, non avviene tanto di diverso da quando una volta la gente collaborava a fare un certo volume e doveva prendere il treno una volta alla settimana per incontrarsi. È un lavoro di ricerca in collaborazione sotto il controllo di qualcuno. Non è la saggezza della folla. È semplicemente la moltiplicazione e la semplificazione di un lavoro di ricerca collettivo che una volta richiedeva immondi spostamenti e ora si fa in linea giorno per giorno. È una cosa favolosamente interessante, ma non stupefacente.
È come dire che il telefonino ha permesso enormi sviluppi rispetto al telefono fisso perché posso continuare a lavorare anche se sono seduto davanti a una panchina al parco.
W@HEffettivamente sono stato anche io che non sono stato chiaro. Quando parlo di comunità, posso intendere la comunità motivata di cui mi parlava lei prima o anche comunità più piccole, che io chiamo comunità di pratica.
Eco: Io farei una differenza fra comunità incontrollabili e comunità controllate.
W@HQuello che secondo me è interessante è quando le comunità che lei definisce controllate (che hanno fondi, sono basate su istituzioni precise) non hanno effettivamente un capo, ma si autocontrollano. Per esempio, io pensavo ad un progetto per la comunità degli italianisti, che pur essendo finanziato con determinati soldi, lasciasse libera la comunità di auto-controllarsi. Secondo lei è possibile questa auto-organizzazione?
Eco: Io ricordo un convegno a Bologna, sui problemi di ecdotica, dedicato in gran parte a ciò che si trova online per fare ricerca sui testi. Evidentemente si tratta di una comunità acefala, autocontrollata e acefala. Ma acefala per modo di dire: perché nelle comunità scientifiche che si autolegittimano c'è sempre chi ha più autorevolezza di un altro: se interviene il filologo tale che propone un'interpretazione, gli altri si allineano.
Quindi [la collaborazione digitale nei progetti accademici] non è la stessa cosa di Wikipedia. È semplicemente la semplificazione da un lato (perché lo rende più agibile), la complicazione dall'altro (perché lo rende più vasto) di processi di ricerca scientifica. Certo che anche l'ultimo allievo può intervenire nella ricerca e dire che c'è qualcosa di sbagliato, ma questi non sono mai completamente anarchici, perché c'è una gerarchia di influenze, anche se non di ruoli istituzionali.
W@HQuindi lei fa un discorso di limiti, del fatto che esistono comunità più ordinate e comunità più disordinate. La differenza fra una comunità wikipediana, che ha il suo interno ha dai professori universitari ai tredicenni.
Eco: Facciamo un esempio, la rivista Nature. Nel mondo scientifico, se un articolo è apparso su Nature, dove c'è stata la peer review ed un vasto controllo, viene preso sul serio. È vero in tutti i casi, che può darsi che Nature commetta un errore, ed escluda un articolo brillante: però, comunque, si ritiene che Nature sia un centro di attendibilità, coi confini sfrangiati. Perché può sempre succedere l'errore, o una piccola vendetta accademica...
Io, per esempio, alla mia età e con la mia obesità sono entrato nella fase della glicemia alta del diabete numero 2. Una volta il limite per la glicemia alta era fissato a 140, ora è fissato a 110: sappiamo tutti che questo nuovo limite è stato fissato dalle case farmaceutiche per vendere le medicine prima. Quindi, 140 è rischioso, ma 110 forse è troppo poco, uno può accontentarsi diciamo di 120. Forse nel giro di una qualche decina d'anni si arriverà ad un compromesso, per cui ci si arresterà a 120, oppure si deciderà che 110 è buono in termini di medicina preventiva. [ride, N.d.R] Ci siamo accorti che la suina era un po' una balla, montata su dai produttori di vaccino. Ce ne siamo accorti in ritardo, sono stati spesi dei miliardi, ci siamo resi conto che molte meno persone sono morte rispetto al previsto, che forse avevano esagerato.
Le cose in un modo o nell'altro vanno a posto: queste sono le comunità controllate, non anarchiche, ma dall'autorità sfrangiata. Che non c'entra con Wikipedia, dove l'anarchia è più grande.
W@HÈ molto interessante questa differenza di frange, di limiti e anche di scala, in un certo senso. In una comunità la collaborazione è veramente anarchica, nell'altra ci si assesta...
Eco: Ci si assesta. Fra Galileo, Tycho Brahe e Keplero alla fine si son messi d'accordo che aveva ragione Keplero. Il calcolo infinitesimale l'hanno scoperto sia Newton che Leibniz ma alla fine tutti si son messi d'accordo su Leibniz. [ride, N.d.R]
Magari a torto, ma è andata così.
Non c'è stata un'autorità, l'imperatore, che l'ha deciso. È stato un insieme di usi, di applicazioni.
W@HSecondo lei c'è differenza, in questo approccio alla collaborazione, fra scienze hard e scienze umanistiche?
Eco: Attualmente sì, questo lo sappiamo tutti. Nelle scienze dure c'è una misurabilità dei dati che non c'è nelle scienze molli, a meno che le scienze molli non facciano la parodia di quelle dure, come avviene con la filosofia analitica.
W@HLei prima diceva, parlando della collaborazione: "Questa cosa è favolosamente interessante, ma non stupefacente."
Eco: Certo, ha cominciato l'Accademia del Cimento! Senza Internet. [ride, N.d.R]
W@HPerò ora la scala è diversa.
Eco: Prima erano quattro gatti a Firenze, dieci gatti alla Royal Society; ora sono diecimila gatti.
W@HDiecimila gatti che possono collaborare con i thailandesi, con gli americani, tutti in maniera sincrona o asincrona, in un posto ubiquo come è Internet. Le potenzialità sono diverse. Ritornando al discorso di prima, anche in Wikipedia, però, si può notare una differenza, culturale, fra quello che sono le pagine tecnologiche, scientifiche, matematiche e fisiche e quello che è un discorso più umanistico. Le pagine umanistiche sono molte meno (filosofia, storia, letteratura).
Questo in Wikipedia. All'interno delle comunità accademiche, allo stesso modo, c'è una spinta diversa alla collaborazione. Nelle scienze molli, l'authorship, l'autorialità, e anche l'interpretazione, sono un discorso più importante.
Questo in Wikipedia. All'interno delle comunità accademiche, allo stesso modo, c'è una spinta diversa alla collaborazione. Nelle scienze molli, l'authorship, l'autorialità, e anche l'interpretazione, sono un discorso più importante.
Eco: Per quelle che sono le scienze molli, c'è meno un impulso alla collaborazione, certo. C'è più l'interesse ad essere protagonista di un'idea, che non un "portatore d'acqua". Su questo non si discute. Uno scienziato in certi casi è abituato a non essere mai nominato e a sapere che però sta portando avanti una ricerca fondamentale. Nelle scienze molli, succede solo allo studente sfruttato che viene mandato a raccogliere dati che poi il professore firma. Da questo non se ne esce, più di tanto.
W@HQuello che sarebbe bello capire è se questo sia un discorso "naturale" oppure culturale. Può cambiare questo approccio dell'umanista?
Eco: Non credo. Pensa alla Grecia. Platone e Aristotele, pur essendo uno il discepolo dell'altro, hanno prodotto filosofie opposte. Invece appare Euclide e si continua a commentarlo, il suo quinto postulato ha resistito per duemila anni.
W@H Quindi un discorso naturale, dunque.
Eco: La scienza è cumulativo-distruttiva, accumula quello che gli serve e butta via quello che non gli serve. Le scienze umane sono totalmente cumulative, non si butta via niente: infatti c'è sempre un ritorno al passato. Oppure sono totalmente distruttive nel senso in cui, come ha detto Maritain di Cartesio, un filosofo è un "debuttante nell'Assoluto". Per Cartesio tutto quello che la filosofia ha detto prima di lui è falso. Lo facesse un matematico, sarebbe la fine.
W@HRitornando al discorso dei progetti "fortemente collaborativi", in cui c'è un editing collaborativo, come vede il discorso dell'authorship, del riconoscimento della proprietà intellettuale? Nei progetti volontari come Wikipedia, il problema si pone in maniera minore. Ma dato che il mondo scientifico si sta dirigendo verso una sempre maggior collaborazione (ed anche il mondo umanistico, seppur più lentamente) abbiamo il problema di fondo del copyright.
In Wikipedia hanno risolto utilizzando licenze libere, e la cultura dell'anonimato o del nickname aiuta; nel mondo accademico e scientifico, invece, la cultura del nome, anche legato a fattori importanti come la propria carriera, porta ad un problema non banale di riconoscimento della proprietà intellettuale.
In Wikipedia hanno risolto utilizzando licenze libere, e la cultura dell'anonimato o del nickname aiuta; nel mondo accademico e scientifico, invece, la cultura del nome, anche legato a fattori importanti come la propria carriera, porta ad un problema non banale di riconoscimento della proprietà intellettuale.
Eco: Questo sta venendo fuori, certamente, anche legato al mondo dei libri; per esempio nel giro di 50 anni avremo un mutamento profondissimo. Avremo probabilmente situazioni culturali più simili a quelle del Medioevo, in cui si avevano commenti su commenti, e si perdeva l'autorialità. Dal Romanticismo in poi c'è stata un'autorialità eccessiva.
Però, non so fino a che punto si può arrivare verso l'anonimato totale. L'anonimato totale, mentre può sembrare democratico, fa credere che su un certo argomento ci sia una e una sola verità. Non potrà arrivare un certo momento in cui la stessa Wikipedia, su certi argomenti (non sulla tavola pitagorica, certo) decida di aprire delle appendici intitolate "Conflitti", in cui, firmate, appaiano diverse testimonianze in conflitto?
Che Napoleone sia morto a Sant'Elena, nonostante ci sia sempre il matto a negare, siamo sicuri. Che Pio XII abbia o no abbia fatto le cose giuste per l'Olocausto, è un dibattito aperto. Cosa fa Wikipedia? Dice che Pio XII non abbia fatto abbastanza per l'Olocausto (irritando milioni di cattolici)? Dice che l'abbia fatto (irritando milioni di laici)? O apre un'appendice, in cui una serie di autori, assumendosi ciascuno la propria responsabilità, in venti righe espongono il fatto che c'è un conflitto di interpretazione?
W@HWikipedia adesso (senza Internet purtroppo non riusciamo a controllare la voce su Pio XII), seguendo il pilastro del punto di vista neutrale, che non è la verità, ma un punto di vista neutrale che può sempre essere perfettibile, solitamente pubblica una versione con sotto una critica a quella versione. Seguendo un principio di sintesi, ci sono appendici non firmate, in un certo senso, riferendosi a quello che diceva lei. Per esempio, la pagina riferita a Silvio Berlusconi è problematica.
Eco: Non sono mai andato a vederla.
W@HÈ quasi sempre semi-protetta, dato che ci sono spesso litigi. Comunque si cerca di portare entrambe le posizioni. È ovvio che c'è anche un discorso di gerarchia: c'è sempre una posizione dominante, che verrà presentata per prima, ma sotto c'è la seconda. La prima che mi viene in mente è quella di Beppe Grillo, in cui c'era la sua storia poi un paragrafo di critiche, riportando le fonti. Il discorso quindi è di riportare e sintetizzare su una pagina (o più pagine se questa diventa chilometrica) quello che hanno detto altri. Wikipedia integra, è un essere [che] mangia dall'esterno, perché è una fonte terziaria, non una fonte primaria, e forse questo tante volte si dimentica. Non so se un'enciclopedia tradizionale si definisce primaria o terziaria. Per Wikipedia, le fonti sono da altre parti, noi prendiamo da loro. Le citiamo; se dicono cose sbagliate, noi l'abbiamo solo citate. C'è sempre il discorso del perché si cita il tale, del come si cita, del dove si cita: però, alla fine, Wikipedia cerca di riportare, con tutti i limiti del caso, la realtà come viene sfaccettata da altre fonti. Rimane sempre il problema della gerarchia della pagina, e del fatto che "non esistono fatti, ma solo interpretazioni". In questo senso, c'è una provvisorietà molto evidente, consapevole.
Eco: Certo, tutto potrebbe cambiare domani.
W@HLe linee guida di Wikipedia dicono proprio: "Non esiste la versione definitiva". Un articolo è sempre perfettibile. Culturalmente, forse una Treccani non la pensa così.
Eco: No, perché la Treccani ha voci molto firmate. La voce "Fascismo", firmata da Gentile, o la si elimina e la sostituisce o la si lascia così, non la si corregge.
W@HVoce che, fra l'altro, risentiva di un certo contesto: dopo settant'anni, oggi diremmo che la Treccani era biased.
Eco: Sì, e perché rimane, non è correggibile, perché la voce è quella e non la ristampano. Ci fanno un'appendice, certo. Il destino della Treccani è quello di wikipedizzarsi.
W@HSecondo lei lo farà?
Eco: Con la velocità di rinnovamento della cultura, se un'enciclopedia non va online in modo da poter rifare le sue informazioni mese per mese, è sempre condannata. Persino quando parla di Parmenide, perché può uscire domani un libro che getti nuova luce... Ma pazienza, se parliamo di Parmenide. "Aeroplano", per esempio: chissà cosa diceva la voce del "Concorde" prima che cascasse il concorde.
W@HFra l'altro la Treccani ha provato a "wikipedizzarsi". Ha aperto alcune voci, dicendo agli utenti di inviargli le modifiche...
Eco: L'ha proposto per il Dizionario degli Italiani, ma sta tornando indietro. Siccome costa troppo, ha chiesto agli utenti di "regalargli" le voci, non calcolando che per controllare le voci deve mettere su un manipolo tale di editors che gli costa più che pagare le voci.
W@HNon sembra per niente facile trovare una soluzione che coniughi un modello di un certo tipo (autoriale, editoriale, redazionale) con qualcosa di così anarchico come Wikipedia. Una sopravvive poiché prende su tutto: ha sempre un input dagli utenti, perché raccoglie tutto. Ed è gratis, per tutti: chi la fa e chi la legge. L'altra invece ha un modello di un certo tipo che non regge quantitativamente il confronto con la prima, e fa fatica a trovare un giusto equilibrio, accogliendo i contributi esterni (senza fra l'altro motivarli, dato che se ne appropria e non da in cambio assolutamente nulla). Wikipedia è tutta gratis, ci si regala a vicenda, c'è uno slancio etico forte. Lo scontro fra questi due mondi non è per nulla un problema banale. Cambiando totalmente argomento, mi sembrava interessante notare che il procedimento della "classificazione" non abbia avuto troppo successo negli ambienti collaborativi. A parte le folksonomies, con le persone che taggano siti o foto, anche su Wikipedia la categorizzazione degli argomenti è decisamente non coerente e incompleta. È particolare come un procedimento così importante come la classificazione/catalogazione tenda ad essere autoriale, personale. In Internet trovo pochi esempi di catalogazioni complesse fatte collaborativamente.
Eco: Non sono sicuro di aver capito bene quello che ha detto, ma se ho capito bene, tutto questo dipende dal fatto che, a parte le tassonomie botaniche o zoologiche, non esiste classificazione globale, ma solo classificazione locale. Nel mio ultimo libro, "Dall'albero al labirinto", ho scritto un saggio di cento pagine proprio su queste vicende dalla classificazione, dall'albero di Porfirio sino a quelle che oggi chiamano stupidamente le "ontologie".
Il problema qui è che han passato i secoli a cercare di fare la classificazione totale, ma è impossibile, è sempre globale e prospettica. Necessariamente, ne viene che può essere autoriale e non collettiva. Ci si riesce solo in certi campi, per esempio quello degli animali e delle piante, siccome sono universi a modo proprio finiti. D'altra parte, hanno già grossi problemi a classificare gli insetti. Un esempio famoso è poi quello dell'ornitorinco, per cui ci hanno messo ottant'anni, ma si sono messi d'accordo, tutti insieme.
Gli animali dunque sono finiti e in un modo o nell'altro si riescono a classificare. Invece per i casi in cui gli elementi sono più polverizzati, la classificazione totale e collettiva è impossibile.
W@HTornando a qualcosa di più triviale, in "Sei passeggiate nei boschi narrativi", lei parla del libro "Sylvie" di Nerval come una sorta di libro predestinato, che lei ha studiato centinaia di volte. È molto suggestiva l'idea di un libro che corrisponde ad una persona? Ci crede ancora?
Eco: Sì, anche se probabilmente ce ne sono più di uno. Sì, ci credo. Però è un po' come quelle domande tipo "Perché si è occupato del Medioevo?", che equivale a dire "Perché lei ha sposato quella lì e non un'altra?" [ride, N.d.R] Se le interessa, io ne ho fatto la traduzione e poi ne ho parlato in una raccolta di saggi sulla letteratura... ma questo non c'entra niente con la domanda.
W@HLei conosce il mondo delle licenze libere? Sono licenze nate negli anni '80 che permettevano il riuso, la condivisione, anche la modifica, qualità che nel mondo digitale sono estremamente importanti. Anche Wikipedia nasce nell'ambito di questo mondo, e rilascia il proprio contenuto sotto licenza libera. Come vede il mondo della proprietà intellettuale adesso, nell'era di Internet?
Eco: Io sono molto empirico. Io sono uno che campa sui guadagni della proprietà intellettuale, ma tutte le volte che mi hanno piratato, a me è andata bene lo stesso. Una volta che il mio editore americano aveva fatto causa ad una università perché avevano fatto trenta fotocopie di un mio libro, io ho protestato. Mi va benissimo così, almeno 3 o 4 dei miei libri si trovano anche su eMule, si possono scaricare... Perché sono così disinteressato alla cosa? Visto che ci campo, dovrei preoccuparmene. Una risposta potrebbe essere che guadagno a sufficienza così, l’altra che sono un buon democratico.
Le faccio un esempio. Quando hanno iniziato ad allegare il libro unito al quotidiano, la Repubblica ha deciso di iniziare con il mio Il nome della Rosa, dandomi una modesta cifra forfettaria. Però poi ne hanno venduti due milioni, quel giorno. Io mi sono detto pazienza, non ci avevo guadagnato ma andava bene così. Poi però ho controllato, sei mesi dopo, i rendiconti della casa editrice, e la vendita del paperback non era assolutamente mutata. Cioè, quei due milioni lì, erano in più, erano altre persone che non sarebbero mai entrati in libreria a comprare il mio libro. Non mi ha tolto una copia venduta. Quindi vuol dire che c'è uno "spazio" talmente grande che [la pirateria] non mi pare una tragedia. Solo per l'autore che vende mille copie, se ne gliene piratano cento si arrabbia.
Fino al Seicento e Settecento, uno scrittore viveva perché c'era un mecenate che lo pagava. Magari si tornerà lì, non si verrà pagati dal pubblico ma si verrà pagati da un mecenate. Se l'è cavata l'Ariosto, perché non dovrei cavarmela io? [ride, N.d.R]
Se la sono cavata anche prima. Poi certo, la rivoluzione del Settecento in cui un narratore andava in giro a vendere i propri libri ha portato anche la nascita dei diritti. In un certo senso questo ha democraticizzato, perché lo scrittore ed il pensatore non hanno più dovuto leccare il sedere al mecenate.
Senta, fra il modo in cui l'Ariosto ha leccato il sedere agli Estensi al modo in cui un sacco di gente lecca il sedere a tutti, non è poi cambiato mica molto. [ride, N.d.R]
Non è che l'Ariosto ci interessa meno perché mette due ottave di ringraziamento agli Estensi.
W@HA proposito di libri e diritti, ultimamente Google Books ha fatto parlare di sé.
Eco: Io non capisco tutto queste proteste attorno a Google Books. Sinceramente, a me fa arrabbiare perché mi fa vedere due pagine e poi non posso comprare il libro. Gli editori dovrebbero essere entusiasti, non capisco. È un po' come le vie pedonali: quando si pedonalizza una strada, tutti commercianti protestano, pur essendo scientificamente provato che la pedonalizzazione della strada aumenta i commerci.
W@HÈ un discorso che si intreccia con quello del pubblico dominio. Ci sono tendenze forti, sia negli USA che in Europa, a allungare i tempi del copyright, diminuendo così "fette di pubblico dominio". C'è molto clamore e molta paura riguardo alla proprietà intellettuale.
Eco: Ogni scrittore ha delle tendenze conflittuali, perché da un lato gli va bene che il suo libro venga letto, dall'altro gli dispiace che i suoi nipoti non prendano i proventi dei diritti. Adesso, il mio editore mi ha detto che darà i diritti de Il nome della rosa per fare l'eBook sul Kindle, credo. Le percentuali sono molto minori che per i libri normali, ma mi va bene. Personalmente non ci credo, credo ancora che la gente per leggere i libri vorrà ancora la carta, ma non ho problemi, mi sembra giusto che chi vuole abbia l'edizione elettronica. Non mi sembra così complicato, loro pagano i diritti, anche se meno perché l'eBook costa meno. O sarà uno smash, e ne venderai milioni, oppure ne venderai poche copie e va bene lo stesso.
Secondo me la mettono giù troppo dura, come appunto la storia degli editori contro Google. Google Books serve a vendere libri, non a farne vendere meno. Ha la stessa funzione che ha la libreria, quando si va a sfogliare dei libri. Si può comperare o limitarsi a leggiucchiare una pagina o l’indice. Come con Google.
C'è poi la tendenza a dare le cose sempre più gratis. Io non sopporto Adobe, che ogni anno mi vuole far pagare la sua licenza per leggere i PDF. Ho trovato in pochi minuti programmi che fanno la stessa cosa gratis. Non capisco cosa viene in tasca agli sviluppatori...
W@HSpesso, niente. I software open source vengono spesso scritti dalle persone per uso personale (magari, erano persone che non volevano pagare la licenza ad Adobe come lei), e rilasciati liberamente per chi li desidera. Se qualcuno poi li migliora, lo stesso creatore ci guadagna. È un circolo virtuoso.
Eco: C'è anche OOorg, che sostituisce Word. È ottimo, funziona benissimo.
W@HFra l'altro, Wikipedia nasce proprio dal mondo open source, che negli anni ha sviluppato una propria filosofia sulla cultura libera. Sono collegati.
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