Pino Cacucci - da Carta - 20 maggio 2010
L'assassinio di Roque Dalton
Il poeta salvadoregno Roque Dalton venne assassinato quattro giorni prima di compiere quarantadue anni. Era il 10 maggio 1975. Roque Dalton, la voce poetica del Salvador libero, irriverente, immune ai dogmi ottusi e al grigiore dell’ortodossia, Roque Dalton ammirato dagli spiriti più anticonformisti della cultura latinoamericana, amato dai sandinisti nicaraguensi e venerato da tanti giovani salvadoregni assetati di nuovo linguaggio per un nuovo modo di intendere e praticare la lotta rivoluzionaria… e profondamente odiato, per tutto ciò, dal potere del suo paese, si era unito alla guerriglia, decidendo che la poesia non bastava: gli squadroni della morte non permettevano più alcuna attività di opposizione legale e costringevano alla clandestinità, liberare il Salvador imponeva la scelta della violenza perché in Centroamerica si debellasse finalmente il cancro della violenza. Dunque, Roque Dalton combatté per i suoi ideali di giustizia, con lo stesso impeto e la stessa ironia – e autoironia – che metteva nelle sue poesie. Ma non caddde in combattimento. A ucciderlo, fu “una pallottola sparata di fianco”, perché, come ha scritto Eduardo Galeano nel commosso ricordo di Roque in “Memoria del Fuoco”, “da un fianco doveva venire quella pallottola, l’unica pallottola capace di trovarlo”, dopo essere scampato rocambolescamente all’esercito che per due volte era stato sul punto di fucilarlo, ai torturatori che credevano di averlo ridotto in fin di vita, alla polizia che lo aveva inseguito prendendolo a revolverate.
A uccidere Roque Dalton furono alcuni suoi compagni. Erano convinti che Roque lavorasse per la Cia. Una sapiente regia li aveva spinti prima a dubitare, poi a verificare, e infine a trovare quelli che credettero fossero “indizi inoppugnabili”. Non prove, ma efficaci indizi. E decisero di sparare al poeta Dalton, al compagno Roque, alla spia che passava informazioni ai servizi che foraggiavano, armavano e addestravano gli squadroni della morte salvadoregni.
L’assassinio di Roque Dalton suscitò un’ondata di sdegno in tutta l’America latina. Pochi tacquero, in nome di una stravolta “ragion di stato” applicata alla rivoluzione, in molti accusarono la guerriglia salvadoregna di cecità, follia, intossicazione mortale…
I dirigenti della guerriglia rimasero attoniti, ci fu chi assicurò “inchieste interne”, chi minacciò vendette, chi si chiuse nel mutismo impotente, mentre tanti combattenti della “bassa forza”, lasciarono l’organizzazione nauseati, con un dolore insopportabile nel petto.
Ma come si era potuti arrivare a sospettare una persona dalla condotta limpida e dalla pulizia morale come Roque Dalton, di essere niente meno che una spia?
Il lento, inesorabile, capillare lavorio che inoculò tali sospetti in alcuni guerriglieri fu messo in atto da una delle più efficaci operazioni della Cia in Centroamerica. Dare briglia sciolta agli squadroni della morte, era roba per bisonti che caricano a testa bassa, per grezzi fautori della terra bruciata. Diffondere notizie false con paziente maestria, lasciar intendere senza dire chiaramente, creare le condizioni per demolire dall’interno la forza di volontà di quanti sono disposti a dare la vita per un ideale di giustizia, è faticoso, certo, è un’opera degna di menti sottili, non dà risultati immediati ma, quando finalmente li dà, sono dirompenti, devastanti a lungo termine, definitivi.
Paco Taibo II ha dedicato un capitolo – l’11° – del suo magistrale “ A quattro mani” alla trama che portò all’assassinio di Roque Dalton, ricostruendo il paziente lavoro portato a termine da un agente statunitense specializzato nello “Shit Department”, una sezione addetta a “spargere merda”…
Roque Dalton era stato ucciso perché sospettato di essere un informatore della Cia, ucciso da ottusi guerriglieri che avevano ricevuto gli indizi, senza esserne coscienti, da una sezione apposita della Cia.
E così, come scrive Paco Taibo II, “la guerriglia salvadoregna si scisse e la sinistra perse il suo più lucido militante”
Una decina di anni dopo, a Managua, avrei ascoltato questa stessa versione dei fatti da militanti della guerriglia salvadoregna, quelli della generazione successiva, che avevano continuato a lottare ma che non trovavano pace per l’assassinio del poeta Roque Dalton, “il migliore di tutti noi”, dicevano.
Troppo tardi. Infatti, sappiamo com’è andata a finire, in Salvador, chi ha vinto e chi ha perso.
Pino Cacucci
A quattro mani (Cuatro manos, 1990), trad. Pino Cacucci e Gloria Corica, Corbaccio,1995, ( in edizione tascabile, TEA, 1997 ed inoltre, edito anche da Ponte alle Grazie, 1999).
Nessun commento:
Posta un commento