martedì 30 aprile 2013

DIECI ANNI DALLA MORTE DI ROBERTO BOLAÑO - reader's bench

Reader's bench  - aprile 2013

  DIECI ANNI DALLA MORTE DI ROBERTO BOLAÑO



  Il successo postumo è un classico del genere artistico. Una delle tante perversioni umane quella secondo cui i torti inflitti in vita andrebbero risarciti in morte.
Roberto Bolaño a dire la verità era stimato e riconosciuto quale grande scrittore già in vita, perlomeno nell'ambito delle lettere ispaniche e castigliane: scrittore di punta della sua generazione, colto ed elegante narratore in bilico tra più generi e quindi inclassificabile, con quella sua capacità di combinare gli elementi più disparati (storia, giallo, thriller, intrigo psicologico) per poi disperderli al vento come i semi di un soffione.

Che fosse un artista importante, insomma, era già cosa nota. Sarebbe quindi improprio parlare di rivalutazione postuma, meglio fermarsi al fenomeno di costume. A dieci anni dalla morte prematura (un male di quelli gravi al fegato, l'attesa del trapianto, la vita che si spegne così, a cinquant'anni, con tante, troppe storie ancora da scrivere) fioccano iniziative per ricordarlo, convegni, interviste di amici veri e presunti, scrittori che sbucano da ogni dove per dire che loro c'erano, che loro si ricordano, che loro lo sapevano. Ma come fai a prenderli sul serio? In questa retorica post mortem non c'è un grammo del vero Bolaño. Lo so, me ne accorgo, non c'è bisogno del radar.



La sostanza dello scrittore sta sicuramente nei suoi libri, forse sta anche, in parte, nel repertorio di oggetti, taccuini, appunti raccolti nella monumentale mostra che Barcellona, sua città adottiva, gli dedica al Centro di Cultura Contemporanea fino alla fine di giugno; sono meno sicuro che qualcosa di lui sopravviva nelle chiacchiere sospette e tardive di tanti pennaioli di risulta, resuscitati (loro sì) nell'aneddotica di giornata, dalla rievocazione un tanto al chilo.

Forse anche io dovrei evitare di scrivere di Roberto Bolaño, è un problema che continuo a pormi da quando ho posato le mani sulla tastiera, ed è un problema che prevedo non riuscirò a risolvere se non nell'alibi che il mio è solo un invito a riscoprirlo per ciò che era, e non per ciò che dicono sia stato. L'invito presuppone una problematica, non di poco conto: conferiamo a noi stessi il privilegio del dubbio: partiamo cioè dall'assioma che potrebbe piacerci, ma anche non piacerci. Penso sia l'onestà intellettuale il modo migliore di rendere omaggio allo scrittore cileno, ossia la possibilità di incontrarlo in una sfera più privata, più sentita, dove non scorrano lacrime alla glicerina, ma sia possibile mettere in campo tutta la serenità e l'ampiezza di giudizio di cui siamo capaci.




Ci sono stati grandi dimenticati nella storia della letteratura. Non deve stupire. Per fermarsi alla storia italiana basti pensare a Delfini, Morselli, Landolfi, Manganelli. Per contro ci sono casi di recuperi precipitosi: senza voler scomodare esempi eccessivi, Kafka diventò Kafka anni dopo la sua morte, in una spirale di fanatismo letterario che ha prodotto tragici epigoni e talvolta parassitarie produzioni saggistiche (in mezzo ad alcune di valore, pensiamo alla grande esegesi di Fortini e Citati, quante cose sappiamo fare noi italiani). Fatte le dovute proporzioni, l'autore di 2666 rischia di rientrare nella seconda categoria. Kafkiana non per implicazioni psicologiche, ma per analogia nel decorso editoriale dell'opera. 

In senso luterano, ciò che può salvare il lettore di Bolaño resta sempre l'incontro diretto con l'opera. Senza mediazioni, se non a posteriori e in seguito a scelta ragionata. Un percorso rischioso, ne sono consapevole, ma necessario se si vuole vedere un po' di luce dietro la coltre di schiamazzi e parole in malafede. Il nodo da sciogliere non è tuttavia da poco: più le incrostazioni della cattiva pubblicistica aumentano, più è difficile recuperare il senso originale di un libro e di un autore. Se per esempio l'editoria decidesse di rilanciare un romanzo che lo scrittore aveva cassato, diventerebbe quasi impossibile risalire ai perché primitivi di tale scelta, al tormento, ai ripensamenti che hanno portato l'autore a dire di no a una parte di sé. 

Tutti dettagli (ma in letteratura il dettaglio è parte della sostanza) che curatele troppo interessate rischiano di sacrificare alle logiche del mercato. E' anche una questione di rispetto a volte. Lo stesso Bolaño ammetteva di non sentirsi un trionfatore, e di vedersi per contro legato a quella particolare forma di sconfitta che è solo dei grandi, solo degli ingegni puri. L'affetto con cui tanti lettori lo hanno scoperto dopo, è forse la prova migliore della straordinaria freschezza della sua opera, unita ad una miscela sofisticata di registri che sa arrivare al cuore di chi legge con un timbro originale, unico. Il senso più autentico del suo lascito. 

A cura di Ariberto Terragni, date un'occhiata al suo Quaderno Sepolto




“2666” di Roberto Bolano, Adelphi, 966 pagg, 22.00 euro, in occasione de decennale della scomparsa Adelphi pubblica il libro in versione ebook a 7.99 euro


“I detective selvaggi” di Roberto Bolano, Sellerio, 844 pagg, 20.00 euro

La mostra Archivio Bolano ha aperto i battenti
a Barcellona il 14 marzo 2013
"Mollate tutto di nuovo" è lo slogan della mostra "Archivo Bolaño, 1977-2003" fino a giugno al CCCB di Barcellona, .La mostra, curata da Juan Insua Valerie Miles, vuole mostrare al pubblico buona parte del materiale inedito dell'archivio personale dell'autore, in particolare i manoscritti, 17 testi inediti e 4 romanzi: "La vergine di Barcellona", un romanzo autobiografico scritto nel 1979e i 3 romanzi scritti a Girona. In totale 240 documenti, piu di un centinaio di fotografie, libri e oggetti personali,divisi in tre aree che corrispondono agli anni in cui l'autore visse a Barcellona (1977-1980), a Girona (1980-1984) e a Blanes (1985-2003).


Reader's bench   - - - -


--


Nessun commento: