Gianni Quilici - libere recensioni - 11 febbraio 2010
Non c'è mai niente di banale in questo “romanzetto canaglia”, ultimo lavoro dello scrittore cileno Roberto Bolaño, morto a soli 50 anni nel 2003 in un ospedale di Barcellona, in attesa d'un trapianto al fegato. E' come se scrivendo Bolaño cercasse di sorprendere se stesso e quindi il lettore, andando spesso oltre le possibili scelte che alla protagonista, di volta in volta, si prospettano.
Con una immaginazione, quella che lo scrittore dona alla ragazza, che si trova continuamento in bilico tra reale e irreale, rimanendo sempre nel campo delle possibilità, ossia del realismo.
Un esempio: “Quella sera tornai a casa senza piangere, una cosa che mi stava accadendo negli ultimi giorni. Era come se uscendo dal lavoro entrassi d'improvviso in un tunnel di vento che mi faceva piangere senza motivo. Un tunnel che al principio agiva in modo naturale, provocando subito il mio pianto, ma che negli ultimi giorni, invece che abituarmi, mi ispirava una tristezza enorme, una tristezza che potevo affrontare solo piangendo. Ma quel giorno, come se presentissi che a partire da allora la mia vita avrebbe fatto un giro a trecentosessanta gradi, non piansi. Mi infilai gli occhiali da sole, uscii dal negozio, entrai nel tunnel e non piansi. Neppure una lacrima”.
Si capisce, pure, che c'è una mediazione tra l'io narrante (la ragazza protagonista) e lo scrittore. Da una parte lei non sa e non vuole spiegarsi le ragioni del suo comportamento e delle sue visioni; dall'altra, Bolaño le presta occhi e lingua per esprimere ciò che vede e sente. Mi pare che un'operazione simile sia stata fatta anche da Alberto Moravia in La Romana.
Così quando lei scrive: “Ricordo pure l'imbrunire, un imbrunire dai toni rosati e ocra che si intrufolava sino in fondo al negozio, ma senza riuscire mai a toccarmi” la mediazione dello scrittore è di tipo poetico, perché facendosi egli quella ragazza ci trasmette una sensazione intima e precisa, che è vicina alla poesia, in quanto così è stata vissuta da lei.
La questione che mi sono posto è: quanto c'è di ispirato di vero (scrivo “vero” pure nella falsità di qualsiasi storia), quanto invece è grande abilità immaginativa, narrativa e poetica di Bolaño? Interrogativo che lascio sospeso.
La storia è ambientata a Roma, dove l'editore spagnolo aveva invitato Bolaño appunto per scriverci un romanzo. Quattro i protagonisti, raccontati dall'unica ragazza del gruppo. Gli altri tre disoccupati e emarginati - uno di essi è suo fratello – vivono con i suoi soldi di “parrucchiera” in attesa del colpo che cambierà loro la vita... Destinatario del colpo un ex campione di culturismo, un ex attore, Maciste, ora cieco...
Roberto Bolaño, Un romanzetto canaglia (Sellerio editore, Palermo 2005, traduzione dallo spagnolo di Angelo Morino, pp. 95, euro 8,00)
Con una immaginazione, quella che lo scrittore dona alla ragazza, che si trova continuamento in bilico tra reale e irreale, rimanendo sempre nel campo delle possibilità, ossia del realismo.
Un esempio: “Quella sera tornai a casa senza piangere, una cosa che mi stava accadendo negli ultimi giorni. Era come se uscendo dal lavoro entrassi d'improvviso in un tunnel di vento che mi faceva piangere senza motivo. Un tunnel che al principio agiva in modo naturale, provocando subito il mio pianto, ma che negli ultimi giorni, invece che abituarmi, mi ispirava una tristezza enorme, una tristezza che potevo affrontare solo piangendo. Ma quel giorno, come se presentissi che a partire da allora la mia vita avrebbe fatto un giro a trecentosessanta gradi, non piansi. Mi infilai gli occhiali da sole, uscii dal negozio, entrai nel tunnel e non piansi. Neppure una lacrima”.
Si capisce, pure, che c'è una mediazione tra l'io narrante (la ragazza protagonista) e lo scrittore. Da una parte lei non sa e non vuole spiegarsi le ragioni del suo comportamento e delle sue visioni; dall'altra, Bolaño le presta occhi e lingua per esprimere ciò che vede e sente. Mi pare che un'operazione simile sia stata fatta anche da Alberto Moravia in La Romana.
Così quando lei scrive: “Ricordo pure l'imbrunire, un imbrunire dai toni rosati e ocra che si intrufolava sino in fondo al negozio, ma senza riuscire mai a toccarmi” la mediazione dello scrittore è di tipo poetico, perché facendosi egli quella ragazza ci trasmette una sensazione intima e precisa, che è vicina alla poesia, in quanto così è stata vissuta da lei.
La questione che mi sono posto è: quanto c'è di ispirato di vero (scrivo “vero” pure nella falsità di qualsiasi storia), quanto invece è grande abilità immaginativa, narrativa e poetica di Bolaño? Interrogativo che lascio sospeso.
La storia è ambientata a Roma, dove l'editore spagnolo aveva invitato Bolaño appunto per scriverci un romanzo. Quattro i protagonisti, raccontati dall'unica ragazza del gruppo. Gli altri tre disoccupati e emarginati - uno di essi è suo fratello – vivono con i suoi soldi di “parrucchiera” in attesa del colpo che cambierà loro la vita... Destinatario del colpo un ex campione di culturismo, un ex attore, Maciste, ora cieco...
Roberto Bolaño, Un romanzetto canaglia (Sellerio editore, Palermo 2005, traduzione dallo spagnolo di Angelo Morino, pp. 95, euro 8,00)
di Gianni Quilici
Archivio Bolaño
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