mercoledì 2 febbraio 2011

La letteratura nazista in America" di Roberto Bolano

  Stefano Crupi -

4 febbraio 2011

Un'antologia di scrittori immaginari che ci parla di un continente e del "triste" mestiere di scrivere


“La letteratura nazista in America” non è la prima raccolta di biografie di scrittori immaginari: lo stesso Roberto Bolaño indicò i capostipiti della sua opera nella “Storia universale dell’infamia” di Jorge Luis Borges, ne “La Sinagoga degli iconoclasti” di Rodolfo Wilcock, senza dimenticare “Ritratti reali e immaginari” di Alfonso Reyes e “Vite immaginarie” di Marcel Schwob. 

Diversamente però dai suoi illustri predecessori, Bolaño dà un taglio originale al suo libro focalizzandosi su un particolare tipo di letteratura, quella nazista. 

La fascinazione dello scrittore cileno per il nazismo non è una novità. In “2066”, la sua opera fiume, nell’ultima parte intitolata “La parte di Arcimboldi”, quella più importante nella quale incontriamo il famoso scrittore evocato in molte delle pagine precedenti, vi è narrata la storia di Hans Reiter, soldato della Waffen SS nella seconda guerra mondiale, coinvolto spesso in rastrellamenti ed eccidi. A spiegarci i motivi alla base di questo interesse è lo stesso Bolaño, in un’intervista che rilasciò nel 1998 all’indomani della pubblicazione del suo libro.


«Il mondo dell’ultradestra – dichiarò alla rivista “Lateral” - è un mondo smisurato e interessante di per sé. Succede però che io prenda il mondo dell’ultradestra, ma molte volte, in realtà, intenda parlare della sinistra. Prendo l’immagine più facile per essere caricaturizzata per parlare di un’altra cosa».
In “La letteratura nazista in America” il suo intento è quindi squisitamente parodistico. È già ironico di per sè che sia verosimile una letteratura di tal genere.
Quali sono, allora, le “altre cose” di cui intende parlare Bolaño?
Prima di tutto è la cultura latinoamericana ad essere il principale obiettivo della sua vena satirica. Non è per caso, secondo Bolaño, che molti nazisti scelsero, alla fine della seconda guerra mondiale, l’America latina come rifugio. E questo non solo perché, ai loro occhi, paesi come Venezuela, Argentina, Cile, Bolivia, Colombia, rappresentavano una sorta di territorio franco dove proliferava un humus di illegalità e di mancanza di controlli, nel quale era più facile mimetizzarsi senza difficoltà e crearsi una nuova identità. Ma anche perché in questi paesi sapevano che non avrebbero trovato una cittadinanza apertamente ostile nei loro confronti, ma piuttosto il contrario.
Gran parte di coloro che si stabilirono in America latina poterono rilevare come il nazismo venisse visto dai più nella sua dimensione eroica e anticonformista che lo rendeva un estremismo tollerabile se non comprensibile.
Per capire un’opera come “La letteratura nazista in America” bisogna partire da questo contesto culturale di matrice latinoamericana, e da lì tentare di smascherare il gioco di travestimento messo in piedi dal suo autore: un titolo provocatorio, intere bibliografie inventate, incroci di riferimenti immaginari, scrittori esistenti e non, la loro influenza, il loro successo (o insuccesso).
Un impianto di questo genere, così perfettamente architettato, potrebbe far pensare ad un banale esercizio di stile dagli esiti criticabili. Invece, l’impronta di Bolano compie il miracolo: con la sua straordinaria capacità affabulatoria, con quella sua naturale propensione a farsi cantastorie, con il suo linguaggio immediato ed accattivante, Bolaño riesce a farne la più riuscita, intelligente, geniale incarnazione di quell’idea borgesiana di una letteratura completamente inventata ma nello stesso tempo incredibilmente verosimile; il materializzarsi di una finzione che è uno strano oggetto letterario, non proprio un romanzo ma un romanzo alla Bolaño, per come le storie narrate, così indipendenti e separate, nascondano un filo conduttore che le tiene legate indissolubilmente.
La letteratura nazista di Bolano, per quanto varia nelle sue diverse espressioni, presenta dei tratti comuni che le danno una sua precisa impronta conservatrice: il frequente ricorso al simbolismo, alla mitologia, l’intento moralistico ed educativo, la continua evocazione di un salvifico ritorno al passato. Nonostante ciò, il palcoscenico dei suoi interpreti è piuttosto eterogeneo.
Perché si può aderire al nazismo, o comunque rientrare nel filone della sua letteratura, provenendo dai più diversi ceti sociali. Ecco allora l’aristocratica antisemita che dà l’avvio ad una lunga genia di scrittori nazisti, ecco lo scrittore di provincia che vi aderisce nel nome dell’eccentricità e della provocazione, ecco la signora stravagante impaurita dal comunismo e dal pericolo di perdere gli innati privilegi ai quali è stata destinata, ecco i poeti di insuccesso, sepolti rapidamente dall’oblio, che reagiscono rancorosi al loro destino avaro, ecco le figure memorabili di eroine femminili, avventuriere, giramondo, seguaci di Franco.
Prima di essere nazisti, insomma, si è scrittori e questa precisazione permette di mostrare quella che è una diversa chiave di lettura, di cui Bolaño ci parla in un’altra delle sue interviste.
« “La letteratura nazista in America” – ci dice - è un romanzo sulla letteratura e i personaggi che vi compaiono sono riflessi deformati del mestiere di scrivere, che è abbastanza canagliesco, triste, mediocre, ma che persino nelle sue peggiori manifestazioni ha qualcosa che lo nobilita».
Bolaño vide sempre nella letteratura qualcosa di intrinsecamente effimero e derise coloro, come molti degli scrittori che compaiono nel suo manuale, che inseguirono per tutta la loro vita vani sogni di gloria, magari sposando idee bizzarre e creando opere inutili, destinate in breve tempo a scomparire.
Essere scrittori non è di per sé uno stato salvifico, perché la letteratura non preserva necessariamente gli uomini dall’orrore. Credere poi che possa vincere la sfida contro l’eternità rappresenta l’illusione più ingenua alla quale ci si possa immolare.


tutti in piazza   - - - -

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