sabato 13 agosto 2011

Roberto Bolaño – Stella distante – Sellerio – 8€

Andrea - 

 



Stella distante 
Roberto Bolaño 
Sellerio





Tutto quanto finora raccontato forse accadde così. Forse no. E’ possibile che i generali delle Forze Aeree Cilene non avessero portato le loro mogli. E’ possibile che nell’aeroporto Capitan Lindstrom non sia mai stato messo in scena uno spettacolo di poesia aerea. Forse Wieder scrisse la sua poesia sul cielo di Santiago senza chiedere il permesso a nessuno, senza avvisare nessuno, sebbene questo sia più improbabile. Forse quel giorno non piovve neppure su Santiago, sebbene ci siano testimoni (oziosi che guardavano in alto seduti sulla panchina di un parco, solitari affacciati a una finestra) che ricordano ancora le parole nel cielo e posteriormente la pioggia purificatrice. Ma forse tutto accadde altrimenti. Le allucinazioni, nel 1974, non erano infrequenti.
La mostra fotografica nell’appartamento, tuttavia, ebbe luogo così come viene raccontato qui di seguito.



I primi invitati arrivarono alle nove di sera. Perlopiù erano amici fin dall’adolescenza e da tempo non si ritrovavano tutti insieme. Alle undici c’erano una ventina di persone, tutte ragionevolmente ubriache. Nessuno era ancora entrato nella stanza in cui dormiva Wieder e sulle cui pareti aveva pensato di esporre le fotografie al giudizio dei suoi amici. Il tenente Julio César Muñuz Cano, che anni dopo avrebbe pubblicato il libro Con la corda al collo, sorta di narrazione autobiografica e autofustigatrice sulla sua attività negli anni del primo governo golpista, scrive che Carlos Wieder si comportava in modo normale (o forse anormale: era molto più tranquillo del solito, addirittura umile, col viso permanentemente come se se lo fosse appena lavato), si occupava degli invitati quasi che la casa fosse stata sua (il cameratismo era totale, troppo bonario, troppo ideale, scrive Muñoz Cano), salutava con affetto gli altri ufficiali suoi amici che non vedeva da tempo, accettava di commentare gli incidenti della mattina all’aeroporto senza attribuirvi e senza attribuirsi grande importanza, tollerava di buon grado le battute consuete (a volte pesanti, a volte francamente di cattivo gusto) in quel tipo di riunioni. Ogni tanto scompariva, si chiudeva nella stanza (e questa volta la stanza era proprio chiusa a chiave), ma le sue assenze non duravano mai molto.
Infine, a mezzanotte in punto, salì su una sedia e chiese silenzio in mezzo al soggiorno e disse (parole testuali, secondo Muñoz Cano) che era ormai giunta l’ora di immergersi un po’ nella nuova arte. Era di nuovo il solito Wieder, dominatore, sicuro, con gli occhi come separati dal corpo, come se guardassero da un altro pianeta. Poi si fece strada fino alla porta della sua stanza e fece entrare gli invitati uno alla volta. Uno alla volta, signori, l’arte cilena non ammette agglomerazioni. Quando disse così (secondo Muñoz Cano) Wieder usò un tono giocoso e guardò il padre, cui strizzò l’occhio sinistro e poi quello destro. Come se tornato ai suoi dodici anni gli facesse un segno segreto. Il padre aveva un viso sereno e sorrise al figlio.
La prima a entrare fu Tatiana von Beck Iraola, com’era logico data la sua condizione di donna e il suo carattere impulsivo e capriccioso. Tatiana, scrive Muñoz Cano, era nipote, figlia e sorella di militari e nel suo stile un po’ sventato una donna indipendente, che faceva sempre quello che voleva, usciva con chi più le garbava e  aveva opinioni stravaganti, molte volte contraddittorie, ma spesso originali. Anni dopo si sposò con un pediatra, andarono a vivere a La Serena ed ebbe sei figli. La Tatiana di quella sera, ricorda Muñoz Cano con malinconia lievemente tinta di orrore, era una ragazza bella e sicura di sé ed entrò nella stanza aspettandosi di trovarvi ritratti eroici o noiose fotografie dei cieli del Cile.
La stanza era illuminata nel modo consueto. Neppure una lampada in più, né un faretto extra che desse spicco alle foto. La stanza non doveva assomigliare a una galleria d’arte ma proprio a una stanza, una camera in prestito, l’abitacolo di passaggio di un giovane. Naturalmente, non ci furono luci colorate come disse qualcuno, né musica di tamburi che usciva da un mangianastri nascosto sotto il letto. L’ambiente doveva essere casuale, normale, senza stridori.
Fuori, la festa proseguiva. I giovani bevevano da giovani e da trionfatori e inoltre sapevano sopportare l’alcol da cileni. Le risate erano contagiose, ricorda Muñoz Cano, estranee a qualsiasi minaccia, a qualsiasi ombra. Da qualche parte un trio si mise a cantare, tutti abbracciati, accompagnati alla chitarra da uno di loro. Appoggiati alle pareti, a gruppi di due o di tre, alcuni parlavano del futuro o dell’amore. Tutti erano contenti di trovarsi lì, alla festa del poeta-pilota; erano contenti di essere quello che erano e di essere, inoltre, amici di Carlos Wieder, anche se non lo capivano del tutto, anche se coglievano la differenza che c’era fra loro e lui. Nel corridoio la coda si frantumava di continuo; gli uni si ritrovavano a secco di alcol e andavano a cercarne, altri si invischiavano in riaffermazioni di amicizia e di lealtà eterne che li riportavano, come un’onda protettrice, al soggiorno, da dove tornavano, traballanti, con i pomelli rossi, a riprendere il loro posto nella coda, il fumo, soprattutto nel corridoio era considerevole. Wieder stava in piedi contro lo stipite della porta. Due tenenti discutevano e si spingevano (ma piano piano) nel bagno in fondo al corridoio. Il padre di Wieder era uno dei pochi seri e rispettosi della coda. Muñoz Cano si muoveva, secondo le sue stesse parole, in su e in giù, nervoso e pieno di oscuri presagi. I due reporter surrealisti (o superrealisti) chiacchieravano col padrone di casa. In uno dei suoi andirivieni Muñoz Cano riuscì a sentire alcune parole: parlavano di viaggi, di Mediterraneo, Miami, spiagge assolate, barche di pescatori, donne esuberanti.
Non era trascorso un minuto quando Tatiana von Beck uscì. Era pallida e turbata. Tutti la guardarono. Lei guardò Wieder – sembrava che stesse per dirgli qualcosa ma che non trovasse le parole – e poi cercò di raggiungere il bagno. Non ci riuscì.
Vomitò nel corridoio e poi, incespicando, se ne andò via aiutata da un ufficiale che galantemente si offrì di riaccompagnarla a casa malgrado le proteste della von Beck che preferiva andarsene da sola.
Il secondo a entrare fu un capitano che era stato professore di Wieder all’Accademia. Non uscì più. Wieder, accanto alla porta chiusa (il capitano, entrando, l’aveva lasciata socchiusa ma lui la richiuse), sorrideva, sempre più soddisfatto. Nel soggiorno alcuni si domandarono se Tatiana fosse stata morsa da una tarantola. E’ ubriaca, disse una voce che Muñoz Cano non riconobbe. Qualcuno mise un disco dei Pink Floyd. Qualcun altro disse che fra uomini non si poteva ballare, qui sembra una festa di coscritti, disse una voce. Risposero che la musica dei Pink Floyd era da ascoltare, non da ballare. I reporter surrealisti parlottavano fra di loro. Un tenente propose di uscire subito in cerca di puttane. Muñoz Cano scrive che in quel momento ebbe la sensazione di trovarsi esposto all’intemperie, sotto la notte oscura e in piena campagna, perlomeno le voci risuonavano così. Nel corridoio l’atmosfera creatasi era peggiore. Quasi nessuno parlava, come nella sala d’attesa di un dentista. Ma dove si è mai vista la sala d’attesa di un dentista in cui i denti-marci (sic) aspettano in piedi?, si domandava Muñoz Cano.
Il padre di Wieder spezzò l’incantesimo. Si fece avanti educatamente, chiamando gli ufficiali che stavano prima di lui nella coda con i loro nomi di battesimo, ed entrò nella stanza. il proprietario dell’appartamento lo seguì. Quasi subito questi uscì e si fermò di fronte a Wieder; per un momento sembrò che stesse per colpirlo, l’aveva afferrato per i baveri, e poi fece dietrofront e se ne andò nel soggiorno a bersi un bicchiere. Da quel momento tutti, compreso Muñoz Cano, vollero entrare nella camera. [...]
Roberto Bolaño, Stella distante, Sellerio, 8€


Andrea di AltroQuando   ---- - - -
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