martedì 15 settembre 2009

Il globo, la mappa, le metafore (vi / vii)

Franco Farinelli


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Il globo, la mappa, le metafore
«Non lo so nemmeno io; è che mi sono inoltrato all'interno del continente un po' alla volta, un po' alla volta senza un piano e, a questo punto, sono qua; so soltanto che non posso tornare indietro perché è troppo distante».
È evidente qui la follia, dove l'azione non obbedisce ad un piano, a un progetto, ed è evidente la polarità rispetto a Kurtz che, come si diceva, rappresenta la scala, quella scala lineare metrica che fa la sua prima apparizione nella grotta di Polifemo. Sono i compagni di Ulisse che, a distanza regolare l'uno dall'altro, sorreggono il palo e lo infiggono nell'occhio del ciclope. Questa è la prima tremante scala metrica lineare di cui si abbia notizia - cioè è lo spazio, esattamente lo spazio, come prima ho tentato rapidamente di illustrare.
Kurtz, che è anche l'emissario della luce, del progresso - così lo definisce Conrad - crea egli stesso la sua carta, mette cioè la sua scala in fondo alla carta. Infatti, verso la fine dei suoi giorni Kurtz scrive una relazione di diciassette pagine sulla redenzione dei selvaggi, e, con calligrafia tremante, appone infine la sua firma, la scala, il suo suggello. Che recita così: "sterminateli tutti quei bruti", cioè esattamente l'opposto, il contrario di ciò che nella relazione si era dichiarato.
Naturalmente la fine di Kurtz è tragica, non vi è altra possibilità, Kurtz deve morire, ma non muore solo lui. C'è un'altra possibilità che, ripeto, è contenuta qui dentro. Da un lato, infatti, abbiamo il globo, la follia, l'assenza di spazio, e dall'altro lo spazio. Ma lo spazio significa quello che abbiamo visto, essendo un intervallo metrico lineare standard, comporta la dissociazione tra gli scopi e i fini da un lato, e i mezzi dall'altro, e comporta la riduzione del mondo a una tavola.
Anassimandro forse è esistito o forse no (sull'enciclopedia vengono riportate le date di nascita verosimile e di morte verosimile di questo allievo di Talete, 610 e 547 a.C.), ma Michel Serres dice, nel suo volume sull'origine della geometria, che non è esistito, perché il nome che porta è troppo bello, significa infatti 'il re del recinto'. Anassimandro, comunque, passa per essere colui che, nella cultura occidentale, è stato il primo a osar, così si dice, rappresentare la terra abitata su una tavoletta, ed è stato anche lo stesso che per primo ha scritto in prosa. E, secondo me, da Anassimandro deriva con una certa evidenza la precessione dei simulacri di cui prima si diceva.
Ecco allora l'altra possibilità.
Prendiamo come modello il frontespizio del Leviatano di Hobbes, del 1651 circa. Per inciso, in quegli anni Cartesio dice che non era necessario aprire un libro per capire cosa c'era dentro, bastava guardare la copertina; ed era vero, perché ancora a metà del Seicento, il frontespizio era una sorta di sintesi immediata, più o meno folgorante, ma chiara, del contenuto stesso. Qui gioca un altro modello (che i semiologi, ma anche i non semiologi avranno immediatamente riconosciuto), il modello del segno linguistico secondo Saussure.






Frontespizio del Leviatano
 

Vi prego di notare che è esattamente questa la situazione che rappresenta la terza possibilità che il quadro di Vermeer, dal quale siamo partiti, offre. Credo si possa sostenere che questa linea centrale, questa barra centrale, la barra che accecava il pittore e distingueva, nella carta appesa al muro, il segno alfabetico sottostante, ossia la legenda, il metalinguaggio per la carta, dal linguaggio grafico, questa barra sia la rappresentazione cartografica. Ma vediamo come funziona.
'Leviatano' è uno degli appellativi che Melville attribuisce alla balena bianca. E però bisogna dire che in questo caso non è esattamente la stessa cosa. Questo non è il globo, ma è ciò che anche nella rappresentazione di Leibniz da cui siamo partiti sta esattamente tra il globo e la mappa.
Ritorniamo all'osservazione dalla quale tutto il discorso è partito; tutto quello che avete ascoltato fin qui è solo il tentativo di spiegare una cosa che, per quanto io abbia consultato la letteratura relativa, non sono mai riuscito a veder notata: nel dipinto di Vermeer la mano destra del pittore è esattamente un globo, ha una forma globulare che tanto più contrasta con la mano di Clio così finemente rappresentata. E impugna il pennello quasi fosse l'asse di rotazione di questa massa globulare. Non è pensabile che un pittore come Vermeer faccia questo senza un motivo. Allora, qui Vermeer sta dicendo, se vogliamo stare al linguaggio di Leibniz che abbiamo riferito prima, che il pittore è la divinità. Come diceva Vittorio Roda, il compito del geografo è di prendersi i propri rischi e di avventurarsi in campi che sono altrui. È costitutivo di questa forma di sapere e anche uno dei suoi pregi.

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Golem   2 giugno 2002
© Franco Farinelli

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