martedì 15 settembre 2009

Il globo, la mappa, le metafore (vii / vii)

Franco Farinelli


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Il globo, la mappa, le metafore







Jan Vermeer, L'atelier, part.


Bene, c'è il globo, c'è la mappa all'altro estremo, in mezzo c'è la decapitazione di Clio. Attraverso una linea retta.

Torniamo a Hobbes. Il Leviatano è lo stato nazionale territoriale centralizzato, come avrebbe detto Carl Schmitt, che secondo me aveva letto Cuore di tenebra, in particolare nel punto in cui Conrad riferisce che la madre di Kurtz era per metà inglese, il padre era per metà francese e tutta l'Europa aveva contribuito alla sua creazione In questo modo Conrad sta definendo esattamente quello che per Carl Schmitt è la razionalità giudaico-cristiana nell'ambito della cultura europea. Ora, il Leviatano è lo stato nazionale territoriale centralizzato e dunque l'inscrizione sulla faccia della terra di uno spazio metrico lineare standard che diventa territorio politico; il Leviatano fonda, costituisce storicamente la necessità di questa operazione. Ho accuratamente evitato fin qui di parlarne perché non mi sembrava il momento opportuno, ma prendiamo in considerazione il fatto che il Leviatano, lo spazio, si pone in netta antitesi e, dal punto di vista storico, distrugge ogni valore locale. Esattamente come una linguistica generale.

Non solo, ma Saussure fa l'operazione ancora più meditata, secondo me, perché se noi facciamo corrispondere al linguaggio il globo, alla lingua lo spazio, e alla parola il luogo, abbiamo esattamente lo stesso sistema.

Ora, si badi, Conrad risolve il problema non in Cuore di tenebra ma nel racconto successivo, Tifone, e lo risolve in termini semiologici, mettendo a confronto McWhirr, il comandante del Nan-Shan, l'imbarcazione che riesce miracolosamente a salvarsi dal tifone, con il giovane sottoufficiale Jukes, e vi prego di notare che Jukes è 'j' e 'k', cioè Joseph Konrad-Korzeniowsky. Proprio la stolidità un po' flemmatica di McWhirr riesce a condurre a salvamento l'imbarcazione, non Konrad, non il giovane sottufficiale. Il contrasto tra i due è esemplificato in maniera assolutamente chiara, come si vede ad esempio all'inizio del racconto, quando viene issata a poppa la bandiera che la nave deve battere. Questa bandiera è quella del Siam, campo rosso e elefante bianco. A questa vista, il giovane sottufficiale Jukes reagisce perché vorrebbe vedere l'Union Jack, la bandiera inglese, e affronta con veemenza il comandante, protestando che è uno scandalo. Perché? risponde McWhirr, Che scandalo c'è? Il sottufficiale evidentemente non riesce a spiegarsi tanta foga e allora tocca a McWhirr sottolineare che, anche per dimensioni, è una bandiera come le altre e soltanto bisogna avere la precauzione di non montarla al rovescio, perché in questo caso potrebbe essere scambiata per un segnale di soccorso.

Evidentemente abbiamo, nei confronti del segno rappresentato dalla bandiera, da un lato una reazione referenziale e dunque denotativa, quella del comandante McWhirr, dall'altro una reazione di tipo emotivo, e quindi connotativo, di fronte allo stesso segno. Ma la cosa interessante è proprio McWhirr che non reagisce, per cui un segno è davvero un segno che conduce in porto e a salvamento tutto l'equipaggio.

Qualche mese dopo, con il Corso di linguistica di Saussure, tutto ciò viene determinato. La determinazione di significante e significato in questo caso è evidente; è evidente come il segno linguistico, nelle sue caratteristiche primordiali, sia arbitrario da un lato e lineare dall'altro, come cioè venga scomposto e come tutto questo venga esattamente rappresentato, come terza possibilità, dalla decollazione di Clio, della musa dell'oralità e del logos.





Disegno di Horace-Bénédict de Saussure, tratto da Voyage dans les Alpes




Mi interessa attirare la vostra attenzione su un ultimo disegno, perché non credo che Ferdinand de Saussure abbia visto la copertina del Leviatano, ma quasi sicuramente ha visto questo disegno, tratto da un volume di un suo antenato, Horace-Bénédict de Saussure, che fu il primo a salire sulle Alpi e ne fece una relazione, pubblicata nel 1779, con il titolo Voyages dans les Alpes. Nel Corso vi è un passo in cui questo disegno viene descritto esattamente nello stesso modo in cui Saussure parla della dialettica interna al linguaggio stesso, cioè quando deve spiegare che i fatti linguistici (attenzione: ecco perché corrispondono allo spazio) sono ordinabili, finiti, passibili di definizione e corrispondono a uno stato. A questo proposito porta un esempio: è come se uno che volesse disegnare il panorama delle Alpi, si spostasse di volta in volta su tutte le vette del Giura, come dire diacronicamente, e cercasse poi di rappresentare l'insieme. Questo signore si impegnerebbe in un'operazione inutile. Potrebbe infatti rappresentare solo i progressivi spostamenti del proprio punto di vista, mentre per avere un panorama delle Alpi bisogna fissarsi in un punto e di lì procedere. Il parallelismo serve alla dimostrazione della necessità di una concezione sincronica del fatto linguistico, e non diacronica, serve a vedere i fatti linguistici nei loro rapporti istantanei. Nel disegno di Horace-Bénédict noi possiamo scorgere i segni primordiali del segno linguistico, come l'arbitrarietà. Tutte le cime, infatti, a cominciare da quella che ha per segno "a" (il Monte Bianco), sono contrassegnate da una lettera. E qui Sausurre ha un'espressione bellissima, che io credo che in italiano debba tradursi in "menù forzato", la "cart forcée" in francese. Al centro di questo bianco sudario, per stare al linguaggio di Melville, abbiamo inoltre la riduzione della dimensione al tratto lineare. Horace-Bénédict, l'antenato, ha posto una scala, ha posto un segno lineare che non soltanto definisce la dimensione, ma anche un orientamento rispetto ai punti cardinali. Accanto ha segnato, non so se si può apprezzare, due puntini, che sono gli uomini. Anche nel segno linguistico del trattato compare una barra, benché scarnificata, per così dire, e ridotta alla struttura.

Perché ho detto tutto questo? Qual è il problema del globo o di Moby Dick? Moby Dick fa paura, è terribile, perché per Moby Dick questa barra non esiste, Moby Dick è un mostro, ed è il globo, perché fa a pezzi la barra, come Kurtz dirà a Charlie Marlow. Kurtz è un uomo che ha preso a calci la terra e l'ha ridotta in pezzi, lo stesso fa Moby Dick. Emerge dal mondo ctonio, se volete, dall'ambito del significato, e non distingue più tra significato e significante; per questo è pericoloso, per questo è inclassificabile, per questo uccide.

Oggi siamo esattamente nella stessa condizione; perché oggi esiste qualcosa che si chiama globalizzazione, per la quale siamo assolutamente sprovvisti di modelli, sappiamo che esiste e sospendiamo anche il giudizio sul fatto che sia giusta o ingiusta.

La conosciamo nei suoi effetti, ma non abbiamo le parole per dirlo, e qui Leibniz ha perfettamente torto. Abbiamo urgentemente bisogno di nuovi modelli per fare fronte a un mondo, questa sì è la post modernità che, contrariamente a quanto Baudrillard ha scritto, non è più riconducibile alla precessione del simulacro, ma alla fine, alla crisi di tutti i simulacri attraverso i quali la modernità si è costituita.

E i nuovi modelli da dove possono arrivare? Soltanto dalla letteratura.
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Golem   1 giugno 2002
© Franco Farinelli

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