Paolo Castronovo
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2666 - la parte di Fate
"mi dici come cazzo si fa a scrivere un romanzo di oltre seicento pagine con una sola storia? "
[ R.B. - intervista Raul Schenardi, maggio 2003 ]
[ R.B. - intervista Raul Schenardi, maggio 2003 ]
Partendo da questa intuizione alla Borges, Bolano approfondisce l'intreccio di 2666 . L'azione si espande e si fa cosmopolita. Tuttavia, anche stilisticamente, lo scrittore cambia le regole del gioco e si sposta su territori da hard-boiled. La terza ed ultima parte di 2666 focalizza l'attenzione su Oscar Fate, giornalista quarantenne afroamericano di New York City. Un personaggio che fin dall'inizio racchiude in sè le caratteristiche del detective, dell'emarginato, di certe figure fumose legate all'immaginario del noir. Allo stesso tempo il lettore riesce a distinguere in maniera sempre più nitida i punti salienti del racconto: la terrificante ed irrisolta serie di omicidi che da anni ha luogo a Ciudad Juàrez, Santa Teresa nel romanzo, cittadina messicana trasformata in un teatro degli orrori dalla paura e dalla corruzione delle forze dell'ordine.
Se gli omicidi sono la scintilla però, il vero bersaglio di Bolano, il bersaglio di sempre, è l'ipocrisia intellettuale, la mancanza di coscienza e di moralità dei letterati e dei giornalisti del Sudamerica. Non a caso ne La parte di Fate troviamo le frecciate più dirette ed incisive di tutta la prima metà di 2666: Fate propone invano al suo caporedattore di autorizzarlo a lavorare ad un reportage sugli omicidi:
"Qui c'é materiale per un gran reportage".
"Quanti cazzo di fratelli sono coinvolti nella faccenda?".
"Che stronzate stai dicendo?".
Quanti maledetti neri hanno la corda al collo?" disse il capo.
"E io che ne so, ti sto parlando di un gran reportage" disse Fate "non di una rivolta nel ghetto".
Quindi non c'é nessun fratello del cazzo in questa storia".
[p. 367-368]
"Quanti cazzo di fratelli sono coinvolti nella faccenda?".
"Che stronzate stai dicendo?".
Quanti maledetti neri hanno la corda al collo?" disse il capo.
"E io che ne so, ti sto parlando di un gran reportage" disse Fate "non di una rivolta nel ghetto".
Quindi non c'é nessun fratello del cazzo in questa storia".
[p. 367-368]
Faccenda chiusa. In poche battute di dialogo Bolano si fa beffe dei giornalisti più ipocriti, moralisti e fanatici.
Oppure ancora: "La fine era iniziata da qualche parte, a Charly Cruz non importava dove, forse nelle chiese, quando i preti avevano smesso di dire le messa in latino, o nelle famiglie, quando i padri avevano abbandonato (terrorizzati, credimi, brother) le madri. Ben presto la fine del sacro era arrivata al cinema. Avevano smantellato i grandi cinema e costruito scatole immonde chiamate multisale, cinema pratici, cinema funzionali. Le cattedrali erano crollate sotto la palla d'acciaio delle squadre di demolizione" [p. 391] .
Oscar Fate si ritrova per questioni di lavoro a Santa Teresa. Il paese sembra un catalizzatore di solitudini: i quattro critici, Oscar Amalfitano e adesso Fate sono magneticamente attratti o meglio, chiamati da questo luogo che ha tutte le caratteristiche di un non-luogo. Il giornalista è lì per scrivere un pezzo sull'incontro di boxe che avrà luogo la sera dopo il suo arrivo. L'impatto con la creme de la creme del giornalismo sportivo che si trova già sul posto non può non ricordare le pagine migliori di Paura e delirio a Las Vegas di William Burroughs: un delirio collettivo, adolescenti in vacanza o vecchi in pensione, in bilico tra i ricordi di un mestiere e il bilancio di una vita randagia. Tuttavia siamo lontani dal giornalismo d'assalto scanzonato e cinico: la forza delle pagine di 2666 è proprio l'intensità dolente della consapevolezza di un male che dilaga sotto gli occhi di tutti i ciechi del mondo.
Fate inizia a comprendere come gira la grande ruota in Messico: scopre cosa vuol dire fare il giornalista di mestiere a Santa Teresa; cosa significa essere una voce scomoda che canta fuori dal coro; rischiare la vita per l'informazione non sembra più essere una possibilità così remota e, anzi, potrebbe essere l'unica vera iniziativa da portare avanti, se non per giustizia per individualità.
Sarà l'incontro con Guadalupe Roncal, giovane giornalista gettata dai suoi superiori in un affare più grande di lei, ad indagare sugli omicidi, a far germogliare in Fate il seme dell'indignazione come un tumore benigno che va esaltato, nutrito e mai rimosso. A completare il terzetto e legare la seconda e la terza parte del romanzo ci pensa Rosa Amalfitano, figlia del professor Oscar Amalfitano già incontrato nell'omonima seconda parte. Sempre ricordando Borges, Bolano procede con una narrazione polifonica, di ricchezza e ritmo impareggiabili, approfondendo spunti, bruciando ponti e seguendo dall'alto diverse biforcazioni allo stesso tempo. Entriamo nella vita della bella Rosa, veniamo a conoscenza di ricordi ed episodi del tutto inimmaginabili, considerando che avevamo visto la ragazzo unicamente attraverso gli occhi del padre: la vera Rosa è una donna forte ed intelligente della quale si sa poco ma si presagisce molto. E' lei la cerniera che unisce i personaggi, che lega Stati Uniti (Fate), Messico (Santa Teresa) e Spagna (Amalfitano).
Con La parte di Fate si raggiunge un primo climax narrativo dopo una progressiva focalizzazione del "problema", la questione degli omicidi e della ridicola boria dei letterati di serie B: dopo gli intellettuali più attenti ad uno scrittore fantasma che non alle "Ossa nel deserto " (S. Gonzalez Rodriguez), passando per il docente universitario in crisi esistenziale, si arriva finalmente a personaggi (Fate e la Roncal) che non solo si mostrano sensibili ai delitti, sia pur per ragioni professionali, ma che si adoperano attivamente nella ricerca di una tanto dubbia verità.
Benvenuti all'inferno, quindi?
Ecco la chiusura de La parte di Fate, terza ed ultima parte di questa prima, eccellente edizione Adelphi, con l'ottima traduzione di Ilide Carmignani:
"E poi videro un tipo enorme e biondissimo che entrava nella sala delle visite piegando la testa, come se temesse di sbatterla sulla porta, e che sorrideva come se avesse appena commesso una birichinata, cantare in tedesco la canzone del boscaiolo perduto, e che li guardò tutti con uno sguardo intelligente e burlone. Dopodichè il secondino che lo accompagnava chiese a Guadalupe Roncal se preferiva che lo ammanettasse alla sedia oppure no e Guadalupe Roncal scosse la testa e il secondino diede una pacca sulla spalla al tipo alto e se ne andò e anche il funzionario che stava accanto a Fate e alle donne se ne andò, non senza prima aver detto qualcosa all'orecchio di Guadalupe Roncal, e rimasero soli.
- Buongiorno - disse il gigante in spagnolo. Si sedette e allungò le gambe sotto il tavolo finchè i piedi non spuntarono dall'altra parte [...]
- Fate pure le vostre domande - disse il gigante.
Guadalupe Roncal si portò una mano alla bocca, come se stesse inalando un gas, e non seppe più cosa chiedere".
[p. 432-433] .
- Buongiorno - disse il gigante in spagnolo. Si sedette e allungò le gambe sotto il tavolo finchè i piedi non spuntarono dall'altra parte [...]
- Fate pure le vostre domande - disse il gigante.
Guadalupe Roncal si portò una mano alla bocca, come se stesse inalando un gas, e non seppe più cosa chiedere".
[p. 432-433] .
© Paolo Castronovo, gennaio 2008
Lankelot gennaio 2008
NOTE
• Paolo Castronovo è laureando in Lingue e Culture moderne, con una tesi sull'anarchia linguistica di Giorgio Manganelli. Ha collaborato con diverse riviste di cinema e letteratura, tra cui "Libraria" e " 90011 Magazine ". Fa parte del collettivo " Lankelot " (portale di arte, cinema e letteratura e associazione culturale) da diversi anni.
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