martedì 1 dicembre 2009

il perfetto scrittore progressista (massimo Rizzante)

Massimo rizzante

10 novembre 2009

Il perfetto scrittore progressista

di Massimo Rizzante
(post rem)
Il perfetto scrittore progressista Walter Veltroni, autore di un romanzo intitolato Noi ha lasciato cadere, in una recente intervista, alcune perle. La prima è che, al di là di ogni facile lamento, «la letteratura ha ancora un peso enorme… Anche oggi. Non a caso, i regimi danno fuoco ai libri». La seconda è che «Le parole hanno sempre cambiato il mondo e lo faranno ancora». La terza è che «La letteratura è democrazia».

Mi chiedo che idea della letteratura abbia il perfetto scrittore progressista. Ma soprattutto quale sia la sua idea di democrazia.

Io ho sempre pensato che la creazione letteraria sia elitaria. E che una democrazia è tanto più forte quanto più è in grado, attraverso un sistema educativo aperto a tutti, di sradicare l’ignoranza (con la quale dobbiamo fare i conti nel corso di tutta una vita) in modo da rendere accessibili i romanzi di Sterne, di Joyce e di Kafka. Non è la letteratura che è democratica, è l’accesso ad essa che deve esserlo.
La democrazia non è qualcosa che si ottiene in modo gratuito, assecondando la mediocrità, ma è al contrario uno sforzo costante, un atto esigente di lucidità e di immaginazione, qualcosa di molto simile alla stessa creazione letteraria.
Pensare, perciò, come fa il perfetto scrittore progressista che la letteratura sia di per sé democratica significa inevitabilmente porla sotto il segno della sua accessibilità popolare, significa cioè avere un’idea populista della letteratura e della democrazia. Questa che sembra una contraddizione in termini – come può un progressista avere un’idea populista della democrazia? – è in realtà la concreta radice di uno dei mali nel nostro paese. E non solo del nostro paese.
Certo, qualcuno, magari un progressista meno ragionevole ma più razionale, potrebbe addurre l’argomento che opere come l’Ulisse di Joyce o I sonnambuli di Broch non possono essere recepite da un pubblico di analfabeti di ritorno o di illetterati alle prese con l’ennesima rivoluzione tecnologica. La mia risposta è una domanda: che cosa leggeranno questi analfabeti e questi illetterati quando avranno smesso di esserlo? I romanzi di Veltroni e Veronesi o I sonnambuli?
Al centro della questione, allo stesso tempo letteraria e politica, ci sono due modi di invitare il lettore a partecipare all’opera.
Il primo parte dal presupposto che il lettore sia sempre identificabile e che i suoi gusti, giudizi e preferenze siano conosciuti in anticipo dall’autore, il quale prepara, con l’aiuto di probi editor, il perfetto piatto del perfetto scrittore progressista-populista con cui si nutrono le viscere del consumatore del presente.
Il secondo cerca di identificare il lettore che ancora non c’è, il lettore che scopre se stesso attraverso la lettura. Quando questo lettore e l’opera si incontrano, quando l’uno e l’altra si creano reciprocamente, nasce l’opera davvero democratica, in grado cioè di rivolgersi non a un lettore-consumatore del presente, ma a un lettore-cittadino del futuro.
Si capisce quindi come ogni apologia progressista dell’opera letteraria che deve essere accessibile a tutti, mistifichi tre deficit che il perfetto scrittore progressista non riesce a colmare, essendo la sua idea di democrazia minata alle basi da un pregiudizio populista. Un deficit di progetto politico: i suoi romanzi si rivolgono a un lettore-consumatore del presente. Un deficit educativo: egli pensa di sradicare l’ignoranza non elevando il tasso di cittadinanza della letteratura, ma innalzando il tasso della sua consumazione.
Un deficit, infine, di immaginazione: i romanzi del perfetto scrittore progressista soggiaciono a un mediocre realismo sociologico, alla verosimiglianza psicologica e a un’idea della Storia concepita come una successione di eventi registrabili. I suoi romanzi sono privi cioè di ogni immaginazione temporale. Sono, oltre che populisti, anacronistici, in quanto costruiti con strumenti che hanno avuto il loro apogeo nel XIX secolo. E sono, per questo, nostalgici. Una nostalgia che nutre le viscere dei lettori-consumatori del presente.
L’opera letteraria davvero democratica che si rivolge a un lettore-cittadino del futuro è sì un atto individuale, ma è allo stesso tempo un atto di memoria comune e porta in seno il progetto di una collettività che non ha nome. Per questa ragione essa deve essere in grado di far intravedere – come una carica inesplosa – un’altra Storia, una «seconda Storia», come ha detto una volta Carlos Fuentes, che non ha niente a che vedere con la Storia registrata negli archivi né con la verità “storica” in tempo reale che ci propina l’informazione.

Lo scrittore davvero democratico non si accontenta quindi di ciò che gli è contemporaneo, ma si propone di compiere un’operazione che né gli storici né l’informazione possono compiere: rendere contemporaneo nella sua opera ciò che non gli è contemporaneo, accogliere in un unico spazio fittizio una coesistenza di tempi, fare di ogni passato presente.

E’ evidente che per farlo, il codice realistico deve essere violato. E con questa violazione finisce il sogno nostalgico, allo stesso tempo progressista e populista, di un realismo universale in grado di identificare in ogni parte del globo il lettore-consumatore del presente.

Questa «seconda Storia», che nell’opera fa brillare come un miraggio il nostro futuro senza nome, è ciò che ogni lettore-cittadino dovrebbe richiedere a uno scrittore davvero democratico.

Pubblicato su Nazione indiana  10 novembre 2009
© Massimo Rizzante - "su Nazione Indiana" 


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