lunedì 28 febbraio 2011

2 - 3 - Metaromanzo di ritorno

Matteo Di Gesù        -

13 febbraio 2011
2 - 3 - Metaromanzo di ritorno

Per i proseliti del postmoderno letterario (sempre che ce ne sia ancora rimasto in giro qualcuno) sembrano imminenti le giornate del riscatto. Riabilitazione tardiva, certo; postuma, a dirla tutta; nondimeno dovuta. L'indizio più rilevante di questa inversione di tendenza è il ritorno in auge di un genere a lungo proscritto dalle sentinelle dei realismi vecchi e nuovi: il metaromanzo (attenendosi ai manuali: narrazione che assume come oggetto la narrazione stessa); nonché, più in generale, una inaspettata apertura di credito verso le scritture metaletterarie. Qualche esempio: uno degli esordi migliori del 2010 (ma l'autore aveva già scritto insieme a Fabio Viola Italia 2, un bellissimo reportage narrativo) è stato quello di Cristiano de Majo: Vita e morte di un giovane impostore scritta da me, il suo migliore amico (Ponte alle Grazie) è, sin dal titolo, un romanzo che ha per oggetto l'atto stesso del narrare – l'impostore è per l'appunto uno scrittore mancato – ed è un romanzo del quale si potrebbe dire che è anche uno dei più interessanti saggi italiani di teoria letteraria degli ultimi anni; Roberto Bolaño e David Foster Wallace, freschi di canonizzazione tra i classici contemporanei, rientrano indubbiamente nella categoria dei metanarratori, quantomeno per 2666 e per Notturno cileno il primo, per Infinite jest il secondo; il critico Filippo La Porta, in passato tenace avversatore dei "travestimenti" letterari, nel suo recente Meno letteratura, per favore (Bollati Boringhieri), concede giudizi benevoli, suffragati da osservazioni incisive: «Attraverso la metaletteratura si può raccontare il dolore del mondo». Se poi si estende la ricognizione, è facile reperire ulteriori prove a sostegno: l'ultimo Michel Houellebecq, La carta e il territorio (Bompiani), è anche un racconto speculare e un saggio di mise en abîme; l'incipit memorabile di Troppi paradisi (Einaudi), «Mi chiamo Walter Siti, come tutti», per non dire del resto del romanzo (Casadei ha parlato di «stilizzazione dell'(in)autentico»), rompe il patto narrativo tra autore e lettore e impone di riformularlo; Gianni Celati, curatore fittizio dell'edizione dei postumi Sonetti del Badalucco nell'Italia odierna di Attilio Vecchiatto (Feltrinelli), rientra di diritto tra i metaletterari. E, dando giusto uno sguardo indietro, aggiungere al novero: Nicola Lagioia, Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (minimumfax, 2001); Domenico Starnone, Prima esecuzione (Feltrinelli, 2007), nonché, pur con qualche prudenza, Tommaso Pincio, Lo spazio sfinito (minimumfax).

A tutto ciò è concomitante il declino che sembra patire quello che, sommariamente e attingendo liberamente a un suffisso a scelta, si è chiamato neo/neo-, post-, tardo-realismo, insieme al suo robusto corredo di dibattiti a margine; per di più parrebbe che i Wu Ming siano rientrati dalla loro estenuante tournée nelle più chic università del mondo e nei più prestigiosi centri sociali d'Italia per propagandare il loro New Italian Epic.
Se non di un fenomeno, dunque, si tratta quantomeno di un sintomo. E comunque di un'occasione propizia per avventurarsi in qualche considerazione sull'idea di letteratura con la quale abbiamo commerciato negli ultimi anni. Forse non è pleonastico farlo ripassando la lezione che vorrebbe per l'appunto la metanarrazione alle origini del romanzo moderno, almeno alla stessa stregua della mimesi: Don Chisciotte è anche, nella seconda parte, un metaromanzo; Tristram Shandy è l'illustre precursore della categoria, come del resto molti romanzi del Settecento. La linea procede ben riconoscibile, pur nelle sue oscillazioni, lungo due secoli e mezzo di storia letteraria, e ciascuno potrebbe segnarvi le tacche che predilige: Bouvard e Pécuchet, Borges, il Nabokov della Doppia vita di Sebastian Knight, l'ultimo Calvino, molto Arbasino, tutto Manganelli o quasi.
La narrativa postmoderna, a ben vedere, per questo aspetto non è stata che la più recente rielaborazione di una forma originaria. Una questione di virgolette, volendo; se Nabokov ammoniva che «realtà è una parola che bisognerebbe sempre scrivere tra virgolette», Umberto Eco, postillando Il nome della rosa, rilanciava: «Penso all'atteggiamento post-moderno come a quello di chi ami una donna, molto colta, e che sappia che non può dirle "ti amo disperatamente", perché lui sa che lei sa (e lei sa che lui sa) che queste frasi le ha già scritte Liala.
Tuttavia c'è una soluzione. Potrà dire: "come direbbe Liala, ti amo disperatamente"». Eco ragionava sulle possibilità residue di rifuggire, in letteratura, dalla falsa innocenza: dunque non proprio di oziose questioni di bello stile. Tuttavia, una ostinata riluttanza da parte di quasi tutta la critica italiana, fattasi presto senso comune, ha decretato il confino della letteratura di secondo grado a pratica poco commendevole. Il romanzo postmoderno, subentrando alle gloriose epopee dell'impegno, recava gli stigmi dell'estetica del riflusso: un lezioso esercizio letterario, uno stucchevole lambiccamento per teorici da accademia, una futile merce per lettori disimpegnati. Roba noiosa, insomma.
Sembra di poter dire che molte credenze sulla letteratura italiana degli ultimi trent'anni discendano più o meno direttamente da quell'unisono sussulto di storicistico estremo: le contumelie verso il Calvino di Se una notte d'inverno un viaggiatore e di Palomar, algido alchimista di una letteratura priva di referente, al quale andava contrapposto il corpo di Pasolini, brandito come un trofeo o una reliquia; la definizione liquidatoria di Manganelli «scrittore nichilista»; il ridimensionamento di Sciascia a provocatorio editorialista, mentre della sua ricerca di verità nell'ostinato esercizio dell'artificio e della finzione letteraria si è persa memoria. Ma l'equivoco più increscioso ingenerato da quell'ostracismo è forse proprio il famigerato «ritorno alla realtà». Due saggi, per molti aspetti affatto dissimili, usciti nel 2010 in Italia, hanno del resto contribuito a sgomberare il campo da questo tenace fraintendimento, rimettendo in gioco, fin dal titolo, la nozione di realtà in letteratura: Il romanzo e la realtà di Angelo Guglielmi (Bompiani) e Fame di realtà di David Shields (Fazi).
Se un sintomo va interpretato, la voga del metaromanzo rivela allora l'urgenza di rinegoziare idee, estetiche e finanche categorie letterarie. E di recuperare, finalmente senza sensi di colpa, una nozione banale: oltre che nei suoi contenuti, l'arcano della letteratura risiede nella formalizzazione, nella resa linguistica, nello scarto, nella differenza, nella sua costruzione artificiale e artificiosa. Solo a queste condizioni si dispiega tutto il suo potenziale davvero politico e addirittura eversivo

Il sole 24 ore   - - -

mercoledì 23 febbraio 2011

Il terzo reich secondo Wundergammer

  Lincoln-

30/1/2011

Il terzo reich

“El Tercer Reich” di Roberto Bolano, composto nel 1989 ma pubblicato solo recentemente, postumo, nel 2010, e quasi immediatamente tradotto in italiano da Ilide Carmignano per l’Adelphi, è indubbiamente uno dei pilastri fondamentali della ricezione del moderno fenomeno ludico del wargame sul finire degli anni ’80.
[...]
Lo stesso Bolano, nato in Cile nel 1953 e scomparso a Barcellona nel 2003, è un autore che sta venendo solo di recente riscoperto. Emigrato in Messico a quindici anni, nel 1968, con la famiglia, nel 1973 sarebbe tornato in Cile per appoggiare il governo di Salvator Allende. Ma il golpe militare di Augusto Pinochet pone fine al governo democratico e anche Bolano viene imprigionato dal regime. Fuggito fortunosamente, tornò in Messico dove fondò l’Infrarealismo (1974) assieme ad altri autori, in seguito all’espulsione da parte di André Breton dall’internazionale del surrealismo. In seguito si sarebbe trasferito in Europa (1978) e quindi in Spagna, dove verso il 1980 andò a vivere a Blanes, una città balneare di 30.000 abitanti sulla Costa Brava. L’avvio di una produzione letteraria sistematica iniziò verso 1990, ottenendogli subito un buon successo spagnolo; ma il vero trionfo sarebbe avvenuto dopo la morte, con una certa tipica mitizzazione dello “scrittore impegnato-maledetto” non esente da una buona dose di marketing. A tale proposito, e per un generale approfondimento bio-bibliografico, si veda innanzitutto il valido archiviobolano.it, esaustiva risorsa in lingua italiana sull’autore.

martedì 22 febbraio 2011

Giocando sulla sabbia al castello (di Kafka) - Il terzo reich

Francesco Frisari

22 febbraio 2011

Il giovane Udo Berger va in vacanza in Costa Brava, tornando nell'hotel delle villeggiature d'infanzia con l'altrettanto giovane fidanzata Ingrid; ha con sé un gioco strategico da tavola, il wargame Terzo Reich, che dispone con mappe e pedine in un apposito grande tavolo nella propria stanza. Tiene un diario, affinando la scrittura in vista di un articolo in cui illustrare una strategia perfetta per il gioco, di cui è affermato campione; racconta così i giorni che si susseguono, il sole e i bagni, la conoscenza con una coppia di turisti tedeschi, Hanna e Charly, così come l'incontro con degli spiantati locali, le bevute e le serate in discoteca tutti insieme. Fra feste, nuotate e tutti i contorni di una vacanza balneare qualcosa aleggia in quei giorni, nelle risse che sembrano poter sempre scoppiare nei locali, nel bambinesco e violento rapporto fra Charly e Hanna, negli sguardi lubrici e feroci degli amici spagnoli, il Lupo e l'Agnello (!), verso le due donne e, soprattutto, nell'inquietudine generale del protagonista sospeso fra il mare e il suo gioco. Forse si sente arrivare una tragedia, ma per molta parte del libro nulla davvero succede, se non sogni di morte o l'attrazione di Udo verso Frau Else, la proprietaria dell'albergo di cui si era invaghito già da adolescente, che pure rimane sospesa fra avvicinamenti e respinte. Quel che domina è un mistero soffuso, che s'incarna nel rapporto che il protagonista cerca con il Bruciato, un bagnino sfigurato, dalla pelle ustionata e dalle poche parole, che dorme in un riparo formato dagli stessi pattini che affitta di giorno, un castello approntato ogni sera e disfatto al mattino.

In effetti accade poi qualcosa: una disgrazia, più che la tragedia allusa, che nel realizzarsi sembra non avere più molto peso o realtà, arrivando a trascolorare nell'estate che sta finendo, nei rapporti sempre più fantasmatici e insteriliti fra i personaggi. Proprio nella progressiva rottura della cornice balneare, l'arrivo del mese di settembre e il paese e l'hotel che si svuotano, il racconto inizia a confidare il suo segreto, senza rivelarlo mai tutto, e ci mostra come Udo in questa vacanza, in questo vuoto popolatissimo, si perda, rimanga solo, partita Ingrid, ben oltre il previsto, e s'impantani, come smarrito in un lunapark fatiscente o nel vuoto di una casa di specchi. È incapace di far altro che giocare al Terzo Reich, lui i tedeschi e il Bruciato gli alleati. Una partita folle perché non si capisce cosa e chi ci sia in gioco, anche se ogni giorno diventa più chiaro che Udo debba temere per la propria stessa vita. La sfida travolge infatti tutto, diviene spasmo e ossessione, elenco di generali nazisti e delle loro virtù belliche: il male - riuscirà a far vincere finalmente l'Asse? - messo dentro una scatola e un manuale, poi dispiegato su una mappa del mondo, messa dentro una camera d'albergo fuori stagione, che diventa sempre più desolata, sporca e infestata dal gioco e dalle sue regole.

Nei libri di Roberto Bolaño, l'autore di Terzo Reich - il romanzo che racconta questa storia, non il gioco - si cerca sempre, noi quanto i personaggi, qualcosa e qualcuno: sono libri d'investigazioni e investigatori, fughe e ricerche di poeti, assassini, in qualche caso di poeti assassini (2666, Detective Selvaggi, Stella distante, Pista di ghiaccio). Qui invece non c'è giallo né noir, il colore è ancora più sottile e insieme torbido - poco sole, poi foschia estiva, prime piogge e all'orizzonte un mare quasi sempre indicibile - come sottile è il lavoro che tiene insieme stallo, attesa e accadimenti e li avvolge tutti in una bolla infiammata che è lo stesso gioco. Udo (si) perde nel e al gioco, in ciò che più gli dovrebbe permettere di ritrovarsi - ricordiamo che è prima di tutto un giocatore - in questa strana impasse di una vacanza sempre più svuotata. Invece proprio questo territorio di pedine, regole, strategie perfette - Bolaño sa di quel che parla: era un appassionato di wargame e, se il verbo non fosse un po' inquietante in un simile contesto, anche di nazismo - aumenta la follia di tutta la sua esperienza e ne rivela una condizione diversa, non solo quella della perdita di sé ma anche del parallelo e altrettanto folle tentativo di recuperarsi evocando - e padroneggiando - una realtà che resiste a qualunque tentativo di irreggimentazione, che non si fa ridurre a un semplice gioco ma arriva a imporsi come unica, travolgendo ogni limite.

Il Terzo Reich è un libro postumo, scritto nel 1989. Bolaño, scomparso nel 2003 a 50 anni, prima di morire aveva cominciato a riportarlo e correggerlo sul computer, senza riuscire a terminare. L'incompletezza di questo strano e bellissimo libro - in alcune parti si sente forse una scrittura meno ricca e poetica rispetto ad altre opere - il nostro stesso pensarlo incompleto aggiunge qualcosa alla sua lettura, dà un ulteriore senso al suo non raggiungere mai un cuore della tenebra, anche quando ci fa entrare nel castello del Bruciato - l'atmosfera è kafkiana - che di capitolo in capitolo si cerca di immaginare, quasi sfidati dall'idea di una fortezza di pattini, e che, una volta dentro, si rivela invece poco luminoso, desolato e ordinario, ma non per questo, come il libro tutto, meno attraente e pericoloso.

Uisp Nr 13   - - -


domenica 13 febbraio 2011

assunzione di responsabilità

  Sergio Rubini-

smettere di lavorare per il sultano





Javier Marías - discorso di accettazione premio nonino

  Javier Marías -

25 gennaio 2011


Innamoramento e impunitá

Ho appena terminato un nuovo romanzo, intitolato Gli innamoramenti, pur credendo che non ne avrei scritto nessun altro dopo le milleseicento pagine, in tre volumi, del precedente, Il tuo volto domani. Durante gli oltre due anni in cui sono stato impegnato con questa nuova opera -sempre con molte interruzioni esterne, come succede al giorno d’ oggi a quasi tutti i romanzieri-, ho avuto l’ insistente impressione che si trattasse di un libro particolarmente pessimista e oscuro, sebbene non manchino brevi scene umoristiche, come in tutti i miei libri. Ebbene, nel leggerlo intero per la prima volta mentre facevo la revisione finale, ho osservato con maggior chiarezza che il pessimismo non proveniva soltanto dall’ assunto del titolo: le cose meschine -oltre quelle nobili e disinteressate, è chiaro- di cui sono capaci le persone innamorate, e che, proprio perché dettate da un sentimento quasi universalmente considerato desiderabilee positivo, addirittura salvifico e “redentore”, di solito trovano facile giustificazione, sia per chi le commette sia per chi vi assiste. “Il fatto è che lo amava tanto”, si dice con comprensione. “È che ha sofferto molto per amore”, così vengono giustificati a volte coloro che incorrono in azioni vili o imperdonabili. Se non è un salvacondotto, lo stato d’ innamoramento si trasforma spesso nella maggiore attenuante immaginabile, sebbene quello stato induca persone buone a comportarsi talvolta come cattive; persone generose a essere malvagie; persone normali ad agire come criminali.

Ma, come ho detto, credo che il carattere più scuro di questo romanzo, che ancora non so vedere con un minimo distacco (ammesso che questo a noi autori sia possibile qualche volta), abbiaa che fare con un’ altra questione, l’ impunità che sempre più impera nel mondo, o questa è la sensazione che molti di noi hanno e che cresce in noi giorno dopo giorno. Non so citare a memoria, ma ne Gli innamoramenti si dice qualcosa di simile a questo: “Il numero di delitti ignoti supera di gran lunga quello dei delitti riscontrati, e quello dei delitti che rimangono impuniti è infinitamente maggiore di quelli che vengono puniti”. Contrariamente a ciò che dovrebbe accadere, la giustizia appare sempre più impotente, o più indolente, o più corrotta o connivente, o più vile, o più manipolabile, o più suscettibile di fraintendimenti e di perversione. Le scappatoie per ingannarla si moltiplicano, e vi sono politici e imprenditori -nel mio Paese, per non parlare dell’ Italia- che festeggiano come una vittoria e una discolpa il fatto che il reato di cui li si accusa sia stato prescritto, sempre convenientemente, quando una prescrizione in nessun modo equivale a un’ assoluzione, bensì a una dichiarazione di colpevolezza che tuttavia non può concretizzarsi. Le difficoltà della giustizia sono sempre esistite, e basta pensare, per confermarlo, ai pochissimi boia nazisti che hanno scontato una condanna. Non dobbiamo farci trarre in inganno: per un motivo o per un altro, l’ immensa maggioranza se l’ è cavata, si è liberata da ogni castigo, addirittura da ogni rimprovero e vergogna.

In modo sorprendente, questa tendenza, queste difficoltà hanno prosperato. Sono numerosi i dittatori (mi rifiuto di parlare di “ex dittatori”, come non si può parlare di “ex assassini”) che, nel migliore dei casi, finiscono per abbandonare il loro Paese con una fortuna in tasca e non compaiono mai di fronte alla giustizia. La proporzione di omicidi risolti, a confronto con le centinaia commessi contro donne a Ciudad Juárez da anni a questa parte, è ridicola, allo stesso modo di quelli che vi sono stati, ancora in Messico, nella cosiddetta guerra contro il narcotraffico. In tono minore, coloro che hanno causato l’ attuale crisi economica mondiale rimangono ai loro posti, per la maggior parte, e oltretutto danno ancora ordini. Oppure Bush Jr, Blair e Aznar, i quali hanno scatenato una guerra illegale e inutile che ha causato oltre centomila vittime, tutte evitabili, vanno tranquillamente a spasso per il mondo, spesso applauditi, e si mettono in tasca grosse somme di denaro per i loro libri, le loro conferenze e i loro “consigli” a grandi imprese. La sensazione che l’ impunità dòmini è inevitabile nelle nostre società, e ciò le conduce, in maniera graduale ma indefettibile, ad avere sempre maggiore tolleranza nei confronti di essa; a ritenere che ai singoli privati non competa intervenire né porre rimedio, quando non lo fanno neppure i giudici, e a considerare che lasciar passare un ennesimo delitto di cui si abbia conoscenzao di cui si sia stati oggetto, un crimine della vita civile, non abbia particolare importanza né cambi nulla nell’ essenza delle cose, di fronte alla sovrabbondanza dei delitti pubblici e politici che rimangono e rimarranno sempre impuniti. Si tratta di una delle più grandi demoralizzazioni del nostro tempo, e da qui viene, immagino, il mio fastidio nello scrivere su questo, se pure in maniera laterale e fittizia, in una cosa tanto modesta come un romanzo.
Mi dispiace di non essere stato più allegro e più ottimista in un’ occasione che si presterebbe all’ allegria e all’ ottimismo, almeno a titolo personale. Non ad altro invita il ricevere un Premio come il Nonino, in un Paese da me tanto amato come l’ Italia, e assegnatomi da una giuria tra i cui componenti vi sono numerose personalità che meritano tutta la mia ammirazione da anni. Romanzieri, poeti, sociologi, scienziati, cineasti e drammaturghi di cui non avrei neppure osato immaginare che conoscano il mio nome, tanto meno che si siano presi il disturbo di leggere quel che ho scritto, e ancora meno che lo abbiano apprezzato al punto di farmi questo grande onore. A tutti loro, grazie.

JAVIER MARÍAS
(Traduzione di Glauco Felici)
La Repubblica, 25 gennaio 2011


Il sito di Javier Marias - - -

sabato 12 febbraio 2011

Mi Vida como Bolaño

eventi

Mi Vida como Bolaño / My Life as Bolaño
 esilio identità e nazionalità

lo  spettacolo sarà presentato a Gusalajara
16 e 17 febbraio 2011
“Devised Theater”


Exilio: My Life as Bolaño / Exile: Mi Vida Como Bolaño, es un espectáculo de “Devised Theater” (teatro artefacto) en proceso creativo con el apoyo de Cultura UdG y a través de una estrecha colaboración con artistas de Canadá, Estados Unidos y México: dos artistas del NACL Theater (New York), Tannis Kowalchuk y Brett Keyser; la escenógrafa e iluminadora –que además fue el primer puente entre los creadores canadienses y mexicanos para este proyecto- Flavia Hevia; la actriz y directora Lydia Margules; la gestora y productora Zazil Servín de Museo Deseo Escena (México); y el actor y director Ker Wells of HopScotch Collective (Toronto, Canadá). El proyecto descansa sobre tres temas entretejidos: exilio, identidad y nacionalidad. Así, los materiales de búsqueda y experimentación surgirán de la vida y obra de Roberto Bolaño, los cantos Nor-americanos “sacred harp”, música mexicana popular y los eventos histórico-políticos de 1968 –esto último como un reflejo del clima político actual.
El Proceso
Los colaboradores se reunieron por primera vez en la ciudad de México en febrero de 2010 para la primera exploración de trabajo y el acercamiento de las diferentes trayectorias creativas. Este primer encuentro tuvo lugar en las instalaciones de la Universidad del Claustro de Sor Juana. Se empezó a desarrollar una metodología de trabajo y el material en busca de una dramaturgia escénica y la propia estructura del espectáculo. Esta primera fase del trabajo fue posible gracias al apoyo del Canada Council for the Arts Theatre International Program y la Independence Foundation.
Actualmente, se lleva a cabo la segunda parte del proyecto en la que se concretará un primer esbozo a presentarse en el Teatro Experimental el 16 y 17 de febrero a las 20:30 horas, a manera de “work in progress” (trabajo en proceso) y con entrada libre.
El Proyecto
El trabajo y vida de Bolaño son recursos vastos y ricos para un proyecto que cohesiona el trabajo de seis artistas teatrales multifacéticos de tres países para considerar el exilio como un estado, una perspectiva, una decisión, un curso y una bendición. Y el teatro como identidad. Consideraremos también la tensión entre arte y acción y el arte como acción – algo que produce un efecto, en el nivel individual, social y político. Se trata de un grupo tri-nacional con historias personales y políticas únicas, compartiendo profundos lazos históricos y al mismo tiempo con diversas aproximaciones y relaciones hacia el gobierno, las distintas clases y las razas.
Exilio: My Life as Bolaño / Exile: Mi Vida Como Bolaño
Tannis Kowalchuk, Brett Keyser, Flavia Hevia, Lydia Margules, Zazil Servín y Ker Wells
16 y 17 de febrero de 2011 20:30 horas
Teatro Experimental - Entrada libre

Teatro Experimental de Jalisco
Universidad de Guadalajara
Calz. Independencia Sur s/n
Col. Sector Reforma
CP 44460, Guadalajara, Jalisco
Tels. (33) 3619 1176, 3619 7694

The works of Chilean writer Roberto Bolaño have inspired many writers. Now it’s his life that is inspiring performers from Mexico, Canada and the United States to cross both geographical and theatrical boundaries with the ambitious project/play Mi Vida como Bolaño/My Life as Bolaño.
An experimental homage to the colorful and complex life of the author of “The Savage Detectives” and “2066,” will be presented next week in Guadalajara at the Teatro Experimental.   Its Canadian/U.S. producers describe it as “a work-in-progress” performance.

Born to a teacher and truck driver (also a semi-professional boxer), Bolaño lived for most of his life in exile, working as a dishwasher, bellhop and garbage collector in Spain, France, El Salvador and Mexico. It was not until his later years that he finally received recognition for his work. In respect to this diversity and to Bolaño’s Chilean roots, the production will be bilingual (in English and Spanish). While this has been challenging for the actors with only rudimentary Spanish, Kerry Wells, Canadian director and actor of Mi Vida como Bolaño/My Life as Bolaño, believes it was important to the theme.
“This is an instance of Canadians and Americans coming south and performing in both English and Spanish,” he says. “There’s an interesting symmetry there. Many Mexicans end up going north and living in a context that is completely foreign to them. They have to learn a different language just as we are.”
The process has also broadened the producers’ and actors’ perceptions of Mexico.
“So much of what we hear in Canada and the States is about violence, narcos, a kind of anarchy, that Mexico is falling apart,” says Wells, “My impression though has been of the overwhelming warmth of the people. The people are generous, cordial. It’s like being in a small town in Canada.  We haven’t had a single negative experience.”
Indeed, the collective has been generously supported by the University of Guadalajara’s Department of Culture, as well as by their their own sponsors in the United States and Canada.
This support has made the team even more eager to impress their Tapatío audience. Their unique approach to theater mixes hyperrealism and naturalized scenes, and Kells is confident Mi Vida como Bolaño/My Life as Bolaño will be a rewarding experience.
“My opinion is that theater in Canada and the States has become become trapped in an attempt to compete with television. So much more is possible. I want to imagine a reality created theatrically with all the contrast, color and diversity of human life.”
Mi Vida como Bolaño/My Life as Bolaño will be presented on Wednesday, February 16 and Thursday, February 17 at the Teatro Experimental (Calzada Independencia, near Agua Azul Park) at 8:30 p.m. Entry is free but given the recent difficulties procuring state funding in the United States and Canada, the group is inviting guests and supporters to make a tax-deductible donation at their website www.nacl.org. The team, which includes actors Tannis Kowalchuk and Brett Keyser from the North American Cultural Lab in New York, Canadian stage designer Flavia Heiva, Mexican actor and lighting designer Lydia Margules and producer Zazil Servín, will regroup at the end of the year and stage the completed play in New York.

The play Mi Vida como Bolaño/My Life as Bolaño will be presented at the Teatro Experimental on February 16 and 17. Canadian and U.S. actors will perform in English and Spanish.



Roberto Bolaño, uno scrittore attraverso le frontiere

convegni


Roberto Bolaño, uno scrittore attraverso le frontiere
il 16 febbraio,
presso la sede ETS, Accademia Nazionale Dell'Ussero - Pisa
ore 16.30
La conferanza link esterno sarà un viaggio incentrato sul profondo legame tra geografia, struttura dei testi e tecnica narrativa nell'opera dell'autore cileno, e accompagnato dalla lettura di alcuni brani tratti da I cani romantici, La letteratura nazista in America, I detective selvaggi, 2666.
Relazione a cura di: Chiara Valentina Speziale link interno
Letture a cura di : Alice Vannozzi
Elisa Paolicchi



odissea nello spazio

  odissea nello spazio

Stanley Kubrick



  

venerdì 11 febbraio 2011

La vita è un wargame

  Marco Belpoliti -

La vita è un wargame
l'espresso 11 febbraio 2011

Scritto nel 1989, a ridosso della caduta del Muro, "Il Terzo Reich" di Roberto Bolaño (traduzione di Ilide Carmignani, Adelphi, pp. 324, e 20) ha come protagonista un giovane tedesco, un giocatore di wargame. Il diario scritto da lui, Udo Berger, ci racconta quello che accade in una località di mare della Costa Brava, dove il ragazzo si è recato con la fidanzata, e dove continua il suo gioco bellico nella propria stanza. Uto e Ingeborg incontrano una coppia di connazionali, Charly e Hanna, con cui stringono un rapporto fatto di serate al ristorante, bevute, locali da ballo. Tutto nel racconto in prima persona è sospeso in una atmosfera malata, da un lato perversa e dall'altra connotata da un'assoluta ingenuità.

A fare da baricentro tra le due coppie è la padrona dell'albergo, Frau Else, una donna tedesca che egli conosce da tempo. Uto desidera Frau Else, la quale lo lusinga senza mai concedersi. Un intreccio di relazioni che noi osserviamo attraverso il punto di vista del narratore. La vicenda evolve verso un epilogo straniante.

"Il Terzo Reich" è stato scritto da Bolaño e mai terminato, tuttavia a leggerlo appare, salvo alcuni passaggi, un testo completo, inquietante e strano: a tratti ricorda "Il castello" di Kafka, e anche "La difesa di Luzin" di Nabokov. Uto è uno dei "falliti" che popolano le pagine di Bolaño, il cui stigma appare una giovinezza incipiente ma già conclusa. Lo scrittore cileno è totalmente assorbito dal confronto con il Male, con le sue metamorfosi, con la presenza di una sorta di peccato originale che decide della vita dei suoi personaggi, un disturbo fisico e insieme morale, che s'insinua sulla superficie dei suoi romanzi. Il male, ci dice Bolaño, non abita più la profondità dell'animo umano; è del tutto rovesciato all'infuori, come la mappa invisibile del gioco di guerra, chiamato "Terzo Reich", su cui si chinano Uto e il suo avversario.

l'espresso   -

martedì 8 febbraio 2011

Archivio Bolaño

dall'articolo di marco Cicala su Repubblica de 28/1/2011






 

Il Terzo Reich - Roberto Bolano - recensione

  Federico Bona -


Entri in un megastore e vedi le pile di libri vicino all’ingresso. Apri quotidiani, periodici, inserti culturali e non si parla d’altro… Ecco, tutto questo rumore improvviso intorno a Roberto Bolaño a me dà fastidio. E non per una sorta di orgoglioso o confuso senso di gelosia – mi sono armato d’introspezione, me lo sono chiesto, e ora sono certo che non è quello – tipica di chi da anni frequenta una cerchia carbonara di cultori, ma perché all’improvviso tutti parlano di capolavoro, di libro imperdibile, e sai che questo danneggerà il tuo autore preferito. Non è gelosia, è terrore. Terrore che, sull’onda di tanta spropositata celebrazione, rivolta in genere ai libri sbagliati – o ai meno migliori, mi verrebbe da dire –, l’incontro con Bolaño non porti che frustrazione e repulsione. Il Terzo Reich, per dire, ovvero l’oggetto su cui, semplicemente per essere il libro uscito più di recente, si appunta molta di questa pubblicistica entusiastica, non è che sia un brutto libro – tutt’altro – ma sembra più un testo per bolañani spinti che per masse da convertire in novelli ammiratori dell’autore cileno.  

domenica 6 febbraio 2011

Bolaño postumo, le tracce di una grandezza

  Kilgore magazine -

6 febbraio 2911

Bolaño postumo, le tracce di una grandezza

Per chi ancora oggi piange la prematura scomparsa di Roberto Bolaño, l'uscita di un nuovo romanzo postumo dopo l'incommensurabile 2666 è di per sé un evento da festeggiare. Anche perché il vero e proprio boom dello scrittore cileno negli ultimi anni - partito dagli Stati Uniti dove peraltro ne hanno fatto un'improbabile icona di ribellismo giovanilista molto limitativa, oltre che filologicamente scorretta, rispetto alla sua reale grandezza letteraria - ha creato una vera e propria generazione di cultori che attendevano con ansia la pubblicazione de Il Terzo Reich, di cui la stampa parlava ormai da molto tempo. Il libro, edito in Italia da Adelphi, è notevole, e la mano di Bolaño sempre ispirata. Si tratta comunque di un romanzo scritto nel 1989, ossia ancora nove anni prima del grande capolavoro pubblicato in vita, I detective selvaggi, e che mostra in alcune pagine l'ancora non completata metamorfosi dell'oscuro poeta infrarealista nel meraviglioso e magnetico narratore universale capace di raccontare come pochi altri l'orlo dell'abisso. Eppure, seppur talvolta acerbo, Il Terzo Reich è un romanzo bolañiano in tutti i sensi, con alcuni personaggi molto ben riusciti, e alcune frasi che fanno già intravedere l'imminente grandezza. Si può leggere, per esempio, a pagina 29: "Come animali degli abissi, i pattìni formavano un'isola nera in mezzo alla penombra uniforme che copriva la spiaggia. Seduto su un galleggiante di uno di quegli strani veicoli, con la camicia sbottonata e i capelli spettinati, Charly ci stava aspettando". Bellissimo, anche senza contestualizzazione.

ancora i terzo reich

  2666 blog 

6 febbraio 2011


 Bolano terminò questo libro nel 1989, anno in cui si svolgono gli accadimenti che vi sono narrati, e poi lo mise da parte. Anni dopo, parlando con un amico giornalista, spiegò che aveva da parte un romanzo bell'e pronto, ma che, a dirla tutta, si trattava di "una vera merda".

  Solo verso la fine della sua vita, quando già la malattia e la morte lo tallonavano a breve distanza, decise di rimetterci le mani e si accorse, evidentemente, che il suo giudizio non era corretto. Cominciò a trascriverlo al computer, forse pensando ad una eventuale pubblicazione in vita o, più probabilmente, non si convinse mai appieno della sua effettiva bontà, ma decise di porvi mano per lo stesso motivo per cui voleva mettere ordine a tutto il suo archivio di incompiuti: per garantire alla moglie ed ai figli un minimo di ossigeno in previsione della sua morte. Bolano era sicuramente già cosciente di essere divenuto, alla fiine, ciò che aveva sempre desiderato e forse mai sperato, cioè un autore di culto. Quello che sarebbe stato definito un classico. A questo momento, l'ultimo classico.

IMPRESSION D’AFREAK 7/7/7

di e con Pippo Di Marca




ATELIER META-TEATRO
Via Natale del Grande 21, Roma
tel. 06 5814723 
 



Tutti i lunedi                         





Lunedì 17 gennaio ha debuttato all’Atelier Meta-Teatro
“IMPRESSION D’AFREAK 7/7/7” il nuovo spettacolo di
Pippo Di Marca. Si tratta di uno spettacolo insolito, nel senso
che si svilupperà per 21 serate, per l’esattezza 21 lunedì
consecutivi, durante l’arco dell’intera stagione teatrale. Ogni
serata, tuttavia, sarà totalmente diversa rispetto alla
precedente, costituendo spettacolo unico e irripetibile,
ancorché sotto lo stesso titolo. In effetti, quindi, lunedì 17
gennaio è andata in scena la prima puntata di un lungo esperimento teatrale. Che, al di là della continua
metamorfosi alla quale verrà sottoposto nelle 21 differenti versioni, si configurerà come uno stesso unicum
ideativo e drammaturgico basato su una rigida composizione a contenitore – una sorta di sceneggiatura teatrale,
o se si vuole format - suddiviso invariabilmente in più parti, o quadri: sette.
Il format drammaturgico-performativo che ricalca un ‘rituale’ fisso entro cui si sviluppano e ogni volta si
riformulano tutte le ‘soirées’, programmaticamente ispirate a surrealistici cortocircuiti ‘exquis’, ‘squisiti’, ma
all’occorrenza in-sensatamente spietati, è così strutturato:
INTROITO/SPROLOGO (Videoproiezioni)
PEZZI DI LETTERA/DURA (‘Lettura scenica’ di ‘pezzi’ tratti da capolavori della narrativa italiana e
mondiale)
BATTELLO EBBRO (Viaggi erratici, cum licentia, ‘nei fiumi’ della poesia)
ENTRACTE/D’AFREAK (Libres ‘impressions’: la parte più corposa e ‘fuori controllo’, comprendente, tra
l’altro, Freak-Aforismi, De Repubblica, InCanto, File Documenti, Bagattelle per Freak-Massacri, Special
Guest)
OH! SCENA MADRE (Omaggi al D.D.T. – Divino Demone del Teatro)
OFFERTORIO (Offerte d’arte x ‘baratti’ fra attore e spettatori)
EXTREMA COMMUNIO (Ite Ite Ite / Afreak Missa / Est Est Est ....)
Gli autori (tra cui figurano Roberto Bolaño, Thomas Bernhard, Carlo Emilio Gadda, Julio Cortázar, Edoardo
Sanguineti, Franco Cordelli, Lautréamont) dei ventuno romanzi che andranno a confluire nella parte “Pezzi
di lettera/dura” e che costituiscono il segmento più cospicuo, in certo senso l’asse drammaturgico portante,
il segno distintivo di ogni serata (sulla lontana scia di Raymond Roussel, Lautréamont... et d’autres frères)
sono stati scelti da Luca Archibugi, Andrea Cortellessa e Pippo Di Marca, sette per ciascuno: in sintonia con
il numero che sovrintende all’intero progetto. Collaborano allo spettacolo Luisa Taravella (spazio scenico),
Michele Marsili (cura video), Simona Volpi (ricerche e aiuto regia).

compagniadelmetateatro@fastwebnet.it
Ingresso 10,00 euro


giovedì 3 febbraio 2011

Il Terzo Reich - Roberto Bolano

  Paolo Petroni -

5 febbraio 2011

Quel che pesa in questo nuovo romanzo di Roberto Bolano, e' il passato, in particolare quello che e' insito, con tutto il suo valore di minaccia, nel wargame da tavolo 'Il Terzo Reich' e quello misterioso alle spalle del Bruciato, uomo ricoperto di ustioni che noleggia pattini sul lungomare e si trovera' a sfidare a quel gioco il protagonista, l'io narrante Udo Berger, anche lui con un suo passato, visto che e' tornato in un Hotel della Costa Brava, a dieci anni dalla sua solare vacanza da ragazzo in quello stesso luogo. Ed e' il peso di questi passato che aiutera' la nuova discesa agli inferi raccontata da questo narratore cileno, maestro di metafisici vuoti esistenziali, scomparso cinquantenne nel 2003 e diventato, solo dopo la sua morte, autore di culto e grande successo grazie alla pubblicazione del suo monumentale capolavoro '2666' (ed. italiana Adelphi), che ha fatto riscoprire anche i tanti libri precedentemente pubblicati da Sellerio (da 'La letteratura nazista in America' a 'I detective selvaggi'). Di '2666' poi proprio Adelphi annuncia di star traducendo quella che pare si possa considerare la sua sesta parte, visto che ha gli stessi personaggi e, salvo qualche incongruenza, ne aiuta la comprensione, 'I dispiaceri del vero poliziotto', ritrovato dattiloscritto tra le carte di Bolano e la cui prima edizione spagnola arriva in questi giorni in libreria.

mercoledì 2 febbraio 2011

La letteratura nazista in America" di Roberto Bolano

  Stefano Crupi -

4 febbraio 2011

Un'antologia di scrittori immaginari che ci parla di un continente e del "triste" mestiere di scrivere


“La letteratura nazista in America” non è la prima raccolta di biografie di scrittori immaginari: lo stesso Roberto Bolaño indicò i capostipiti della sua opera nella “Storia universale dell’infamia” di Jorge Luis Borges, ne “La Sinagoga degli iconoclasti” di Rodolfo Wilcock, senza dimenticare “Ritratti reali e immaginari” di Alfonso Reyes e “Vite immaginarie” di Marcel Schwob. 

Diversamente però dai suoi illustri predecessori, Bolaño dà un taglio originale al suo libro focalizzandosi su un particolare tipo di letteratura, quella nazista. 

La fascinazione dello scrittore cileno per il nazismo non è una novità. In “2066”, la sua opera fiume, nell’ultima parte intitolata “La parte di Arcimboldi”, quella più importante nella quale incontriamo il famoso scrittore evocato in molte delle pagine precedenti, vi è narrata la storia di Hans Reiter, soldato della Waffen SS nella seconda guerra mondiale, coinvolto spesso in rastrellamenti ed eccidi. A spiegarci i motivi alla base di questo interesse è lo stesso Bolaño, in un’intervista che rilasciò nel 1998 all’indomani della pubblicazione del suo libro.

martedì 1 febbraio 2011

la mia ossessione? non la letteratura ma la vita - intervista a Enrique Vila-Matas

     intervista di Ana Ciurans


la mia ossessione? non la letteratura ma la vita

La parte migliore della biografia di uno scrittore non è il catalogo delle sue avventure, ma la storia del suo stile. Non a caso, questa la frase di Vladimir Nabokov che campeggia sul sito di Vila-Matas alla voce biografia. Perché per lo scrittore, traduttore, giornalista, saggista e adoratore della poesia, Enrique Vila-Matas stile, vita e letteratura non sono scindibili. Nato a Barcellona il 31 marzo 1948 e con un curriculum letterario da brivido (in Spagna i premi Herralde e Rómulo Gallegos, in Italia Flaiano, Elsa Morante e Mondello) di lui colpiscono la semplicità e la disponibilità, anni luce da alcuni ombrosi autori di culto. Abbiamo parlato di Dublinesque e solo quando gli ho chiesto del prossimo romanzo ha messo le mani avanti: impossibile, raccontare qualcosa sarebbe come suicidarlo! E a un tratto mi da del lei: e non vuole che succeda, vero?


Samuel Riba, l’editore protagonista di Dublinesque, il tuo ultimo romanzo, vive a Barcellona ma crede che New York sia forse l’unico posto dove potrebbe essere felice, rincominciare. Va a Lione per assistere a un convegno di editori ma non esce dalla stanza dell’albergo. Dopo un sogno premonitore si reca a Dublino per compiere una sorta di destino. Nonostante viva come un hikikomori e sua moglie stia diventando buddista. Occidente. Oriente. Sembra come se Riba fosse alla ricerca più di un tempo che di un luogo…
Va alla ricerca di un centro. Ricordi la canzone di Battiato Centro di Gravità Permanente? Ecco, lui cerca più o meno quello, credo, e dico “credo” perché con Riba non si sa mai. Cerca il centro del mondo, del suo mondo. E quel centro è un luogo e mai un tempo. Un luogo, forse, non geografico. Lungo tutto il romanzo Riba lo cerca e in questa ricerca s’installa di continuo in posti privi di gravità, fino alla fine, in cui lo trova. Ma quel centro è l’ultimo. Ed è anche la fine del romanzo, ovvio.