martedì 1 giugno 2010

2666 di Roberto Bolaño

Emanuele Trevi - Alias de Il Manifesto - dicembre 2008


2666 di Roberto Bolaño 
Vale davvero la pena di tornare su Roberto Bolaño e il suo fluviale capolavoro postumo, 2666, ora che finalmente se ne è completata l'edizione italiana, con le ultime due parti (La parte dei delitti e La parte di Arcimboldi) delle cinque di cui si compone il romanzo (trad.di Ilide Carmignani, Adelphi, pp.672, euro 22,00). 

  Esattamente un anno fa, quando sono apparse le prime tre parti (La parte dei critici, La parte di Amalfitano e La parte di Fate), ne abbiamo reso conto con la dovuta abbondanza di informazioni, con Enzo Di Mauro sulla "Talpa" del 3 novembre seguito da Marco Dotti link interno sulle pagine del "manifesto" il 6 dicembre. Qualche maligno avrebbe potuto osservare che in tanta generosità qualcosa doveva pure entrarci il fatto che "il manifesto", e addirittura il suo supplemento culturale del sabato, a un certo punto svolgono un ruolo (seppure minimo) nella trama sempre più complessa e imprevedibile del libro. Ma la pura e semplice verità è che opere ardite, affascinanti, persuasive come 2666 si contano sulla punta delle dita di una mano sola, nella letteratura di oggi. Gravemente malato e in attesa di un trapianto al fegato (sarebbe morto a Barcellona nel 2003, a soli cinquant'anni) Bolaño ha lottato contro il tempo per portare a termine il suo folle ed esigente progetto - ben più ambizioso di tutto quanto avesse scritto fino a quel momento. Ruotando le mille e rotte pagine del romanzo intorno a un mistero, questa compiutezza conseguita in extremis era più che necessaria, visto che l'autore sembra sfidare il lettore fino alle ultime righe, senza permettergli di scoprire dove andrà a parare l'intera impalcatura.

Rimasti ammirati e confusi, ma anche a becco asciutto dopo la lettura delle prime tre parti, ora i lettori italiani, penalizzati da una scelta editoriale che giustamente Di Mauro definì "sadica", potranno finalmente conoscere per filo e per segno la vita del misterioso scrittore tedesco Benno von Arcimboldi, sparito nel nulla come un Thomas Pynchon della vecchia Europa, e comprendere perché le sue ultime tracce si perdono nel deserto del Sonora, al confine tra Messico e Stati Uniti, e nella tremenda Santa Teresa link interno, megalopoli del narcotraffico e autentico mattatoio di decine e decine di giovani donne e bambine innocenti, stuprate e torturate nei modi più feroci prima di essere abbandonate sul ciglio di una strada o in una discarica. La parte dei delitti, la quarta del romanzo, consiste appunto in un vasto ed agghiacciante affresco di questa carneficina. Rispetto a quanto aveva fino a questo punto raccontato, Bolaño si dimostra capace di un magistrale cambiamento di tono. Per molto tempo, ci dimenticheremo totalmente dell'ombra elusiva di Arcimboldi e la vera protagonista del racconto diventerà Santa Teresa, letteralmente disseminata di cadaveri di donne. Com'è evidente, il modello reale di questa città immaginaria è Ciudad Juárez, con la sua interminabile lista di stupri ed omicidi compiuti, a partire dai primi anni novanta, nella più totale impunità, sotto l'occhio di autorità di polizia e giudiziarie quasi totalmente corrotte e colluse coi cartelli dei narcos. Un intreccio di puro orrore e miseria politica e civile che fu svelato in un bellissimo libro d'inchiesta e denuncia, Ossa nel deserto, di un giornalista di Città del Messico, Sergio Gonzáles Rodríguez link interno. Bolaño trasforma Rodríguez in un personaggio del suo romanzo, mandandolo a indagare nella 'sua' Santa Teresa. Fra i tanti personaggi del libro, quello del giornalista non è certo decisivo né per la trama, né per lo spessore psicologico. Ma ci segnala, in maniera addirittura ostentata, che un ponte è stato gettato tra la realtà, da un lato, e quella realtà ulteriore che Bolaño ci racconta nel suo lungo romanzo. Ai due lati di questo ponte, si fronteggiano, come fossero l'una l'allucinazione dell'altra, due inferni, oggi potremo chiamarli due Gomorre: la Ciudad Juárez link interno di Ossa nel deserto e la Santa Teresa di 2666. Ma un ponte, oltre che permettere il passaggio da un luogo all'altro, rende anche possibile di compiere il tragitto in senso inverso, con un moto che facilmente, poi, si potrà trasformare in un andirivieni dimentico di quale fosse il punto di arrivo e quale invece il punto di partenza.
E se da decenni ci siamo abituati a concepire il tipo di pressione che l'immaginario esercita sul reale alla stregua del contagio, Bolaño sembra voler confermare la diagnosi ma complicandola, letteralmente raddoppiandola. Il contagio, infatti, non procede a senso unico, è reciproco. E il tipo di dissesto inverso, quello che la verità provoca nei meccanismi dell'invenzione, è una specie di malattia che ancora non ha nome, e che non basta nemmeno un romanzo di mille pagine per esaurirne la diagnosi. Ma Bolaño non intendeva lasciarci, a differenza di tanti suoi colleghi sudamericani, una qualche filosofia astutamente romanzata. Non vuole darci delle idee, ma un labirinto di storie che si incastrano l'una nell'altra come in una locanda di Cervantes, e soprattutto una stupenda galleria di esseri umani che invece di rappresentare un problema filosofico direttamente lo incarnano. Ma forse, tra tutti i personaggi, alla fine il più bizzarro, il più profondo, il più convincente è proprio colui che racconta tutta questa storia, dominandola e facendosene dominare con il suo impareggiabile equilibrio di eterogenee risorse: stupore e cinismo, ironia ed onniscienza, pietà, sarcasmo, un senso decisamente picaresco del divenire…La più grande dote di questo narratore, a ben vedere, non è la varietà delle sue storie e la maestrìa da intarsiatore con la quale le combina. C'è qualcosa di più, e che cattura il lettore fin dalle prime pagine dell'opera: la capacità di instillare il sospetto che, qualunque cosa venga raccontata, in tanta abbondanza di spazi, di tempi, di caratteri e situazioni, sia solo l'aspetto esteriore, la veste scintillante di una sola vicenda, un tronco diventato invisibile all'interno delle sue diramazioni, ma capace di sorreggere tutto il dicibile senza mai essere direttamente detto.
2666
 vol 1 Mentre leggevo 2666 mi veniva sempre in mente un altro libro tra i più importanti della letteratura di oggi: Soldati di Salamina di Javier Cercas nota, uscito nel 2001. Il fatto è che nel romanzo di Cercas Roberto Bolaño, lui in carne ed ossa, con nome e cognome, appariva in qualità di personaggio. A Cercas che sta indagando su un oscuro episodio della guerra civile spagnola, il romanziere cileno offre, nel corso di una chiacchierata casuale, un dettaglio decisivo per completare il mosaico. Fa sì, indicando a Cercas una strada inaspettata, che un racconto che poteva sembrare concluso si arricchisca di nuovi orizzonti, di nuovi eroi, fino a diventare un organismo infinitamente più complesso. Se Soldati di Salamina fosse una fiaba, si potrebbe dire che il ruolo di Bolaño corrisponde a quello dell'aiutante magico, che aspetta l'eroe al confine tra ciò che sa e ciò che ancora deve scoprire. Non si può che rimanere ammirati di fronte all'intuizione, quasi profetica, di Cercas: il Bolaño che appare nel suo romanzo, l'uomo incontrato nel 1999, già assomiglia in modo strabiliante al narratore che tesse e disfa la portentosa tela di 2666. Che stia da una parte o dall'altra dello Specchio di Alice, infilandosi al momento giusto nel romanzo di un amico o componendo il suo testamento-feuilleton, il suo ruolo è sempre quello, la direzione fondamentale del suo talento rimane identica: fare di un racconto il luogo in cui gli eventi e i destini più remoti fra loro trovino l'occasione di specchiarsi l'uno nell'altro, di illuminarsi a vicenda nel fuoco della loro impensabile somiglianza. Avvicinandosi alla fine, Bolaño dovette intuire che questo luogo esiste solo nella mente di chi lo inventa, ma nello stesso tempo è il mondo, o perlomeno l'immagine più veritiera, più limpida, più dignitosa che del mondo e delle sue illusioni si possa nutrire dentro di sé.


NOTE
Javer Cercas e' stato un grande amico di Bolaño oltre che estimatore della sua opera. Nel suo romanzo "I soldati di Salamina c'e' un personaggio che interpreta il ruolo dello scrittore Roberto Bolaño amico dell'io narrante, che a sua volta interpreta il ruolo dello scrittore Javier Cercas. In un articolo [print the star] Cercas dice: "Ogni scrittore finisce col rassegnadosi, presto o tardi a convertirsi in un personaggio della sua stessa opera"



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