martedì 1 giugno 2010

recensione 2666 - qualcosa di simile alla felicità

Maurizio Bono -  il sole 24ore - 13 ottobre 2007


Bolaño si sarebbe fatto una gran risata, ma il primo ostacolo, con il suo gran romanzo postumo, è la re- verenza: lui l'ha combattuta per tutta una vita da irregolare della letteratura, ma rischia di restarci impantanato per le straordinarie circostanze del suo lascito.

  Intanto, la mole: millecento pagine in cinque parti, che in italiano escono in due tomi (il prossimo nell'autunno 2008), ma in spagnolo sono un volume solo che ispira ai critici paragoni vertiginosi (dalla Ricerca del tempo perduto a L'uomo senza qualità). Poi, la sua densità ha scatenato ansie di chiosa devastanti. Per alcuni 2666, che ha tra i protagonisti la sordida città di frontiera Ciudad Juárez , è il rovescio di Cent'anni di solitudine: un buco brulicante di donne assassinate al posto della felice Macondo delle origini. Per un altro "per comprenderlo bisogna aver letto tutto Kafka, Malcom Lowry, Sade e l'opera critica di Blanchot" . Auguri.
Di tutto questo, naturalmente, Bolaño (finora pubblicato in italiano da Sellerio) non ha (quasi) colpe. Per lui 2666 doveva uscire una parte alla volta, guadagnarsi sul campo i galloni di quell'evento letterario che è davvero, e garantire costanti diritti d'autore a moglie e figli per quello si augurava un lustro di convalescenza: era terzo in lista d'attesa per un trapianto di fegato. Aggirata la reverenza, diverte che la prima parte di 2666 abbia al centro proprio quattro critici universitari, ossessivamente ma impiegatiziamente impegnati nell'indagine filologica e biografica su Benno von Arcimboldi, romanziere tedesco misterioso svanito nel nulla come un Salinger. I quattro ci costruiscono le carriere, ma anche le proprie vite, perché il francese Pelletier, lo spagnolo Espinoza, l'italiano Morini e l'inglese giovane e bionda Liz Norton formano una famiglia allargata, amici e amanti (Liz centro di un triangolo), intellettuali civilissimi capaci d'introspezione e maestri nell'uso dei libri (di Arcimboldi come scrittore sappiamo appena che "si avvicina con delicatezza al dolore e alla vergogna") per fare argine all'infiltrarsi del nulla nell'esistenza e alle proprie pulsioni peggiori. Che però affiorano a tratti (come la sera in cui in un taxi parlano liberamente del loro complicato ménage erotico e agli insulti del pakistano fondamentalista che guida reagiscono massacrandolo di botte) e tracimano quando tre dei critici seguono le orme del "loro" misterioso autore tedesco nel deserto del Messico.
Nella seconda e terza parte, il testimone passa. Prima è raccolto da Lola, un'estremista della vita interiore innamorata pazza di un poeta folle per il quale deraglia in una esistenza randagia. Poi dal marito di lei Amalfitano (un professore che era stato introdotto nel racconto come guida locale dei critici a Sonora), quietamente preda di voci nella testa a causa di una sensibilità agli universi paralleli che riverbera l'ammirazione di Bolaño per Philip K. Dick. Infine passa alla figlia di Amalfitano e Lola, Rosa, diciassettenne a rischio tra la gioventù bruciata di una Santa Teresa link interno / Ciudad Juarez dove ragazze a centinaia vengono uccise e sepolte nel deserto. E il registro, indagando sui delitti, si fa noir, altra passione di Bolaño.

  Le trame non si sciolgono, per ora, ma per non perdersi del tutto ci sono fari di segnalazione sempre a forma di libri: dopo i romanzi di Arcimboldi, nella seconda parte un trattato di geometria appeso a una corda di bucato perché impari, secondo una raccomandazione surreale di Duchamps, "qualcosa della vita" . Nella terza parte, l'idea di un volume in braille letto in una stanza buia da un cieco: "Qualcosa di simile alla felicità" . Naturale che fra un anno, al tomo finale, seguendo tanti libri inquietanti si ritrovi Arcimboldi, autore del mistero.
Maurizio Bono - 13 0ttobre 2007



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