domenica 6 giugno 2010

elogio di Bolaño

Nicola Lagioia - satisfiction - 5 giugno 2010



Se il Novecento, letterariamente parlando, si è chiuso all’insegna dei grandi prosatori statunitensi – si pensi a Philip Roth, a Cormac McCarthy, a Don DeLillo, a David Foster Wallace, e soprattutto al fatto che nella breve parentesi degli anni Novanta sono usciti romanzi come Pastorale americana, Underworld, Cavalli selvaggi, Infinite Jest, per non tacere di altre grandi prove come American Tabloid – il XXI secolo è iniziato all’insegna del Sud America, o meglio di uno scrittore cileno il cui nome, da noi materia di culto per happy few fino a poco tempo fa, è Roberto Bolaño.
In virtù di un piccolo cronosisma, si potrebbe dire che la grande stagione del secondo dopoguerra della letteratura statunitense (quella iniziata per intenderci e per semplificare nel doppio solco di Bellow e di Pynchon) si chiude in lieve ritardo rispetto al secolo con quella gigantesca espropriazione d’immaginario che è stato l’11 settembre, mentre al contrario il passaggio di testimone a Roberto Bolaño si concretizza in lieve anticipo sul XXI secolo, visto che I detective selvaggi è del 1998.

Se infatti i più bei romanzi sulla dimensione culturale e antropologica di un evento come l’11 settembre sono usciti paradossalmente – e profeticamente – prima del 2001 (un titolo su tutti Underworld), provocando nella successiva generazione di scrittori nordamericani un effetto spiazzamento che ancora dura, Roberto Bolaño è riuscito nell’impresa di metabolizzare la grande tradizione secondonovecentesca del romanzo-mondo (dai libri di DeLillo a quelli di Garcìa Màrquez, ma soprattutto avendo come stella polare Rayuela di Cortázar) saldandola ai grandi cambiamenti di questi ultimi anni (internet e globalizzazione), e lo ha fatto con due capolavori: I detective selvaggi e 2666.

Non starò qui a parlare della trama di questi grandi libri. Dirò solo – per provare a far capire il passo avanti compiuto da Bolaño – che i tantissimi personaggi che li popolano non sono più legati tra di loro da rapporti familiari o genealogici (come avveniva nei romanzi di Faulkner o di Garcìa Màrquez) né da oggetti materiali (la pallina da baseball di Underworld) o di consumo (il film di Hal Incandenza) ma sembrano essi stessi dei cervelli interconnessi, un’intelligenza collettiva che però volta per volta sa parlare con voci più che individuali. Insomma… è il modello di internet riplasmato dalla letteratura, capace per sofisticatezza e spessore umano e resa estetica di mandare in pensione tutta la letteratura cyberpunk. A questo si aggiunge la vocazione cosmopolita, globale, delle storie di Bolaño, che rompendo gli steccati autarchici a stelle e strisce e contemporaneamente infischiandosene degli ultimi scampoli di arroganza eurocentrica o di folklore latinoamericano, si svolgono (o meglio, si scatenano) da un continente all’altro – da Città del Messico, a Milano, a Parigi, a Londra, alle spiagge californiane, a Tijuana – in assoluta naturalezza, giocando in modo veramente virtuoso ed eclettico e ricco con gli elementi del mondo globalizzato (una Coca-cola bevuta a Milano ha, nei romanzi di Bolaño, un sapore completamente diverso di una Coca-cola bevuta nel deserto di Sonora, eppure l’identità di marchio crea un impalpabile, oscuro, inquietante, affascinante legame tra i due contesti). Inoltre, si tratta di romanzi incredibilmente (e inspiegabilmente, considerando che una trama vera e propria non c’è) appassionanti, e quando ero nel bel mezzo della mia prima lettura di I detective selvaggi non ho potuto fare a meno di pensare: “ecco… ecco come sarebbe Sulla strada di Kerouac se fosse stato un libro bello, interessante, libero, intelligente, complesso, appassionante, e non quella palla di micidiale provincialismo bifolco a quattro tempi che è”.

Infine, i miei complimenti vanno sì all’Adelphi per aver portato ultimamente al successo Bolaño anche da noi, ma vanno soprattutto alla casa editrice Sellerio, che iniziò a pubblicare questo grande scrittore quando ancora in Italia non se lo filava nessuno ma proprio nessuno. (*)

©Nicola Lagioia




(*): Sarebbe ingiusto dire che Bolaño non se lo filava proprio nessuno quando vennero pubblicati i primi libri tradotti da Angelo Morino. Sarebbe ingiusto nei confronti di critici come Massimo Rizzante e Raul Schenardi. [NDB]

Nicola Lagioia è scrittore ( bibliografia) e l'ultimo romanzo pubblicato è del 2009 ( riportando tutto a casa, Einaudi). Scrive anche su Nazione indiana

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