martedì 1 giugno 2010

recensione 2666 - Verso l´infima lacuna: 2666

  Achille Castaldo  - Tabard - giugno 2009

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'Verso l´infima lacuna: 2666'

2666, ultimo romanzo di Roberto Bolaño, smembrato in due tronconi dall´editore Adelphi, ha visto uscire nell´autunno del 2008 il suo secondo ed ultimo volume (traduzione di Ilide Carmignani), che raccoglie le due parti conclusive delle cinque che compongono l´opera nel suo complesso.
Nel primo volume abbiamo assistito alle peripezie in tono di commedia di un gruppo di critici europei (con complicazioni sentimentali) alla ricerca di un misterioso scrittore tedesco prossimo al Nobel, che nessuno sembra avere mai visto. Attraverso un progressivo avvicinamento ci siamo poi trovati in Messico, al confine con gli Stati Uniti, nella città di Santa Teresa, stato del Sonora, sorta di buco nero in cui si è forse concentrato il male del mondo.
«Tutto quello che inizia come commedia finisce come monologo comico, ma non ridiamo più» ; [I detective selvaggi, pp 645-665, v. saggio di E.Lago ]. Così difatti si apre la quarta parte del libro, con la descrizione cronachistica dell´inferno di Santa Teresa , dove una catena infinita di stupri e omicidi di donne sembra non poter avere fine. Omicidi senza colpevole, con molti colpevoli, non collegati, senza movente se non lo stupro stesso e l´omicidio. Forse, nell´ombra, il mercato degli snuff movies; ma in realtà le ossa e i cadaveri che il deserto continua a vomitare sono soltanto le vittime di uno sviluppo incontrollato che qui ha distrutto ogni intreccio anche solo vagamente razionale. I corpi delle operaie accorse da tutto il Messico a lavorare nelle maquiladoras che le compagnie statunitensi aprono per sfruttare la manodopera a basso costo sono soltanto corpi, nulla di più. Bolaño usa la tecnica dell´accumulo, omicidio dopo omicidio, appena intrecciati da una rete di personaggi disarmati che nuotano nell´oceano della corruzione e della confusione. Appena giunti alla fine de La parte de los crímenes («Tutto quello che inizia come commedia finisce come monologo comico, ma non ridiamo più»), seguiamo finalmente l´esistenza dello scrittore che i critici cercavano all´inizio del romanzo. Il futuro Benno von Arcimboldi è ora il bimbo Hans Reiter, in un piccolo paese prussiano al termine della prima guerra mondiale. Incamminati sul sentiero di Hans Reiter verremo condotti attraverso i meandri del XX secolo. Si ha qui forte la sensazione di trovarsi di fronte a una concezione figurale della storia. La storia del XX secolo, la storia della contemporaneità, trattata nell´ultima parte del libro, assume l´aspetto di una prefigurazione terrena che sarà inverata soltanto dall´“inferno’ di Santa Teresa.
La storia del XX secolo è un labirinto, al centro del quale sta il Minotauro. Il labirinto, secondo l´interpretazione del mito data da Giorgio Colli, è un´immagine del logos. Il logos è il mezzo (il luogo) grazie al quale l´uomo si allontana dalla bestia, le crea una gabbia che è allo stesso tempo un nascondiglio. Il logos separa il Minotauro dalla natura umana. Eppure, è anche la via che riconduce a esso.
2666 è un labirinto, un intreccio di storie che è la Storia, ne segue le contorsioni, le piste che non possono che condurci ad un unico punto. Così, tutto l´accadere caotico e individuale di un secolo finisce per “inverarsi’ nell´epicentro, sorta di Cocito in cui i cadaveri pietrificati testimoniano dello spegnimento dell´umano. Eppure, se Hans Reiter/Arcimboldi fosse un “personaggio’, anzi l´eroe del romanzo, il tutto non funzionerebbe. E Bolaño non avrebbe fatto altro che consegnare al XX secolo il suo ennesimo eroe. Questo gesto di connivenza che l´autore spesso non può evitare è sempre il segno della vittoria del processo storico su quello creativo.
ma stavolta la direzione del viaggio è invertita, e il termine è l´«infima lacuna de l´universo», Santa Teresa, la città nel deserto, dove siede il Minotauro, la Bestia.
Eppure, come aveva già fatto nel suo capolavoro, I detective selvaggi, lo scrittore cileno non ci consegna un eroe, e nemmeno un personaggio. Semmai uno specchio, una funzione narrativa pura. Arcimboldi, come già Lima e Belano, è un guscio vuoto, una maschera estrema in grado di restituire a ciascuno l´immagine del limite di sé, sicché, chiunque venga in contatto con questa “funzione’, come sotto l´occhio del dio spettatore della tragedia, è costretto a svelare la propria estrema possibilità, l´estrema parola su se stesso.
Bolaño non ha regalato al XX secolo il suo ennesimo eroe. Ci ha solo condotto fino ai piedi della bestia, attraverso i meandri del logos che è la storia orrenda del XX secolo. «Attraverso le vite spiritali ad una ad una » ; (questo il senso del proliferare dei personaggi, ne I Detective selvaggi ma più ancora in 2666), ma stavolta la direzione del viaggio è invertita, e il termine è l´ «infima lacuna de l´universo» , Santa Teresa, la città nel deserto, dove siede il Minotauro, la Bestia. Forse è qui da ricercare il significato del titolo: il XX secolo si compie, e nel suo termine, al volgere del millennio si disvela, in modo figurale, nella sua vera natura di epifania del male assoluto che è la sua storia, il triplo 6, il caos, la bestia, il compimento della vicenda terrena dell´uomo. Dai campi di sterminio, figura di un logos ancora “raziocinante’ in senso cartesiano, fino ai delitti delle donne delle maquiladoras, senza colpevole e senza più alcuna motivazione se non la pura bestialità. Il logos è ritornato a casa.
Arcimboldi è la nostra guida e il nostro specchio, ed è il romanzo stesso. È la narrazione, l´immaginazione che è il contrario dell´immobilità del Cocito. Così, quando il vecchio scrittore parte per Santa Teresa, noi possiamo chiudere il libro, perché quel viaggio che egli farà era il romanzo che abbiamo letto. In fondo, come rinfacciava il detenuto Oscar Wilde al suo ex amante che lo aveva già dimenticato, l´origine del male è proprio la mancanza di immaginazione. Lo stupro culminante in omicidio, il puro uso del corpo della donna cui non viene più nemmeno riconosciuto lo status di oggetto del desiderio, significa l´assoluta mancanza di immaginazione, la chiusura totale dell´identità della super-bestia-uomo in se stessa. Dove non c´è più via all´altro, la voce delle storie tace, c´è solo il silenzio dei dannati conficcati nel ghiaccio che non vogliono essere ricordati, perché la “narrazione’, la costruzione del senso a partire dall´altro, è la capacità di immaginare, di empatire, il contrario del male, la forza che li strappa all´oblio per denunciarne le colpe: 
Vivo son io, e caro esser ti puote’,  
fu mia risposta, “se dimandi fama,
ch´io metta il nome tuo tra l´altre note’.
Ed elli a me: “Del contrario ho io brama’;

Ecco perché è necessario continuare a raccontare e immaginare. 

Achille Castaldo - giugno 2009




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