Paolo Collo - Tutolibri - 3 novembre 2007
Bolaño si fa in 2666
Qualche anno fa, recensendo Puttane assassine (Sellerio, 2004) di Roberto Bolaño, riportavo una frase scritta all'indomani della sua morte: "A lungo abbiamo vissuto senza sapere che esisteva un cileno secondo noi perfetto: barocco ma breve, erudito ma senza essere pedante, tragicamente metafisico e autenticamente burlone, pazzo per la poesia ma dotato di un'efficacia narrativa senza il minimo cedimento… Una specie di fenomeno fra Woody Allen e Lautréamont, Tarantino e Borges" .
Ed è un giudizio, questo, che si può confermare ora all'indomani dell'uscita, per i tipi di Adelphi, della prima parte del suo romanzo-fiume (oltre 1100 pagine) postumo: 2666.
I libri, in realtà, dovevano essere non uno - come poi fortunatamente è accaduto - bensì cinque, come le parti che lo compongono. Questa era infatti la decisione presa da Bolaño, ormai prossimo alla fine (avvenuta nel 2003, a soli cinquant'anni), e dettata però unicamente dal desiderio di assicurare ai figli un'eredità più consistente. Ma bene hanno fatto il suo editor Ignacio Echevarría e il suo coraggioso editore Jorge Herralde (di Anagrama), a proporre in lingua spagnola questo difficilmente classificabile libro nella sua problematica interezza.
Una sorta di testamento letterario, dunque? Di culmine - e quindi di fine - della sua scrittura? Decisamente no. 2666 rappresenta invece il momento di massima maturità di uno scrittore che avrebbe ancora potuto darci tantissimo e che col passare del tempo andava via via confermando le parole di Susan Sontag, che l'aveva definito come "il più influente e apprezzato romanziere in lingua spagnola della sua generazione".
I libri, in realtà, dovevano essere non uno - come poi fortunatamente è accaduto - bensì cinque, come le parti che lo compongono. Questa era infatti la decisione presa da Bolaño, ormai prossimo alla fine (avvenuta nel 2003, a soli cinquant'anni), e dettata però unicamente dal desiderio di assicurare ai figli un'eredità più consistente. Ma bene hanno fatto il suo editor Ignacio Echevarría e il suo coraggioso editore Jorge Herralde (di Anagrama), a proporre in lingua spagnola questo difficilmente classificabile libro nella sua problematica interezza.
Una sorta di testamento letterario, dunque? Di culmine - e quindi di fine - della sua scrittura? Decisamente no. 2666 rappresenta invece il momento di massima maturità di uno scrittore che avrebbe ancora potuto darci tantissimo e che col passare del tempo andava via via confermando le parole di Susan Sontag, che l'aveva definito come "il più influente e apprezzato romanziere in lingua spagnola della sua generazione".
Ecco quindi in traduzione italiana le prime tre delle cinque parti (le ultime due compariranno tra circa un anno) che compongono questa sorta di romanzo-matrioska, questo libro (che già dal titolo - che richiama il biblico e il diabolico Numero della Bestia - si presenta in modo anomalo) dentro al quale si intravedono altre storie, altri romanzi, apparentemente indipendenti ma tutti strettamente collegati tra loro non solo per mezzo dei suoi personaggi, ma anche grazie a segnali, a indizi, suggestioni, riferimenti non sempre immediatamente individuabili, ma certamente sparsi e non a caso e con perfida astuzia dal suo autore-burattinaio.
Le prime tre sezioni si intitolano "La parte dei critici", "La parte di Amalfitano" e "La parte di Fate". Le altre due "La parte dei delitti" e - ultima - "La parte di Arcimboldi".
Tutto il libro - tanto non facile da raccontare quanto difficile da abbandonare una volta iniziato - ruota intorno alla figura di un misterioso autore tedesco nato nel 1920 e svanito nel nulla: Benno von Arcimboldi (il cui cognome, e forse non proprio a caso, richiama immagini realizzate grazie al sovrapporsi di altre immagini diverse fra loro, a una sorta di visione del mondo e delle cose vista attraverso i molteplici occhi di una mosca o al definirsi di un disegno guardando dentro un caleidoscopio). E su di lui si mettono a indagare quattro critici letterari: il francese Jean-Claude Pelletier, professore ordinario di letteratura tedesca a Parigi, lo spagnolo Manuel Espinoza, laureatosi sia in letteratura spagnola, sia in letteratura tedesca, l'inglese Liz Norton, una donna per cui "era più facile smettere di fumare che andare in guerra" e protagonista di un triangolo amoroso, e l'italiano Piero Morini (sic!), insegnante di letteratura tedesca presso l'università di Torino e condannato su una sedia a rotelle a causa di una sclerosi multipla. Le tracce di Arcimboldi li porteranno nello spazio di Santa Teresa , immaginaria, sordida città industriale e di frontiera nel nord del Messico, dove ha luogo una serie di orrendi crimini perpetrati ai danni di anonime donne. Nella seconda parte troviamo poi il matematico Amalfitano, professore di origine cilena, probabile alter ego di Bolaño, e traduttore dell'Arcimboldi che, dopo essere fuggito dalla dittatura del suo paese, gira mezzo mondo per poi ap- prodare - assieme alla figlia Rosa, diciassettenne - anche lui a Santa Teresa. Infine, nella terza parte, facciamo la conoscenza di Oscar Fate, giornalista di colore di New York che si vede costretto a recarsi a Santa Teresa per occuparsi di un evento sportivo…
Tutto il libro - tanto non facile da raccontare quanto difficile da abbandonare una volta iniziato - ruota intorno alla figura di un misterioso autore tedesco nato nel 1920 e svanito nel nulla: Benno von Arcimboldi (il cui cognome, e forse non proprio a caso, richiama immagini realizzate grazie al sovrapporsi di altre immagini diverse fra loro, a una sorta di visione del mondo e delle cose vista attraverso i molteplici occhi di una mosca o al definirsi di un disegno guardando dentro un caleidoscopio). E su di lui si mettono a indagare quattro critici letterari: il francese Jean-Claude Pelletier, professore ordinario di letteratura tedesca a Parigi, lo spagnolo Manuel Espinoza, laureatosi sia in letteratura spagnola, sia in letteratura tedesca, l'inglese Liz Norton, una donna per cui "era più facile smettere di fumare che andare in guerra" e protagonista di un triangolo amoroso, e l'italiano Piero Morini (sic!), insegnante di letteratura tedesca presso l'università di Torino e condannato su una sedia a rotelle a causa di una sclerosi multipla. Le tracce di Arcimboldi li porteranno nello spazio di Santa Teresa , immaginaria, sordida città industriale e di frontiera nel nord del Messico, dove ha luogo una serie di orrendi crimini perpetrati ai danni di anonime donne. Nella seconda parte troviamo poi il matematico Amalfitano, professore di origine cilena, probabile alter ego di Bolaño, e traduttore dell'Arcimboldi che, dopo essere fuggito dalla dittatura del suo paese, gira mezzo mondo per poi ap- prodare - assieme alla figlia Rosa, diciassettenne - anche lui a Santa Teresa. Infine, nella terza parte, facciamo la conoscenza di Oscar Fate, giornalista di colore di New York che si vede costretto a recarsi a Santa Teresa per occuparsi di un evento sportivo…
Nelle due parti ancora da svelarsi al pubblico italiano entreremo poi a contatto dell'abisso di orrore delle anonime donne di Santa Teresa trucidate apparentemente senza motivo alcuno. Cosa che ricorda non solo l'attuale cronaca nera messicana, ma anche quel gioiello letterario che fu Il caso delle donne morte di Jorge Ibargüengoitia (e forse, perché no, le macellerie della Conquista, o dello schiavismo, o dell'Olocausto…). E infine, nella quinta e ultima parte, direttamente con il misterioso scrittore fantasma Benno von Arcimboldi, che dovrebbe a suo modo tirare le fila delle pagine precedenti.
Un testo evidentemente non facile che, bisogna dirlo, provocherà grandi amori così come grandi rifiuti. Ma anche un originalissimo progetto narrativo che ci attrae con la sua scrittura tanto enigmatica quanto fuori da quello spesso banale coro cui siamo abituati.
O meglio, come riportato nella citazione tratta da Charles Baudelaire che accompagna il volume:
"Un'oasi d'orrore in un deserto di noia" .
Un testo evidentemente non facile che, bisogna dirlo, provocherà grandi amori così come grandi rifiuti. Ma anche un originalissimo progetto narrativo che ci attrae con la sua scrittura tanto enigmatica quanto fuori da quello spesso banale coro cui siamo abituati.
O meglio, come riportato nella citazione tratta da Charles Baudelaire che accompagna il volume:
"Un'oasi d'orrore in un deserto di noia" .
Paolo Collo Novembre 2007
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