martedì 1 giugno 2010

recensione 2666 - Attenti a quel libro

Tiziano Giannotti - La Repubblica - 13 ottobre 2007

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Attenti a quel libro

Quando si è finito di leggere 2666 non si chiude il libro. Non si può. Il fatto di sapere che ci sono ancora due parti a completare l'opera e che bisognerà aspettare, certo, ma soprattutto la voglia di capire come ha fatto Bolaño a farci leggere la prima, "La parte dei critici" - i critici, si sa, sono i personaggi meno romanzeschi che si possa immaginare -, per lasciarci l'annuncio della seconda e della terza, dove l'incubo prende forma e figure compiute, dove intendi la ragione dello scrittore: doveva farci passare per il vaniloquio ansioso e deviante dei critici, perché lui questa volta vuole il mondo. Il segreto del mondo. E come dirne meglio il "qui e ora" che partendo dalla impotenza, l'insoddisfazione, l'ansia? Si inizia così con i tre critici, un francese, uno spagnolo e uno italiano, che hanno costruito la propria carriera accademica studiando l'opera di un misterioso scrittore tedesco, Benno von Arcimboldi.
A loro si aggiunge presto una inglese, Liz Norton, a completare una invincibile formazione che sbaraglia il campo a congressi e convegni, incontri e simposi di letteratura tedesca. La presenza della Norton innesca corti circuiti sentimentali ed erotici, da cui il malandato Morini sembra escluso. Intanto emergono tracce del passaggio di Arcimboldi che portano al Messico. L'arrivo sul posto dei tre compagni coincide con l'entrata in scena della vera protagonista, e della luce ("Uscendo dall'aeroporto… era come se la luce si immergesse nell'Oceano Pacifico producendo un'enorme curvatura nello spazio" ): la città immaginaria di Santa Teresa link interno, ai confini con gli Usa. La città-incubo, modellata su Ciudad Juárez , "immenso accampamento di zingari o di rifugiati pronti a rimettersi in viaggio al minimo segnale", dove i tre critici finiscono per perdersi e poi ritrovarsi, ognuno a suo modo. E dove incontrano Oscar Amalfitano, professore di filosofia, cileno già esule in Spagna e capitato chissà come a Santa Teresa, che sarà il protagonista della seconda parte.
Amalfitano è un disperso, uno sconfitto "che si spegneva a passi di gigante" , soffrendo l'orrore dell'inarrestabile assassinio di donne, oltre duecento, su cui a Santa Teresa si tace e si mente. Toccherà a Oscar Fate, giornalista nero newyorchese arrivato in città per un incontro di pugilato, protagonista  della  terza  parte,  il  ruolo dell'eroe noir, fin dal primo paragrafo: "Quando è iniziato tutto? In che momento mi sono immerso? Un oscuro lago azteco vagamente familiare. L'incubo".
Fate incontrerà la figlia di Amalfitano, Rosa, e una giornalista di Città del Messico che indaga sulle donne assassinate a Santa Teresa. La giornalista deve andare al carcere per intervistare il principale indiziato e ha paura, ha visto una foto dell'uomo: "È il volto di un sognatore, ma di un sognatore che sogna a grande velocità. Un sognatore i cui sogni sono molto più avanti dei nostri sogni" . Sembra il ritratto del gemello di Anton Chigurh, uno dei due protagonisti di Non è un paese per vecchi. E il rimando a McCarthy si completa, quando chiudiamo il libro:
2666 è il Meridiano di sangue di Bolaño, scritto dall'altra parte del confine e con l'occhio a figure e motivi dell'orrore odierno. Un lungo, ipnotico viaggio all'interno del dolore, laddove il  capolavoro  di McCarthy si muoveva lungo le vie del male, un murale letterario fastoso di ellissi e digressioni narrative, composto col piglio e la naturalezza di chi ha scoperto il segreto, se non del mondo, almeno della letteratura.

Tiziano Giannotti - 13 ottobre 2007




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