Massimo Rizzante
10 giugno 2010
La sua opera è monumentale. La mia contabilità risale al 2007, e quindi sarà certamente imprecisa per difetto: 21 volumi di pièces teatrali, 15 romanzi, 5 raccolte poetiche, 19 testi saggistici e lettere aperte, più di 750 libri per bibliofili, a cui oggi bisogna aggiungere i 5 libri contenenti 20 sue poesie di 20 versi ciascuna e illustrati da altrettante litografie di Yu Minjun, Wang Guangyi, Zhang Xiaogang, Yang Shaobin e Wang Qing Song.
Ogni volta che leggo una sua pagina di romanzo, di teatro o una sua poesia mi domando se, di fronte all’opera di Arrabal, il mio mondo non abbia dimenticato per sempre il gusto per l’assurdo. Mi sento un erede senza eredi alla frontiera di due mondi: il mondo di Arrabal e il mio mondo, un mondo in cui, alla riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, si è aggiunta quella dell’uomo, senza che ciò turbasse gli ingegni che, nel loro procedere alla clonazione della realtà, si stanno condannando alla sterilità onirica. Contro la divina non serietà di Arrabal, il mio mondo oppone oggi soltanto il sorriso disincantato di un’arte che ricicla la sua storia: intravedendo la possibilità della sua fine, essa vuole vendicarsi di ciò che ha creato in passato e, per non soccombere, cerca di fare di questa vendetta un piacevole intrattenimento.