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lunedì 9 agosto 2010

l'equivoco della spontaneità

 Biagio Cepollaro -


l'equivoco della spontaneità


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Si dovrebbe scrivere poesia soltanto avendone letta e meditata molta, di poesia. Questa è una regola che vale per ogni arte, per ogni impresa che presupponga il contributo creativo come una qualche, sia pur minima, sapienza raggiunta. E aggiunta. Per attenersi a questa regola occorrono serietà, umiltà e disciplina.  Ogni vero artigiano, prima ancora dell’artista, sa queste cose come ovvie, eppure vi è un equivoco che forse ha disturbato: l’equivoco della spontaneità.

L’aver creduto che la spontaneità stia all’inizio del processo creativo. La spontaneità, invece, viene alla fine. Perché all’inizio c’è soltanto il sentito dire che non viene riconosciuto come tale. Il sentito dire può anche essere rappresentato da una tradizione di tutto rispetto, non per forza il sentito dire è il dozzinale. Quindi per superare il sentito dire in dotazione all’inizio, occorre attraversare molte tradizioni fino al punto di scoprire che una tradizione è tale solo se rende possibile l’accadere di un’esperienza che ha i tratti appunto dell’accadere, nuova nel suo darsi come esperienza.

Il problema dell’arte, insomma, non è diverso dal problema dell’esperienza in generale: occorre molto aver macinato e molto aver dimenticato perché sotto ai nostri occhi, quasi increduli, una tradizione si riattulizzi… Fosse anche la tradizione del nuovo, fosse anche la tradizione del rifiuto di ogni tradizione… Ma la serietà è difficile perché richiede un giudizio severo verso le proprie concrezioni. L’umiltà è difficile perché richiede che accanto alla severità vi sia l’indulgenza e la generosità anche verso se stessi. E difficile è la disciplina: non è a cuor leggero che si sta zitti quando si è provocati a reagire, non è a cuor leggero che si cancellino pagine e pagine non riuscite quando intorno a noi non sembra che vi sia più alcun ritegno a mostrare qualsiasi cosa come arte… Eppure ogni momento di serietà, di umiltà e di disciplina ci promettono qualcosa: non il riconoscimento altrui del nostro sforzo (un atto è pieno solo se è indifferente al suo frutto) ma il senso di quell’atto gratuito che si aggiunge, nel suo piccolo e nel suo splendore, alla creazione.
 © Biagio Cepollaro
Tratto da:  
Amleto dopo Wittgenstein: la poesia letta-- Alfabeta2 29 luglio 2010.
il saggio è stato pubblicato su
La scoperta della poesia (Metauro Ed., 2008)  titolo di una raccolta di saggi intorno alla poesia e alla sua ‘scoperta’ da parte degli stessi poeti, curata da Massimo Rizzante e Carla Gubert .

I saggi raccolti in La scoperta della poesia sono a firma di Giuliano Mesa, Gabriele Frasca, Milo De Angelis, Franco Buffoni, Rosaria Lo Russo, Biagio Cepollaro, Andrea Inglese, Alessandro Fo e Massimo Rizzante.
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 © Biagio Cepollaro


il peso specifico delle parole

 Biagio Cepollaro -



il peso specifico delle parole

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Riconoscere il peso specifico di una parola non è possibile per un qualche suo tratto distintivo: un testo poetico non è ‘sperimentale’ perché è astruso o semplicemente inconsueto, né un testo poetico rinnova la tradizione lirica perché vi parla semplicemente un soggetto configurato come un ‘io’ ottocentesco… La banalità si annida in questi tratti distintivi, anzi, è proprio il fatto che si anteponga alla concreta lettura del testo e alla relativa esperienza, dei tratti distintivi, il luogo originario della banalità della critica.

Nella incredibile esplosione e moltiplicazione di voci poetiche (di scritti ‘poetici’) sulla Rete, le etichette, già pericolanti prima, hanno perduto ormai del tutto la loro funzione economica di orientamento per delle concrete realtà testuali. Il termine ‘lirica’ non vuol dire più nulla. A quale configurazione della soggettività, infatti, il termine dovrebbe riferirsi? I termini ‘sperimentale’ e ‘avanguardia’ hanno perduto definitivamente la loro utilità, già gravemente compromessa negli ultimi quarant’anni del Novecento, nel deperimento della dicotomia tradizione-avanguardia.

Dunque non sarà un’etichetta né un tratto distintivo ma il peso specifico delle parole di cui faremo esperienza ad essere, per noi lettori, significativo. Solo che il peso specifico della parola poetica vive, per così dire, nell’interstizio tra la superficie del testo e la sua latenza profonda:   tocca a ciò che il lettore ha raggiunto nella sua evoluzione complessiva (emotiva, intellettuale, spirituale) provare ad attualizzare quella latenza e a darle voce.

democrazia e creazione letteraria

  Massimo Rizzante -


10 novembre 2009
lettori e non lettori,    scrittori   e  scribacchini

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Io ho sempre pensato che la creazione letteraria sia elitaria. E che una democrazia è tanto più forte quanto più è in grado, attraverso un sistema educativo aperto a tutti, di sradicare l’ignoranza (con la quale dobbiamo fare i conti nel corso di tutta una vita) in modo da rendere accessibili i romanzi di Sterne, di Joyce e di Kafka. Non è la letteratura che è democratica, è l’accesso ad essa che deve esserlo.
La democrazia non è qualcosa che si ottiene in modo gratuito, assecondando la mediocrità, ma è al contrario uno sforzo costante, un atto esigente di lucidità e di immaginazione, qualcosa di molto simile alla stessa creazione letteraria.............
...avere un’idea populista della letteratura e della democrazia.,,,,,,,,,,,è in realtà la concreta radice di uno dei mali nel nostro paese. E non solo del nostro paese....

.........Al centro della questione, allo stesso tempo letteraria e politica, ci sono due modi di invitare il lettore a partecipare all’opera.

Il primo parte dal presupposto che il lettore sia sempre identificabile e che i suoi gusti, giudizi e preferenze siano conosciuti in anticipo dall’autore, il quale prepara, con l’aiuto di probi editor, il perfetto piatto del perfetto scrittore progressista-populista con cui si nutrono le viscere del consumatore del presente.

Il secondo cerca di identificare il lettore che ancora non c’è, il lettore che scopre se stesso attraverso la lettura. Quando questo lettore e l’opera si incontrano, quando l’uno e l’altra si creano reciprocamente, nasce l’opera davvero democratica, in grado cioè di rivolgersi non a un lettore-consumatore del presente, ma a un lettore-cittadino del futuro.

Si capisce quindi come ogni apologia progressista dell’opera letteraria che deve essere accessibile a tutti, mistifichi tre deficit che il perfetto scrittore progressista non riesce a colmare, essendo la sua idea di democrazia minata alle basi da un pregiudizio populista. Un deficit di progetto politico: i suoi romanzi si rivolgono a un lettore-consumatore del presente. Un deficit educativo: egli pensa di sradicare l’ignoranza non elevando il tasso di cittadinanza della letteratura, ma innalzando il tasso della sua consumazione.

Un deficit, infine, di immaginazione: i romanzi del perfetto scrittore progressista soggiaciono a un mediocre realismo sociologico, alla verosimiglianza psicologica e a un’idea della Storia concepita come una successione di eventi registrabili. I suoi romanzi sono privi cioè di ogni immaginazione temporale. Sono, oltre che populisti, anacronistici, in quanto costruiti con strumenti che hanno avuto il loro apogeo nel XIX secolo. E sono, per questo, nostalgici. Una nostalgia che nutre le viscere dei lettori-consumatori del presente.

L’opera letteraria davvero democratica che si rivolge a un lettore-cittadino del futuro è sì un atto individuale, ma è allo stesso tempo un atto di memoria comune e porta in seno il progetto di una collettività che non ha nome. Per questa ragione essa deve essere in grado di far intravedere – come una carica inesplosa – un’altra Storia, una «seconda Storia», come ha detto una volta Carlos Fuentes, che non ha niente a che vedere con la Storia registrata negli archivi né con la verità “storica” in tempo reale che ci propina l’informazione.

Lo scrittore davvero democratico non si accontenta quindi di ciò che gli è contemporaneo, ma si propone di compiere un’operazione che né gli storici né l’informazione possono compiere: rendere contemporaneo nella sua opera ciò che non gli è contemporaneo, accogliere in un unico spazio fittizio una coesistenza di tempi, fare di ogni passato presente.

E’ evidente che per farlo, il codice realistico deve essere violato. E con questa violazione finisce il sogno nostalgico, allo stesso tempo progressista e populista, di un realismo universale in grado di identificare in ogni parte del globo il lettore-consumatore del presente.

Questa «seconda Storia», che nell’opera fa brillare come un miraggio il nostro futuro senza nome, è ciò che ogni lettore-cittadino dovrebbe richiedere a uno scrittore davvero democratico.


 © Massimo Rizzante
Tratto da:  

il perfetto scrittore progressista,  Nazione indiana 10 novembre 2009  
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 © Massimo Rizzante

  sull'urgenza di una   "una messa o fuoco del passato"  al centro delle riflession idi massimo Rizzante
si può leggere qui  L' intervista a Massimo Rizzante,  di  Luigi Nacci   e la recensione di Giaani Celati al libro Non siamo Gli ultimi
 


le forme della scrittura

Marcello Fois -



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Siamo circondati da scrittori tristemente più famosi dei propri libri... Di teorici al rovescio che prima scrivono poi elaborano, prima promuovono poi scrivono...di quantità che disattendono qualunque qualità (...)
E sarebbe a dire che non può sussistere alcuna modernità che non si sostanzi in un rapporto strettissimo con la tradizione. Tuttavia sembrerebbe vero il contrario. La scrittura è ancora, da più parti, considerata un esercizio per orfani, o per figli di nessuno. dentro a questa apparenza di gratuità si nasconde l 'insidia di pensare che chiunque possa esercitarla, basta che lo faccia. Ma ribadire che non è  così pare, al contempo, una tautologia. Chiarire che scrivere è un atto complesso e persino faticoso, può sembrar, a lungo andare una posa: l'alternativa allo scrivere sarebbe lavorare.  In ogni caso vale la pena di essere santamente tautologici e ripetrci di tanto in tanto che non si fa letteratura senza letteratura. Non si scrive senza leggere.  Non si distrugge quanto non si conosce  e questo tanto per mettere una pietra sopra su qualunque tentazione di avanguardia posticcia derivante da percorsi non assimilati (...)

La scrittura "attuale" è tutto il contrario, l'unico talento effettivo che richieda è di cavalcare l'appetito momentaneo del lettore. E' scrittura senza parenti, vuoto a perdere,. Spesso millanta un rigore che non possiede se non in termini di audience; è il territorio in cui più che in ogni altro luogo, la scrittura incontra le categorie televisive di audience e di target: la scrittura per adolescenti pubescenti, la scrittura per lettori  che non vogliono niente di impegnativo; la scrittura per lettori  che vogliono illudersi di saturare la scarsità di ocntenuti con l'abbondanza di pagine (...)


il web sarebbe il veicolo e lo spazio che avrebbe mutato radicalmente le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura “attuale”. Non sempre positivamente, mi pare. Da un lato il web ha funzionato come straordinaria cassa di risonanza, dall’altro però ha trasmesso l’illusione che chiunque abbia titoli per parlare di letteratura. Ha reso il lettore, anche quello saltuario, o mediocre, o protagonista. Ha fatto protagonista perfino il non lettore, che in un sito di scrittura puo’ affermare il suo inalienabile diritto di giudicare quanto non ha mai letto. E’ un paradosso che ha evidenziato la necessità assoluta di una critica che non abdichi al suo compito di custodire, interpretare, e mettere in campo, un patrimonio inestimabile.
Il confronto diretto è solo apparentemente democratico, non vedo scrittori che discutono di operazion ia cuore aperto in siti di cardiologia, ammesso che non siano medici.. Ci sono spazi dove si va per curiosità e per apprendere e altri in cui. oltre a questo, si ha titolo per intervenire.  Vorrei più lettori con più argomentazioni, ma vedo solo scrittori che parlano tra di loro, o non lettori che farneticano. la democrazia è costosissima, e diventa sempre più rara, non dovremmo sprecarla, confondendo il sacrosanto diritto di parola con la fisiologia fonetica. Si rischia certo di apparire retrivi, ma vale la pena di ricordare ancora una volta che il consumo a corto raggio è una categoria lontanissima dalla letteratura, per lo meno dalla letteratura che abbia un progetto di permanenza, che è il fulcro della letteratura 'inattuale'  ”………
..........Non resta che affidarsi a un principio talmente banale che per molti è una chimera, e che costituisce il discrimine stesso tra scrittore e scrivente: dai classici si impara senza esiliarsi dal proprio tempo.

[Marcello Fois, Le forme della scrittura,
  Nuova rivista letteraria Nr 1 maggio 2010]


il sito ufficiale di Marcello Fois   - - - -
© Marcello Fois 

 

il pensiero collettivo in rete

  Giancarlo Alfano -


[...]
oggi è stato pubblicato un articolo sul “manifesto” che mi ha dato da pensare. Vi si dice che in Itlaia non occorrono gli intellettuali, peraltro già morenti o già morti, ma un pensiero. Nel corso dell’argomentazione di questo articolo si capiscono due cose: 1) che il “pensiero” sigifica “dei contenuti”; 2) che bisogna elaborare questi contenuti soprattutto attraverso il canale del web.

Mi rifaccio a questo articolo (firmato da Giorgio Fontana), perché è un po’ quel che ci si auspica in generale, e che soprattutto sperano coloro che praticano la rete. Della quale, io resto però un osservatore piuttosto critico e diffidente. Il pensiero deve essere collettivo, per forza. Ma il problema è che un pensiero collettivo, cioè intendo elaborato collettivamente, deve possedere un vocaboloario grosso modo comune e dei procedimenti di individuazione delle priorità logiche (una sintassi) che siano ampiamente condivisi. Altrimenti non si elabora, ma ognuno dice la sua, in maniera più o meno bella, ma comunque senza alcuna efficacia.[...]

© Giancarlo Alfano

citazione tratta da un commento a un articlo dello stesso Giancarlo Alfano:

Ancora sull’università, la poesia, il gusto  che è il seguito di un altro articolo sempre di Alfano:
 A La “critica universitaria” e l’esplosione. Un invito a partire dal lavoro sulla poesia
 

© Giancarlo Alfano