Massimo Rizzante -
30 aprile 2011Per Ernesto Sabato (1911-2011)
di Massimo RizzanteOggi 30 aprile è’ morto Ernesto Sabato, l’autore della trilogia romanzesca composta da Il tunnel (1948), Sopra eroi e tombe (1961) e L’angelo dell’abisso (Abaddón el exterminador, 1974) e di saggi come Lo scrittore e i suoi fantasmi, Prima della fine, Resistenza. In realtà gli editori italiani avrebbero dovuto fare di più e meglio per il maestro argentino. Ma mai come in questo caso sono rimasti sordi ai miei richiami. Non che la mia voce abbia per loro un qualche peso, ma questi mirabili capi d’azienda, la cui presunzione spesso supera quella dei loro editor, la quale a sua volta supera quella dei loro scrittori, dovrebbero qualche volta alzare il naso al di là dei nostri confini e del nostro presente.
In forma di omaggio riprendo qui una piccola parte del saggio dedicato a E.S. presente nel mio Non siamo gli ultimi.
Leggendo Sabato mi sono detto: scrive come se dovesse essere letto fra diecimila anni! Un’altra idea, subito dopo, mi è balenata nella mente: Sabato è uno degli ultimi umanisti, un umanista in lotta contro la crisi dell’uomo concreto e universale.
Nel saggio intitolato El desconocido de Vinci c’è questo passaggio:
Ciò che è specifico dell’essere umano non è lo spirito ma quella lacerata regione intermedia chiamata anima, regione in cui accade tutto ciò che di grave e di importante appartiene all’esistenza: l’amore e l’odio, il mito e la finzione, la speranza e il sogno; nulla di tutto questo è puro spirito, quanto piuttosto un violento miscuglio di idee e sangue. Ansiosamente duale, l’anima soffre tra la carne e lo spirito, dominata dalle passioni del corpo mortale, ma aspirando all’eternità dello spirito. L’arte (cioè la poesia) sorge da questo confuso territorio e a causa della sua stessa confusione: Dio non ha bisogno dell’arte.
Quest’ultima frase è giustamente famosa perché è il vero emblema di tutta l’opera di Sabato, dei romanzi e dei saggi, della sua parte notturna come di quella diurna, un emblema che è un lungo elogio all’imperfezione dell’uomo. Sia che scriva su Leonardo da Vinci, Borges, i problemi dell’educazione dei nostri tempi o che inventi personaggi come Castel, Alejandra, Martín, Sabato non perde mai di vista quell’essere «ansiosamente duale» che egli, come qualsiasi altro uomo, é. Sabato sa bene che la vera patria dell’uomo è quella «regione chiamata anima», in cui si mescolano senza soluzione di continuità «le idee» e «il sangue». Ma egli sa anche che l’uomo ha abbandonato progressivamente questa regione intermedia e che grazie alla sua ansia di perfezionamento ha razionalizzato a tal punto il mondo da renderlo disumano.
Tuttavia il pensiero di Ernesto Sabato non è né tragico né nichilistico. Proprio in virtù del nostro status ontologico di esseri finiti, di esseri carnali e spirituali, possiamo costruire ponti sopra gli abissi delle nostre coscienze, partecipando così agli eventi del passato e del presente. Possiamo sempre aprire una finestra sulla nostra solitudine, sugli altri, su quelli che ci hanno preceduto nel tempo come su quelli che non appartengono alla nostra geografia. Per il fatto che è nutrita da una riflessione ontologica sull’uomo, l’opera di Sabato è refrattaria a ogni «astratta complessità», a ogni bizantinismo.
Sabato demistifica il gigantesco paradosso secondo il quale un movimento chiamato Umanesimo ha prodotto, alla fine, una totale disumanizzazione delle forme e, al contempo, cerca di preservare a qualsiasi costo l’insondabile capacità onirica dell’uomo, la sua cecità produttiva. Egli demistifica il mondo della tecnica e cerca di proteggere e difendere l’individuo, essere concreto e confuso, sospeso tra l’ansia di perfezione e i suoi istinti.
Per questo Sabato è uno degli ultimi umanisti: perché demistifica la realtà senza demitificarla.
Demistificare senza demitificare la realtà significa restare fedele all’imperfezione ontologica della condizione umana.
Ma come può l’uomo oggi raggiungere attraverso la sua parte intelligibile e le sue passioni, in un modo insieme intelligibile e appassionato, la propria imperfezione? La risposta dell’autore è di quelle senza appello: attraverso l’arte, e in particolare l’arte del romanzo.
Tradire è volgere lo sguardo verso un punto ignoto, che ci attira proprio perché ignoto. Così Sabato, dopo aver attraversato con devozione assoluta la cittadella delle scienze matematiche e fisiche, ha abbandonato le sue aspirazioni alla purezza, alla chiarezza e all’ordine geometrico, approdando su un altro territorio, incerto e pericoloso: quello dove le congetture non precedono mai le azioni e in cui le azioni, molto spesso, non sono frutto di congetture: il territorio del romanzo.
Per Sabato, questa regione intermedia in cui si mescolano senza soluzione di continuità «le idee» e «il sangue», questa «regione chiamata anima», ontologicamente ambigua, impura e propria dell’individuo finito, concreto e confuso, coincide con il territorio esplorato dal romanzo. Coincide, non confina. Per questo Sabato può dire che «il romanzo è la patria dell’uomo». Il romanzo, infatti, è il luogo in cui l’uomo, in esilio sulla Terra e lontano dagli dei, diventa amico dell’uomo, e impara a essere fedele alla sua imperfetta condizione.
Nazione indiana ---- - - -
© Massimo Rizzante -
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