Marco Gigliotti
Bret Easton Ellis
Faccione sorridente, occhiali da vista neri, giacca e pantaloni neri, Bret Easton Ellis sale sul palco del “Circolo dei lettori” di Torino e si a mette filmare il pubblico con una fotocamera digitale. I fan applaudono.Legge le prime pagine di Imperial Bedrooms, il suo nuovo romanzo: «Su di noi avevano fatto un film. Il film era tratto da un libro scritto da una persona che conoscevamo. Il libro era il semplice racconto di quattro settimane trascorse nella città in cui siamo cresciuti e in linea di massima era un ritratto fedele […]». Altri applausi.
Lo scrittore americano osserva la platea simulando stupore. Pronuncia una battuta che ripeterà ad Alba e a Milano: «Quanti italiani! Quanti italiani! Mai visti tanti italiani tutti insieme». Fotografa gli italiani, dice: «Devo fotografarvi, altrimenti i miei amici non ci crederanno». Da quel momento in poi ogni intervento di Ellis verrà accolto da un’ovazione. Lo stesso accadrà nei due incontri successivi, gli ultimi di un tour promozionale che lo ha impegnato per ben cinque mesi, portandolo da Sidney a Francoforte, da Parigi a San Francisco.
Durante la presentazione torinese scherza a più riprese sulle fatiche di uno scrittore in tournèe. Chiama se stesso The Animal perché dice di sentirsi un animale al guinzaglio, portato in giro dagli organizzatori affinché sorrida, firmi autografi, si faccia fotografare.
Andrea Canobbio di Einaudi e Giuseppe Culicchia, traduttore italiano di The Animal, fanno le domande di rito sulla genesi di Imperial Bedrooms.
Ellis racconta che l’idea gli era venuta mentre ultimava Lunar Park. Racconta che si trattava di un periodo felice della sua vita e che gli sembrava un buon momento per scrivere una storia d’amore. I protagonisti dovevano essere Clay e Blair, già al centro del suo romanzo d’esordio Meno di zero. Ma quando Ellis si era trasferito a Los Angeles, tutto era diventato terribilmente cupo. Per vicende legate alla lavorazione del film The Informers – di cui è sceneggiatore e co-produttore –, aveva tradito un suo amico facendolo licenziare. Poi il film era andato malissimo, come l’ormai ex amico aveva previsto. Allora Imperial Bedrooms si era trasformato in una storia di tradimento e tutto nel romanzo aveva iniziato a ruotare attorno a Hollywood. Il narratore era rimasto Clay, ma il ruolo di Blair era diventato marginale, lasciando spazio a un altro personaggio femminile, Rain Turner, prototipo delle giovani attrici che avevano offerto i propri favori sessuali a Bret Easton Ellis per avere una parte in The Informers.
Se il racconto della genesi del romanzo è suggestivo, è nel dialogo col pubblico che Ellis dà il suo meglio. È gentile, ma allo stesso tempo tagliente, tanto pronto nelle risposte che l’interprete fa fatica a stargli dietro.
Quando gli domandano se si riconosce in Patrick Bateman, il broker omicida di American Psycho, risponde senza esitazioni: «Molto».
Alla domanda sul significato del twitt che ha scritto alla notizia della morte di Salinger («Yeah!! Thank God he’s finally dead. I’ve been waiting for this day for-fucking-ever. Party tonight!!!») risponde che non c’è niente da capire. Poi, però, per fugare ogni dubbio, spiega che a lui piacciono molto i libri di J.D. Salinger, che la sua frase era ironica e che sicuramente l’autore del Giovane Holden ne avrebbe intuito il senso.
La risposta più inattesa è quella a un ragazzo che gli chiede un ricordo della Pivano. «Le piacevano gli uomini. – risponde –
E quando dico che le piacevano gli uomini voglio dire che le piacevano davvero molto. Specie un certo tipo di scrittori: quelli carini. Fernanda aveva il vizietto. Era predisposta ai colpi di fulmine. E quando uno scrittore le piaceva si impegnava a farlo conoscere. Non voglio parlare male di Fernanda, ma non mi piace un certo modo di idealizzare la sua figura, il mito della benefattrice completamente disinteressata. Sono grato a Fernanda e mi manca molto, ma come tutti aveva dei difetti.»
Il ritmo delle risposte si inceppa solo quando gli chiedo se crede che ci siano delle affinità nella rappresentazione del male e della violenza tra lui e l’autore cileno Roberto Bolaño. Ellis rimane in silenzio per qualche istante. Poi confessa di aver letto 2666 durante la stesura di Imperial Bedrooms. Fa un’altra pausa.
Dice che Bolaño è un grande scrittore, che la sua descrizione del male è precisa e brillante.
In Imperial Bedrooms, l’evocazione di una serie di omicidi al confine tra Messico e Stati Uniti, e ancor più il tentativo di creare un alone di mistero, un senso di imperscrutabilità, attorno alle morti di alcuni personaggi sembrano rifarsi alla lettura di 2666. Questa influenza si manifesta con una serie di dialoghi piuttosto goffi, e stucchevoli, ed è difficile che uno scrittore del valore di Bret Easton Ellis, che peraltro ha nei dialoghi un punto di forza, non se ne sia reso conto.
La sera successiva l’autore americano è ad Alba, al Teatro Sociale G. Busca. Per essere sicuri di entrare è consigliabile prenotare via mail e arrivare venti minuti prima. Non so se qualcuno sia rimasto fuori, ma delle oltre quattrocento poltrone della Sala Nuova non ne rimane vuota neanche una. Un attore legge sul palco alcune pagine di American Psycho. Poi, con una busta di plastica in mano, compare Ellis. A parte i pantaloni – ora indossa un paio di jeans –, è vestito come a Torino. Non condivide di certo – almeno non più – l’ossessione per la moda di Patrick Bateman, Victor Ward e di tanti altri suoi personaggi.
Il copione non cambia. The Animal legge l’incipit di Imperial Bedrooms, finge di essere stupito, recita la battuta: «Quanti italiani! Quanti italiani! Mai visti tanti italiani tutti insieme».
A quel punto infila il naso nella busta e aspira.
«Questa roba qui deve costare un sacco di soldi. – dice – È un tartufo, me l’hanno regalato all’entrata. Non so perché ma il suo profumo mi rilassa.»
Il pubblico naturalmente applaude. È fantastico, qualsiasi cosa dica, voi applaudite, commenta Ellis.
Giù altri applausi.
Anche questa volta è accompagnato da Canobbio e Culicchia. Il dialogo che li vede protagonisti non può che ricalcare quello della sera precedente. Il botta e risposta con i lettori, invece, offre nuovi spunti.
Ellis smentisce le voci secondo le quali Imperial Bedrooms sarà il suo ultimo libro, spiegando che al momento non ha una nuova idea per il prossimo romanzo ma che appena ne avrà una si metterà al lavoro. Subito dopo, però, afferma che se anche non dovesse scrivere altri romanzi per lui non sarebbe un problema.
«Non scriverai più romanzi, non bevi più, non ti droghi più, scrivi sceneggiature per spettacoli televisivi: come ti sei ridotto? mi dice molta gente, ma a me questa vita piace,»
rincara la dose.
Poi racconta il suo unico incontro con Elvis Costello (musicista più volte citato nei suoi libri), una semplice stretta di mano in un ristorante. E la delusione per la descrizione che Costello aveva fatto di quell’incontro a «Rolling Stone», sei mesi dopo, parodiando lo stile di Meno di zero
(«Oh sì, Bret è venuto verso di me in un ristorante a Beverly Hills. Il suo amico era ubriaco, mi ha offerto una striscia, siamo andati in bagno. Poi Bret è uscito e ha fatto un pompino al suo amico. Io guardo, mi annoio. In effetti, non me ne frega un granché di Bret Easton Ellis»).
Alla richiesta di un consiglio da parte di un giovane scrittore, risponde: «Sposa una donna ricca!» Ma poi aggiunge:
«Seriamente, tra i miei compagni dei corsi di scrittura, quelli che si sono affermati come scrittori erano i più tranquilli, quelli che non si mettevano in mostra e non stavano lì a fare tante domande. Leggi il più possibile, posso dirti solo questo.»
Alla fine della presentazione, mentre Ellis firma centinaia di autografi, mi fermo a parlare con Giuseppe Culicchia. Mi spiega che Ellis, conosciuto di persona dà l’impressione di essere per certi versi molto simile ai protagonisti dei suoi libri: ma visto che la caratteristica principale di questi personaggi è la loro profonda ambiguità, non ha davvero idea di chi sia in realtà Bret Easton Ellis. Gli chiedo di raccontarmi un aneddoto del minitour italiano di Imperial Bedrooms e Culicchia mi dice:
«Ellis non ha solo fatto due presentazioni ma si è anche sottoposto a decine di interviste, sia la mattina sia il pomeriggio, senza poter praticamente mettere piede fuori dall'albergo. Quando nel viaggio in auto da Torino ad Alba ci ha chiesto scusa e si è messo ad ascoltare un po' di musica in cuffia e ha cominciato a giocare ad Angry Birds sul suo I-Pad, ho pensato che erano cinque mesi che girava per il mondo per fare presentazioni e dare interviste, e che dagli Stati Uniti all'Italia, passando per l'Australia, aveva dovuto rispondere a migliaia di domande tutte molto simili tra loro, e fare conversazione con centinaia di giornalisti e decine di editori e traduttori, e per la prima volta in vita mia mi sono detto che i videogiochi in effetti sono davvero una grande invenzione.»
Anche se l’orario di inizio è previsto per le 18:30, arrivo alla Feltrinelli di piazza Piemonte, a Milano, alle 17:15. Faccio appena in tempo a trovare un posto a sedere.
Questa volta l’autore di American Psycho dialogherà con lo scrittore Antonio Scurati.
Dopo la solita scenetta iniziale in cui legge l’incipit e poi si sorprende della presenza di tanti italiani, Ellis ascolta l’introduzione del suo collega.
Scurati inizia con una citazione:
«Non esistono più scrittori famosi, dice Gore Vidal, intendendo per famoso colui la cui opera è discussa dall’Agorà tutta. Ma Bret Easton Ellis è la prova vivente che Vidal si sbaglia. Ogni libro di Ellis ha fatto discutere la società americana e quella internazionale,»
e prosegue con un’analisi coincisa e accurata dei principali motivi d’interesse dei vari romanzi dell’autore di Los Angeles. Poi gli chiede: «Perché hai scritto Imperial Bedrooms?» una domanda di cui – come ha rivelato Culicchia agli spettatori di Alba la sera prima – Ellis non ne può più. Così scuote la testa, si volta verso il pubblico e sorride: «Cosa ci fate qui? Andate da un’alta parte e divertitevi». E subito dopo aggiunge: «Date da mangiare a The Animal, alla scimmia che sta sul palco. Cosa volete da me? Faccio un balletto?» Alla fine si decide a rispondere a Scurati. Dice che spesso si pensa che ci sia qualcosa di molto concreto alla base di una storia, ma che in realtà la narrativa è soprattutto emozionale.
Arriva il momento del pubblico.
Gli chiedono se per il protagonista di American Psycho si sia ispirato al nostro Presidente del Consiglio. Ellis prima si rassicura che in carica ci sia ancora Berlusconi, poi risponde:
«Non mi interessa Berlusconi. In Europa ne sento tanto parlare, ma da noi è considerato una specie rockstar un po’ stramba. Per esempio, si dice che da qualche parte Berlusconi possegga un’isola di prostitute. Dov’è quest’isola? Voglio assolutamente andarci!»
Un altro lettore vuole sapere quale è il suo stilista italiano preferito e cosa bisogna fare per essere alla moda oggi. Ellis, che sotto la giacca indossa una felpa col cappuccio e calza un ibrido improbabile tra dei mocassini e degli stivaletti, replica: «Non penso più alla moda. Sono avanti. Penso alla comodità.»
Alla domanda di Scurati: «Qual è la cosa peggiore che ti sia capitata nella vita?», risponde ridendo:«Il tour di presentazione di un libro», poi serio: «Di sicuro è stata il fatto che mio padre mi abbia abbandonato».
pubblicato su Il riformista
© Marco Girotti
Nessun commento:
Posta un commento