sabato 30 luglio 2011

Roberto Bolaño - Il Terzo Reich

 Alfredo Ronci     

Roberto Bolaño -  Il Terzo Reich

Adelphi, Pag. 325 Euro 20,00

Hai voglia a dire. Si fanno tante chiacchiere sulla letteratura e sul suo stato di salute. Si fanno tanti discorsi sulla possibilità di trovare vie d’uscita alla situazione stagnante e corriva della narrativa contemporanea e sull’eventualità, quasi miracolistica, di fare i conti con scrittori capaci ed innovativi e poi di punto in bianco ti capita un libro nel senso più classico del termine (anche con le sue differenziazioni), con una storia semplice e coinvolgente, ed ecco che i pruriti ‘intellettualistici' si placano e trovi la pace dei sensi.

Va precisato: stiamo per parlare di un autore straordinario, per certi versi ‘rivoluzionario’, ma è pur vero che non è difficile, nell’eccellenza, spesso trovar buggerature, intese anche nell’accezione più classica… e che fa tanto male.

A otto anni dalla morte del grande scrittore messicano/cileno, Adelphi ripropone un romanzo che appartiene alla prima fase: quella, forse, di una costruzione identitaria che sarebbe poi esplosa in un’opera letteraria con pochi eguali nella letteratura mondiale contemporanea.

Di sicuro Il Terzo Reich mostra una propensione all’indagine psicologica e alla difficoltà interpretativa della realtà già sicura e robusta, ma quel che colpisce di Bolaño è la sua capacità di affascinare il lettore con una rappresentazione dei luoghi magistrale, quasi fotografica.

La storia è semplice (anche se l’aggettivo in Bolaño può avere una risultanza ambigua): Udo Berger, appassionato di giochi di guerra (‘Il Terzo Reich’ è appunto uno svago bellico a cui il protagonista si dedica) si reca sulla Costa Brava in vacanza con la moglie. Qui i coniugi fanno amicizia con un’altra coppia in evidente crisi matrimoniale: dei due l’uomo, ormai affiatatosi con Berger, pochi giorni dopo, sparirà inghiottito dalle onde del mare.

Il corpo verrà restituito settimane più tardi e determinerà in Berger una sorta di confronto con la vita e con i rapporti umani: deciderà di rimanere in Spagna e di assistere alla partenza della consorte. E man mano che la stagione calda si smorza in un precoce grigiore autunnale, il protagonista fai conti col proprio passato (ha una forte attrazione per Frau Else, l’enigmatica proprietaria dell’albergo, già presente quando Berger vi andava in vacanza da ragazzino coi genitori), e con una figura minacciosa (il Bruciato, un gigante del posto che fa il bagnino e che ha il volto deturpato da una larga bruciatura) che gli impediscono il ritorno a casa.
Romanzo per certi versi isherwoodiano o forse ancor meglio, bowlesiano dove alla dinamica della enigmaticità si aggiunge un vago senso frustrante di desolazione e solitudine.

Il lettore non fa fatica ad adattarsi ai cambiamenti climatici e quindi ad una stagione estiva che simbolicamente si spegne verso una precoce fine. Ma nulla di certo vi è in una ‘costruzione’ nient’affatto paradigmatica.

Rispondendo ad un suo interlocutore sorpreso che tenga un diario Berger dice:  
Non sono un poeta, ho sorriso. Mi interesso alle cose quotidiane, compreso quelle sgradevoli, per esempio mi piacerebbe annotare sul mio diario qualcosa di relativo allo stupro.
Un approccio che forse non è proprio un ‘modello’.


Alfredo Ronci

Il paradiso degli orchi   ---- - - -
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