Wu Ming 2
maggio 2010
L'archivio e la strada
In un primo momento, questa mia riflessione sul lavoro culturale attraverso la Rete doveva concentrarsi sugli strumenti: blog, social network, e-zine, mailing list, podcast...Poi mi sono reso conto che un elenco del genere avrebbe sviato l'attenzione dall'aspetto più interessante: non la cassetta degli attrezzi, ma la mentalità con la quale li usiamo. Capire la logica che sottende (e trascende) le attuali tecnologie, permette di cogliere caratteristiche, processi e linee di fuga che vanno ben oltre l'ambito del web.
L'utilizzo di Internet, in quest'ottica, determina e consente un lavoro culturale attraversato da nuove tendenze.
Lavoro liquido
Pubblicato sulle pagine di una rivista cartacea, un articolo come questo partecipa alla costruzione di un determinato contesto. La sua natura è doppiamente collosa: da un lato perchè tende a restare appiccato alla sua cornice, dall'altro perchè attira i lettori verso un prodotto culturale. Al contrario, un articolo "postato" su internet ha fin da subito una vita propria: va in cerca di connessioni, risonanze, critiche. Viene copiato e linkato in nuovi contesti e acquisisce così nuovi significati. Il suo scopo principale è circolare, diffondersi, essere disponibile. Se fino a qualche anno fa la maggior parte dei siti erano studiati per appiccicare gli utenti alle proprie pagine. Il cosiddetto web 2.0 ha diluito l'infosfera, rendendo i saperi ancora più fluidi. L'identità dei contenuti culturali si fa più liquida, autonoma, plasmata dagli utenti. Ogni atto linguistico si costruisce strada facendo uno sfondo concettuale, attraverso link, strani vicinati, citazioni, commenti. Ma affinchè questa maggiore dispersione non si traduca in superficialità, perdita di coerenza e riferimenti chiave, è necessario puntellare la conoscenza con due sostegni fondamentali: l'archivio e la strada.
Lavoro d'archivio
Internet è una piazza, un mercato, una fotocopiatrice sempre accesa, un ufficio postale e una biblioteca di babele. Immensi nel flusso di dati, si corre il rischio di dare per scontata l'archiviazione e la perenne accessibilità di qualsiasi materiale grazie all'onniscienza del Dio Google. Al contrario, perchè una conoscenza così liquida non finisca per evaporare, bisogna metterne da parte sempre qualche bottiglia, tapparla con cura, piazzare le giuste etichette, riporre tutto in ordine sugli scaffali e soprattutto stappare al momento giusto, fare corsi da sommelier per imparare quando e come servire vino d'annata, prima che il tempo lo trasformi in aceto.
Lavoro di strada
La cultura telematica può apparire volatile finché non trova dimora in una situazione concreta, dove sedimentare un sapere pratico. Per questo, al contrario di quanto suggerisce il senso comune, il lavoro culturale in Rete dovrebbe avere come conseguenza un maggiore impegno sul campo, una verifica diretta della propria ricerca, la quale non può mai iniziare e finire sul web, ma pretende di essere messa alla prova, vissuta, dialogata, incontrata. Internet è un grande ufficio postale, ma non garantisce che le comunicazioni siano davvero efficaci. Postare contenuti spinge prima o poi ad alzare il culo dalla sedia e a mettersi in viaggio, per controllare che il pacco sia arrivato a destinazione, che qualcuno l’abbia aperto, usato, capito. Non ho mai percorso tanti chilometri e incontrato tanta gente da quando Internet è diventato un medium di uso comune, e la mia rubrica si è gonfiata fino a sembrare un dizionario.
Lavoro all’aperto
La piazza virtuale non è mai vuota, la conversazione pubblica è permanente. Per prendere parola non è più necessario piratare una frequenza, sabotare il sistema, aprire una falla. Tutto avviene in maniera molto naturale e questa apparente tranquillità può far credere che il conflitto sia evaporato. Si producono così due atteggiamenti opposti: i tecno-ottimisti si convincono che Internet sia uno strumento di per sé liberante e libertario, mentre i pessimisti rispondono delusi che anche la comunicazione telematica è funzionale al potere, senza via d’uscita. In entrambi i casi, come direbbe Henry Jenkins, ci si concentra soltanto su quello che la Rete fa alle persone, invece di domandarsi quello che le persone possono fare con la Rete. Rispondere al secondo quesito è uno degli obiettivi irrinunciabili della battaglia culturale, molto più di qualsiasi sabotaggio dimostrativo.
La piazza virtuale non è mai vuota, la conversazione pubblica è permanente. Per prendere parola non è più necessario piratare una frequenza, sabotare il sistema, aprire una falla. Tutto avviene in maniera molto naturale e questa apparente tranquillità può far credere che il conflitto sia evaporato. Si producono così due atteggiamenti opposti: i tecno-ottimisti si convincono che Internet sia uno strumento di per sé liberante e libertario, mentre i pessimisti rispondono delusi che anche la comunicazione telematica è funzionale al potere, senza via d’uscita. In entrambi i casi, come direbbe Henry Jenkins, ci si concentra soltanto su quello che la Rete fa alle persone, invece di domandarsi quello che le persone possono fare con la Rete. Rispondere al secondo quesito è uno degli obiettivi irrinunciabili della battaglia culturale, molto più di qualsiasi sabotaggio dimostrativo.
Lavoro artigianale
Non si tratta dunque di impersonare Robin Hood, ma di convocare a Sherwood quanta più gente possibile, per allenarsi insieme a tirare con l’arco e con la spada. Un uso consapevole della Rete come strumento per fare cultura, non può limitarsi al semplice produrre e diffondere messaggi. Occorre aprire la propria bottega, mostrare gli attrezzi del mestiere, socializzare il più possibile una riflessione sul mezzo, sui suoi strumenti, sulle competenze necessarie per utilizzarli in maniera efficace, sui rischi e sugli incidenti più comuni.
Non si tratta dunque di impersonare Robin Hood, ma di convocare a Sherwood quanta più gente possibile, per allenarsi insieme a tirare con l’arco e con la spada. Un uso consapevole della Rete come strumento per fare cultura, non può limitarsi al semplice produrre e diffondere messaggi. Occorre aprire la propria bottega, mostrare gli attrezzi del mestiere, socializzare il più possibile una riflessione sul mezzo, sui suoi strumenti, sulle competenze necessarie per utilizzarli in maniera efficace, sui rischi e sugli incidenti più comuni.
Lavoro mutante
In Rete spesso non hanno senso distinzioni che ancora si riescono a tracciare fuori dallo schermo. La liquidità dei contesti fa sì che i materiali risultino ibridi per natura, incerti per status. Saltano le barriere tra comunicazione commerciale, amatoriale, didattica, accademica, giornalistica, narrativa. Saltano gli steccati tra i diversi approcci degli utenti: gioco, intrattenimento, informazione, studio, lettura, chiacchiera da bar, dibattito elevato. E molto più difficile distinguere tra quel che si fa per divertimento e quel che si fa sul serio, tra il tempo libero e il lavoro, tra un articolo e un taccuino d’appunti, tra una bozza e una stesura definitiva.
In Rete spesso non hanno senso distinzioni che ancora si riescono a tracciare fuori dallo schermo. La liquidità dei contesti fa sì che i materiali risultino ibridi per natura, incerti per status. Saltano le barriere tra comunicazione commerciale, amatoriale, didattica, accademica, giornalistica, narrativa. Saltano gli steccati tra i diversi approcci degli utenti: gioco, intrattenimento, informazione, studio, lettura, chiacchiera da bar, dibattito elevato. E molto più difficile distinguere tra quel che si fa per divertimento e quel che si fa sul serio, tra il tempo libero e il lavoro, tra un articolo e un taccuino d’appunti, tra una bozza e una stesura definitiva.
Lavoro sporco
Quanto appena detto è all’origine di un timore ancora molto diffuso tra gli intellettuali italiani: in Rete ci si sporca le mani. La spazzatura è ovunque, forse ancora più abbondante di quel 90% che secondo la legge di Sturgeon sarebbe la dose di scarti presente in ogni cosa. Ma un'altra legge, il teorema di Via del campo di Fabrizio De André, ci avverte che dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. La quota di talento di una comunità non è fissata a priori (e dunque non si diluisce se aumenta la produzione creativa). Un’amministrazione cittadina che si propone di combattere le scritte sui muri, ma non i graffiti “artistici”, non ha capito nulla di come nasce un’opera d’arte, di quale humus la nutre.
Chi vuole condurre in Rete una battaglia culturale deve sapere che la qualità dei prodotti è spesso meno importante della qualità sociale e politica dei processi di produzione. Dev’essere pronto a mettere in discussione i suoi criteri di buono e di bello. Un racconto “bello da scrivere” potrebbe non essere “bello da leggere”, ma questo non lo renderà “brutto in assoluto”. Distinguere tra il bambino e l’acqua sporca non sarà solo difficile: il più delle volte risulterà impossibile.
Lavoro diplomatico
Nel lavoro culturale off fine ci si propone spesso come obiettivo la definizione di concetti, significati e parole chiave, ma non appena ci si connette il bersaglio si sposta: dalla definizione alla negoziazione. Si pensi a Wikipedia, dove nemmeno un esperto potrebbe scrivere una voce enciclopedica senza sottoporla alla discussione collettiva. Nel lavoro culturale on fine imparare a negoziare è più importante che imparare a definite: un concetto sfumato può rivelarsi più utile di un’architettura precisa e dettagliata.
Nel lavoro culturale off fine ci si propone spesso come obiettivo la definizione di concetti, significati e parole chiave, ma non appena ci si connette il bersaglio si sposta: dalla definizione alla negoziazione. Si pensi a Wikipedia, dove nemmeno un esperto potrebbe scrivere una voce enciclopedica senza sottoporla alla discussione collettiva. Nel lavoro culturale on fine imparare a negoziare è più importante che imparare a definite: un concetto sfumato può rivelarsi più utile di un’architettura precisa e dettagliata.
Lavoro sovversivo
Il conflitto per la libertà d’espressione in Rete è tutt’altro che evaporato. Se prendere parola può sembrare banale, non altrettanto si può dire del prendere contenuti. O meglio: l’atto dell’appropriazione è altrettanto banale, ma le conseguenze sono ben più complesse, a causa delle varie leggi sul diritto d’autore, sulla pirateria, sulla proprietà intellettuale. Lo sconrro tra l’interesse delle corporation e quello dei consumatori è ricco di contraddizioni, dal momento che le prime hanno sempre più bisogno di interagire con i secondi, ma allo stesso tempo devono cercare di porre dei limiti alla loro partecipazione. E ormai impossibile usare la Rete senza inciampare nei grovigli del copyright. Un lavoro cultutale degno di tal nome dovrebbe assumersi la responsabilità di tagliate il nodo gordiano. Di abitare il conflitto, ma di sovvertirne le regole.
Il conflitto per la libertà d’espressione in Rete è tutt’altro che evaporato. Se prendere parola può sembrare banale, non altrettanto si può dire del prendere contenuti. O meglio: l’atto dell’appropriazione è altrettanto banale, ma le conseguenze sono ben più complesse, a causa delle varie leggi sul diritto d’autore, sulla pirateria, sulla proprietà intellettuale. Lo sconrro tra l’interesse delle corporation e quello dei consumatori è ricco di contraddizioni, dal momento che le prime hanno sempre più bisogno di interagire con i secondi, ma allo stesso tempo devono cercare di porre dei limiti alla loro partecipazione. E ormai impossibile usare la Rete senza inciampare nei grovigli del copyright. Un lavoro cultutale degno di tal nome dovrebbe assumersi la responsabilità di tagliate il nodo gordiano. Di abitare il conflitto, ma di sovvertirne le regole.
© Wu Ming 2
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