domenica 1 agosto 2010

Biancamaria Bruno: navigando senza tempo

Biancamaria Bruno - 2000  


Lettera internazionale nr 66 - 2000   - - - -

 navigando senza tempo

"Che cos'è il tempo?, chiedo."
"Il tempo è una storia".
"Perché una storia?"
"Perché succedono molti fatti".


Questo sostiene mio ñglio di sette anni. Il tempo è una storia. Questo, almeno nella nostra cultura occidentatle. Il tempo è Iineare, 'è un prima e un dopo, c‘è uno scorrere, c`è un inizio e una fine, una nascita, una morte. C‘è una storia che corre tra queste due estremità, che a volte riesce a date un senso alta nostra esistenza nel suo complesso e alla vita del mondo che ci circonda. Ciò non toglie, però. che la linearità del tempo, quel concetto elementare che noi tutti sperimentìamo, sia comunque arbitrario e intenzionale: costruiamo intatti strumenti di misurazione — I`orologio, il calendario — che si basano su convenzioni che possono variare da cultura a cultura e che prevedono una successione di momenti che disponiamo su una retta virtuale che presumiamo inlìnita. Il tempo dell‘uomo non è una marea che avanza, ma un fiume che scorre, una matassa che si dipana. un lilo di Arianna che ci guida e ci smarrisce. una corda tesa su cui camminiamo lasciandoci diettro, a ogni passo, un segmento della nostra vita. Ma il Tempo, quello vero, quello trascendentale e inquieto, resta un'entità per certi versi sconosciuta e aliena — Tempo del divino, Tempo dell'unìverso, Tempo del tempo.


C’è forse un'analogia tra il tempo umano, che vogliamo lineare e dunque facilmente misurabile, e la struttura della lingua così come la usiamo. La lingua sembra possedere le stesse caratteristiche fondamentali del tempo: è lineare, arbitraria e in tenzionale: lineare perché possiamo pronunciare solo un suono e scrivere solo un segno alla volta; arbitraria perche retta da convenzioni per cui stabiliamo di volta in volta quale nome dare ai segmenti di realtà che vediamo intorno a noi; intenzionale perché umana e sempre orientata verso uno scopo. La lingua è forma del nostro pensiero. fìnestra sul mondo, griglia che raccoglie e filtra le nostre percezioni, tubo di dentifricio da cui fuoriesce una realtà misurabile e certa. Senza lingua vedremmo un mondo indistinto. Senza codice non potremmo tradurre l‘essere nella vita. Non ci sarebbe cultura. diversità, tensione, dialogo. E non ci sarebbe il libro.

Oggetto tangibile quant'altri mai. pesante fardello dei nostri anni di studio, odoroso, maltrattato da|l'odio e dall'amore, il libro è metafora e metonimia della nostra concezione lineare e occidentale del mondo terreno, della nostra concezione del tempo e della lingua. Simbolo rassicurante e concreto del mondo reale. contiene in sé passato, presente e futuro: la pagina letta. quella che si sta leggendo, quella da leggere. Ogni riga è un punto di riferimento. un pemo che sorregge e guida quella successiva. E ogni punto può accoglìere ìl segnalibro che ìndìca dove si è fermato il nostro presente. È una strada sicura, già battuta, che non ammette vie parallele o traverse.

Poi è arrivato lui, il grande Labirinto del web. la macchina che fabbrica sotto i nostri occhi il Wonderland del nuovo millennio. E con lui, la vera realtà virtuale che non è quella dei sogni e delle liabe, ma quella di un . universo tanto effimero da non avere neppure un presente.

"Quando finiscono i numeri, mamma? "
"Quando non ce la fai più a contare".
"I numeri sono infiniti come l'universo, allora! "
"Sl, ma nel! 'infìnito c 'è tanto tempo".
"Allora posso dormire tranquillo ".


Nel labirinto delI'ipertesto, il viaggiatore esplora tutto per ritrovarsi al punto di partenza. Sa quando entra, non sa quando esce. E intanto il tempo passa. Navigazione emozionante in un mare sconlinato ma chiuso, dove non c‘è Stella Polare che possa guidarlo. Guidarlo dove? La meta sfugge continuamente, sembra di vedere terra ma è un'iIlusione. non è il sito giusto. Torna indietro, riparte. E intanto il tempo passa. Allarga i suoi orizzonti, cerca più lontano. Porta con sé la bussola del buon senso, tenta di ripercorrere la strada già nota. Ma non cè verso: qualcosa è già cambiato, già nulla è come prima.
Mai il dejà vu è stato più illusorio. E intanto il tempo passa. Nulla è misurabile. Distanze abissali, altitudini vertiginose si appiattiscono in un limbo spaziotemporale irreale e irrisolvibile. E falso. E intanto il tempo passa.

In questo viaggio non serve portarsi dietro il libro, il modello, il paradigma della nostra storia di occidentali evoluti e nostalgici. Nulla del libro servirà: non la sua consistenza fisica fatta di pagine meravigliosamente numerate, di indici dei nomi cosi semplici da consultare: non la sua rigorosa linearità, non la sua realtà cosi piacevolmente commensurabile; non la sua autotevolerza - c'è
un titolo, un autore, un editore, una data -, Nulla.

Qui si gira in tondo, la spirale sostituisce la freccia della scrittura, il colpo d'occhio sostituisce lu ricenca minuziosa della citazione, tutto appare infinito. Anche la pagina non è più pagina. Anche quella non ha una dimensione sicura. E così perdiamo quell`ultima ancora di salvezza e, abituati come eravamo a misurare il nostro sapere in base al numero delle pagine lette, studiate, meditate. appuntate, bistrattate, o semplicemente sfogliate, non siamo più certi di avere letto tutto, di avere esaurito la nostra ricerca. E intanto il tempo passa. Ma non è più quel tempo li. Non è più lo spazio che conosciamo da sempre. L'ipertesto non vuole lo spaziotempo. Coltiva la dimensione dell'istantaneità e delI`inlinito. È L'universo in un bicchiere d'acqua, non soggetto alle leggi fsiche e neppure a quelle psicologiche. L°unica figura geometrica che gli è propria è il cerchio, l'unico edificio che presuppone è il labirinto, l'unico essere umano che ne può uscire vivo è I°architetto, che è riuscito a costruire un edificio senza architettura e senza mappa. L`unico viaggiatore che può accogliere è l'essere errante che, spinto dalla curiosità, entra con un obiettivo preciso, che poi è quello della ricerca fine a se stessa, per giungere in terre ignote e caotiche. verso cui veleggia perdendo man mano che procede quella intenziona- lità che pure lo aveva inizialmente guidato.

Stordito da un viaggio clte lo spinge inesorabilmente oltre le colonne d'Ercole del sapere convenzionale, viaggio in cui tutto si mescola in una rilevanza/irrilevanza per cui tra Dante e l'oroscopo non c°è più differenza, in cui non c’e più distanza tra Palos e le Nuove Indie, il navigatore solitario rifà rotta verso terra, decide di uscire dal labirinto vinuale e spegne tutto. Cosa resta? La sensazione, emozionante e inquietan- te. di essere atterrato sull’isoIa che non c‘e. Di essere sceso dalI'astronave silenziosa che percorre spazi infiniti in pochi attimi. Ma non importa. Nella sua vita di ogni giomo, i punti di riferimento restano altri e saldi, il tempo resta una freccia, e la lingua un llusso regolare e continuo.

ll problema è diverso se il navigatore solitario, invece di essere un adulto. è un giovane, un Peter Pan che si sta ancora chiedendo quale differenza esista tra la realtà e la fantasia. c che sta ancora elaborando i modelli e convenzioni spaziotemporali che regolano lo svolgersi lineare della vita occidentale, per poi tradurli nella sua lingua. Viene da chiedersi che cosa può succedere se, al libro inteso come summa della nostra civiltà millenaria, come contenitore delle norme che determinano l'apprendimento e la nascita di ogni sapere, si sostituisce o si affianca il materiale vulcanico e la struttura labirìntica del web che riñutano non solo la dimensione spaziotemporale cosi come la concepiamo da sempre, ma la stessa consistenza di quel punto di riferimento che ci permette di stabilire in ogni momento della nostra vita che cosa siano l'hic· et nunc.

"Che cos'è una storia, allora?"
"Una storia comincia con c'era una volta.
Per esempio: C'era una volta il sole
poi vengono due nuvoloni,
poi il sole chiama il vento e li spinge
lontani. E così finisce".



© Biancamaria Bruno -  
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