Michele De Mieri
agosto 2010
Città del Messico 1968: l’aspirante poetessa protagonista di «Amuleto» del cileno Bolaño
Chissà se da qualche parte esiste nell’enorme - si dice - lascito di Roberto Bolaño una nota, una lettera all’editore, una qualche spiegazione che motivi la scelta di riprendere, fra le decine e decine di personaggi che nella parte più corposa de I detective selvaggi parlano in prima persona, proprio la voce di Auxilio Lacouture per Amuleto, il breve romanzo che Bolaño scrisse, nel 1999, l’anno dopo I detective, il romanzo che impose definitivamente all’attenzione di lettori e scrittori il nome dello scrittore cileno.
Amuleto è un assaggio di quel capolavoro, un carotaggio perfetto di temi e linguaggi, un felice reperto di quell’opera folle e definitiva che raccontava un’intera generazione sudamericana e il suo amore estremo per la poesia. Mi viene pure da pensare che Amuleto è un’accortissima operazione-bignami di Bolaño per lettori e, soprattutto, critici pigri (in questi giorni su alcune recensioni si poteva vedere bene) per coloro che non avrebbero mai affrontato fino in fondo le oltre 800 pagine del romanzo madre e allora, probabilmente, la cinica cattiveria che lo contraddistingueva (basta leggere i bellissimi pezzi critici di Tra parentesi) ha forse fatto da motore per il monologo di Auxilio: «Io sono la madre della poesia messicana», così si presentava nelle pagine dei Detective la poetessa uruguayana alta, bionda, magra: «la versione femminile di Don Chisciotte». Non contento di questa descrizione già sufficientemente picassiana Bolaño decide che per il monologo di Amuleto l’aspirante poetessa che protegge e ascolta tutti i giovani poeti del realismo viscerale dovesse perdere pure i suoi denti anteriori, quel ponte con gli altri che pure non ne limiterà la socialità, soprattutto notturna. Amuleto è un virtuoso flusso di fatti e giudizi raccontati da Auxilio dal bagno del quarto piano della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Città del Messico, mentre i reparti militari vi fanno irruzione. È il Sessantotto di sangue di quella parte del mondo qui raccontato attraverso la resistenza passiva di Auxilio che per due settimane rimane lì, lei uruguayana a simboleggiare tutti i giovani latinoamericani vittime delle lotte col potere, è il 1968 di quando Bolaño quindicenne arrivò in Messico con la famiglia. Ma Amuleto è soprattutto un atto di testimonianza sul potere della poesia, sul suo essere marginale, per i più inesistente, ma che diventa per alcuni tenaci esseri umani la linfa di un’intera esistenza. FANTASMI Resiste Auxilio (e poco importa perché non scoperta) da dentro quel cesso dell’università, mentre i carri armati si portano via studenti e professori, con un l’unica compagnia delle poesie di un suo adorato poeta, resiste e racconta il terrore di quei giorni, il tempo passato: gli anni del suo arrivo (mai certo) in Messico e gli anni futuri: di Arturo Belano e Ulises Lima, i due giovanissimi poeti al centro dei Detecti ve. Non c’è logica temporale nel racconto di Auxilio: è prigioniera, bloccata dall’esercito nell’Università ed è allo stesso tempo già fuori, già avanti negli anni Settanta a raccontare degli anni successivi di poeti e di bar notturni, di livelli di realtà man mano più incerti. È una visione quella che man mano il racconto di Auxilio costruisce per noi, pescando dal suo tempo vissuto senza curarsi troppo di barriere temporali né spaziali, che si popola di fantasmi, di persone incontrate nella fantasia, altre pedinate per le strade di Città del Messico. È bello Amuleto, vi lascerà senza parole la voce «esaltata di un uruguayana con una vocazione da greca», come lo ha sinteticamente definito Bolaño nel suo Autoritratto, ma poi fate lo sforzo di leggere I detective selvaggi.
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