Saul Bellow -
dicembre 1970Ai vecchi e ai nuovi vecchi (intellettuali)
di Saul Bellow e Keith Botsford(«ANON», Number One, December 31, 1970)
[…] Le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte. Le persone vogliono riflettere sulle questioni sociali, pensando sia un modo di riflettere su se stesse.
Chiunque può abboracciare un testo sui problemi sociali. Tradizionalmente, la funzione dell’arte era quella di assorbire. Queste persone non hanno la minima intenzione di fare dell’arte. Piuttosto, si compiacciono di essere degli artisti. Per loro l’arte consiste nel gettare un incantesimo sull’orrore che ci circonda. È un metodo terribilmente facile per intrufolarsi nella casta degli artisti.
Né gli uomini d’affari né i dittatori sono i legittimi eredi dell’aristocrazia, ma gli artisti. Il XIX secolo questo l’aveva capito bene, elevando l’artista a vero e proprio aristocratico della società. Ai giorni nostri la noblesse è rappresentata dai bambini. Ma gli artisti non hanno ancora capito il lavoro che comporta un simile riconoscimento; non adempiono in alcun modo al compito assegnato. Se il XIX secolo manifestava un magnifico interesse per le domande, oggi ci si appassiona a un’altra arte: imbrogliare le carte. Gertrude Stein sul letto di morte avrebbe sussurrato: “Qual è la risposta? Qual è la risposta?”. Ma poco prima di morire avrebbe chiesto: “Qual è la domanda?”. Forse quest’ultimo atto di intelligenza ha salvato la sua anima.
Menti raffinate predicano che la letteratura è morta, che l’arte è morta, che il romanzo è morto. Io brontolando rispondo: la causa del male è l’assenza di modelli accettati e riconosciuti – è l’autorità che sta svanendo. La letteratura ha bisogno di voci incontestabili – dove sono finite? Ecco il compito che potremmo attenderci da una rivista: esigere dei criteri. Naturalmente il pubblico pensa che esistano delle voci indiscusse, ma la maggior parte degli scrittori in vista lo sono per motivi sbagliati: perché hanno pugnalato la moglie, rimediato un posto nella pubblica amministrazione, manifestato al Pentagono, o perché si sono tinti i capelli di blu o perché sono andati ad assistere alla morte di un condannato sulla sedia elettrica. L’arte ormai è stata rimpiazzata dai suoi sottoprodotti.
Dicono che la finzione è noiosa, ed effettivamente gran parte dei testi di finzione lo sono. Tolstoj ha ammesso e riconosciuto che anche il racconto più popolare diventa noioso se non è reso fertile da un interesse primario. È la morte spirituale che genera la noia. In questo modo i miti greci diventano noiosi; Cristo in croce diventa noioso […]
I lettori esigono argomenti, e va a finire che la vita di un uomo si trasforma in un lusso a cui nessuno può dedicarsi.
Tuttavia, le vere opere di finzione non perdono mai il loro valore. Passano semplicemente inosservate. Ai nostri giorni, la vittoria va ai “fatti”, soprattutto se di ordine sociale. Ma quel che la gente intende per “fatti” non è altro che un’occhiata allo specchio. Viviamo nella società democratica dell’autocontemplazione. Ciascuno è convinto che non ci sia niente di più interessante di se stesso; la nostra coscienza è diventata il fatto più importante, il solo e unico fatto che conti. Naturalmente dicendo questo non intendo i “fatti” veri e propri.
La radice di questo mutamento è profondamente romantica. I romantici dicevano che l’arte non si occupa della verità; ma quel che conta di più è la verità. Al di là dell’arte, esiste una realtà più vasta che con l’arte può essere colta. Marx – il principe dei romantici – diceva che il proletariato avrebbe fatto la rivoluzione per salvare il genere umano dall’irrealtà. Come molti altri oggi, viveva un’utopia populista.
Come pretendere dagli scrittori che si muovano controcorrente? Stanno per commettere il vecchio errore di sempre: fare la cosa sbagliata al momento sbagliato. Esigono un posto particolare nella società. Aspirano alla rivoluzione. Vogliono stare sulla cresta dell’onda. Ma vogliono anche essere saggi. Non possiedono il senso della comunità. Nessuno di loro si preoccupa minimamente delle difficoltà degli altri. Quando diventano ricchi, diventano molto ricchi. Fanno parte del jet set; hanno delle grane con il fisco; diventano attori televisivi. Hanno idee terribilmente conservatrici. Un uomo di classe direbbe che c’è troppa gentaglia nella Repubblica delle Lettere […]
Pubblicato su nazione Indiana il 30 luglio 2010 - - - -
© Saul Bellow e Keith Botsford
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