Eugenio Scalfari -
16 luglio 2010Dopo trent'anni di silenzio riprende le pubblicazioni di 'Alfabeta' (la testata è la stessa di allora con l'aggiunta del numero 2) e Umberto Eco ne accompagna la nuova edizione con un ampio articolo sugli intellettuali. Quelli organici (ai partiti) e quelli disorganici (senza partiti con i quali identificarsi e quindi liberi di pensare, dire e scrivere tutto ciò che gli passa per la mente).
L'articolo è molto gustoso, in certi punti addirittura sapido; quello è lo stile di Umberto quando si appassiona ad un argomento.
Organici e disorganici: questa bipartizione, dico la verità, mi ha un po' disorientato e un po' anche spaventato. Una società culturale nella quale tutti o la maggior parte degli intellettuali siano un'appendice di partiti politici, nutrendosi della loro ideologia e traducendola in opere letterarie ideologicamente orientate, sarebbe terribilmente conformistica. In parte lo è stata, almeno dal '45 al '56, con una dominanza culturale del Partito comunista non solo nella letteratura ma anche nelle arti. Non fu un bello spettacolo, anche se quel tipo di conformismo degli intellettuali 'compagni di viaggio' è stato fin troppo mitizzato al di là di quanto effettivamente sia avvenuto. Molti di quei 'compagni di viaggio' infatti non si limitavano ad una militanza culturale passiva ma incisero robustamente a modificare l'ideologia cui aderivano ed a farne cosa diversa da come sarebbe stata senza la loro presenza. Aggiungo che alcuni di loro fecero parte del gruppo dirigente del partito ed assunsero responsabilità politiche dirette. Ne nomino alcuni: Tortorella, Macaluso, Alicata. Ma potrei aggiungere che anche Natta, segretario del Pci dopo la scomparsa di Berlinguer, fu innanzitutto un intellettuale e poi un uomo politico. Quanto a Togliatti, fu un uomo politico ma anche un uomo di cultura e così lo furono Giorgio Amendola, Giorgio Napolitano, Alfredo Reichlin.
Un partito della classe operaia guidato da intellettuali: questo fu il Pci e proprio per questo bifronte, complesso e ambiguo, ma certo gli intellettuali non furono lì a far da comparse. Pensate ad Argan o ad Asor Rosa o a Tronti. Intellettuali organici al partito o un partito organicamente intellettuale, nel bene e nel male? Contate almeno fino a dieci prima di rispondere.
Ora sarebbe cominciata una fase culturale nuova nella quale i partiti sono diventati irrilevanti e incapaci di metabolizzare e tantomeno di egemonizzare una cultura. Per conseguenza gli intellettuali che vivono in questo arco di tempo sarebbero disorganici, cioè finalmente liberi di dare i loro giudizi, di esprimersi su qualunque argomento senza più remore di partito. Un passo avanti? Un vento fresco di libertà? O invece una torre di Babele dove ognuno parla un proprio linguaggio incomprensibile agli altri e si effonde in lunghi monologhi in presenza di altrettanti monologanti?
Una società culturale di questa fatta mi fa paura. La Babele mi spaventa, non è un mito che esprima un'eccellenza di libertà ma al contrario esprime la spettrale situazione di incomunicabilità, di affollata solitudine, di generale impotenza. Insomma il massimo della barbarie. Se per intellettuali disorganici si intendesse questo, non c'è che cambiare paese.
Non credo però che si intenda questo, o almeno lo spero. Credo che si voglia rivalutare il pensiero difforme dal pensiero dominante. Non a caso il prototipo scelto dai 'disorganici' è Camus. Ma ne possiamo nominare molti altri, di altre epoche ma con analoghi connotati culturali. Per esempio Giordano Bruno. Per esempio Chateaubriand, o Foscolo. Jonathan Swift. Cyrano de Bergerac.
Ce n'è quanti ne volete, ma non rappresentano un'epoca bensì dei temperamenti. Alcuni 'disorganici' sono stati animati da una tale forza di volontà da saper creare una realtà a loro immagine e somiglianza. Gramsci, tanto per fare un esempio, fu in origine un disorganico ma creò un Partito comunista ben diverso da quello che in prima battuta era stato creato da Bordiga.
Tante altre cose potrebbero esser dette e raccontate su organici e disorganici. A guardar bene i disorganici veri sono quelli che si oppongono al luogo comune e creano al suo posto un nuovo senso della realtà. Il disorganico cioè è un creativo e crea un nuovo canone con il quale aggrega uno stuolo di organici. La storia delle idee e della cultura, cioè la storia con la lettera maiuscola, si è sempre svolta in questo modo ed è questo il suo valore e il suo
L'espresso 16 luglio 2010 - - - -
© Eugenio Scalfari
su Alfabeta2 c'e' un'ampia rassegna stampa degli articoli sull'uscita di Alfabeta2 e sul dibattito sugli intellettuali
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