Javier Marías -
25 gennaio 2011Innamoramento e impunitá
Ma, come ho detto, credo che il carattere più scuro di questo romanzo, che ancora non so vedere con un minimo distacco (ammesso che questo a noi autori sia possibile qualche volta), abbiaa che fare con un’ altra questione, l’ impunità che sempre più impera nel mondo, o questa è la sensazione che molti di noi hanno e che cresce in noi giorno dopo giorno. Non so citare a memoria, ma ne Gli innamoramenti si dice qualcosa di simile a questo: “Il numero di delitti ignoti supera di gran lunga quello dei delitti riscontrati, e quello dei delitti che rimangono impuniti è infinitamente maggiore di quelli che vengono puniti”. Contrariamente a ciò che dovrebbe accadere, la giustizia appare sempre più impotente, o più indolente, o più corrotta o connivente, o più vile, o più manipolabile, o più suscettibile di fraintendimenti e di perversione. Le scappatoie per ingannarla si moltiplicano, e vi sono politici e imprenditori -nel mio Paese, per non parlare dell’ Italia- che festeggiano come una vittoria e una discolpa il fatto che il reato di cui li si accusa sia stato prescritto, sempre convenientemente, quando una prescrizione in nessun modo equivale a un’ assoluzione, bensì a una dichiarazione di colpevolezza che tuttavia non può concretizzarsi. Le difficoltà della giustizia sono sempre esistite, e basta pensare, per confermarlo, ai pochissimi boia nazisti che hanno scontato una condanna. Non dobbiamo farci trarre in inganno: per un motivo o per un altro, l’ immensa maggioranza se l’ è cavata, si è liberata da ogni castigo, addirittura da ogni rimprovero e vergogna.
In modo sorprendente, questa tendenza, queste difficoltà hanno prosperato. Sono numerosi i dittatori (mi rifiuto di parlare di “ex dittatori”, come non si può parlare di “ex assassini”) che, nel migliore dei casi, finiscono per abbandonare il loro Paese con una fortuna in tasca e non compaiono mai di fronte alla giustizia. La proporzione di omicidi risolti, a confronto con le centinaia commessi contro donne a Ciudad Juárez da anni a questa parte, è ridicola, allo stesso modo di quelli che vi sono stati, ancora in Messico, nella cosiddetta guerra contro il narcotraffico. In tono minore, coloro che hanno causato l’ attuale crisi economica mondiale rimangono ai loro posti, per la maggior parte, e oltretutto danno ancora ordini. Oppure Bush Jr, Blair e Aznar, i quali hanno scatenato una guerra illegale e inutile che ha causato oltre centomila vittime, tutte evitabili, vanno tranquillamente a spasso per il mondo, spesso applauditi, e si mettono in tasca grosse somme di denaro per i loro libri, le loro conferenze e i loro “consigli” a grandi imprese. La sensazione che l’ impunità dòmini è inevitabile nelle nostre società, e ciò le conduce, in maniera graduale ma indefettibile, ad avere sempre maggiore tolleranza nei confronti di essa; a ritenere che ai singoli privati non competa intervenire né porre rimedio, quando non lo fanno neppure i giudici, e a considerare che lasciar passare un ennesimo delitto di cui si abbia conoscenzao di cui si sia stati oggetto, un crimine della vita civile, non abbia particolare importanza né cambi nulla nell’ essenza delle cose, di fronte alla sovrabbondanza dei delitti pubblici e politici che rimangono e rimarranno sempre impuniti. Si tratta di una delle più grandi demoralizzazioni del nostro tempo, e da qui viene, immagino, il mio fastidio nello scrivere su questo, se pure in maniera laterale e fittizia, in una cosa tanto modesta come un romanzo.
Mi dispiace di non essere stato più allegro e più ottimista in un’ occasione che si presterebbe all’ allegria e all’ ottimismo, almeno a titolo personale. Non ad altro invita il ricevere un Premio come il Nonino, in un Paese da me tanto amato come l’ Italia, e assegnatomi da una giuria tra i cui componenti vi sono numerose personalità che meritano tutta la mia ammirazione da anni. Romanzieri, poeti, sociologi, scienziati, cineasti e drammaturghi di cui non avrei neppure osato immaginare che conoscano il mio nome, tanto meno che si siano presi il disturbo di leggere quel che ho scritto, e ancora meno che lo abbiano apprezzato al punto di farmi questo grande onore. A tutti loro, grazie.
JAVIER MARÍAS
(Traduzione di Glauco Felici)
La Repubblica, 25 gennaio 2011
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