domenica 24 ottobre 2010

Enrique Vila-Matas raccontato da Raul Schenardi

  Raul Schenardi

Enrique Vila-Matas




  Il mal di montano    

trad. di Natalia Cancellieri    
Ed. feltrinelli    




 “Sento l’orgoglio del vampiro. Per esempio, per anni ho agito in letteratura come un perfetto parassita. In seguito ho cominciato a liberarmi di quell’attrazione per il sangue delle opere altrui e addirittura, con la collaborazione di queste, ad appropriarmi di un’opera inconfondibilmente mia: discreta, di culto, mezza segreta, forse eccentrica, ma che mi appartiene ed è ormai ben lontana dall’omologato esercito dell’identico.”

Così Enrique Vila-Matas nel suo ultimo romanzo pubblicato in Italia (Il mal di Montano, tr. di Natalia Cancellieri, Feltrinelli 2005). Già Borges, a proposito dei testi raccolti nella sua Storia universale dell’infamia, aveva scritto nella prefazione del 1954:
“Sono il gioco irresponsabile di un timido che non ebbe il coraggio di scrivere racconti e che si divertì a falsificare (talvolta senza alcuna giustificazione estetica) storie altrui”.
E Vila-Matas, appoggiandosi al Maestro (“mi sono sentito ancora più in pace nel constatare, per esempio, che Borges era stato un caso assai creativo e astuto di parassitismo letterario”), e a Walter Benjamin ( “diceva che nel nostro tempo l’unica opera realmente dotata di senso – anche di un senso critico – dovrebbe essere un collage di citazioni, frammenti, echi di altre opere” ), dopo averci confessato di essere stato un parassita e di averne sofferto, finisce per rivendicare la legittimità e la produttività del procedimento.


Anche nella Storia abbreviata della letteratura portatile (tr. di Lucrezia Panunzio Cipriani, Sellerio 1989), del resto, si poteva leggere: “Marcel Duchamp affermò che il parassitismo era una delle Belle Arti”.  E l’inquietante presenza del mago Aleister Crowley e di tutto un proliferare di doppi, golem e odradek (l’essere misterioso di un racconto di Kafka) nelle pagine di quel libro, che per altri versi ostentava una convinta adesione ai dettami di “levità” proposti da Calvino, testimoniava l’insorgenza del malessere del vampiro. Il mal di Montano, tuttavia, questo malessere lo denuncia fin dalle prime pagine:
“La letteratura mi soffoca ogni giorno di più, giunto ai cinquant’anni mi angoscia pensare che il mio destino sia di finire trasformato in un dizionario ambulante di citazioni”.
Ed è la struttura stessa del romanzo, oltre alle inusuali annotazioni autobiografiche, per quanto camuffate dal gioco di specchi dei doppi, e agli ancor più inediti slanci lirici, a rivelarci che non ci troviamo di fronte a una semplice declinazione dei temi preferiti di questo autore.

Non dobbiamo neanche lasciarci trarre in inganno dal fatto che, come in opere precedenti, segnatamente Storia abbreviata e Bartleby e compagnia (tr. Danilo Manera, Feltrinelli 2002), anche questa volta Vila-Matas ci ubriaca con citazioni e aneddoti sulle vite degli scrittori, e in particolare di quelli che ama di più: Walser, Musil, Kafka, Pessoa... (Vale la pena segnalare qui che alcuni scrittori menzionati, come anche in Bartleby, sono del tutto inventati e diverse citazioni spurie, per aggiungere un surplus di intrigo e di divertissement.)

Nel Mal di Montano c’è qualcosa di più del raffinato gioco intellettuale della Storia abbreviata, dove ricostruiva le vicende della “cospirazione segreta” degli shandy – dal cognome dell’eroe eponimo del romanzo di Laurence Sterne – come un capitolo festoso e irriverente di una storia delle eccentricità e delle stravaganze in letteratura, un po’ alla maniera del Bolaño di La letteratura nazista in America. Così, mentre Bartleby e compagnia indagava il lato oscuro della creazione letteraria, le patologie dei cosiddetti “scrittori del no”, coloro che dopo aver dato al mondo uno o più capolavori hanno abbandonato per sempre la letteratura, o il caso ancor più radicale di chi non ha mai voluto scrivere o pubblicare o lasciare tracce di sé al di fuori dei libri, Il male di Montano è una scommessa sulla salvezza della letteratura, malgrado tutti i nemici che l’assediano: le cosiddette leggi del mercato, i falsi scrittori, i lettori stolti... E Vila-Matas rischia stavolta di dilapidare la sua fama sulfurea di nichilista appropriandosi di queste parole di John Cheever:
“Non possediamo altra coscienza che la letteratura, che è sempre stata la salvezza dei condannati, ha ispirato e guidato gli amanti, vinto la disperazione, e chissà che non possa arrivare a salvare il mondo”. Laddove in Bartleby si limitava a riconoscerle questo merito: “La letteratura, per quanto ci appassioni negarla, permette di riscattare dall’oblio tutto ciò su cui lo sguardo contemporaneo, sempre più immorale, pretende di scivolare con la più assoluta indifferenza”.
A ben vedere il tema del vampirismo letterario, considerato sotto un’altra angolazione, più astratta e meno sanguigna, e operando un ampliamento, si può ricondurre a quello della metaletteratura, vale a dire, in parole povere, quella narrativa (che a volte sconfina nel genere saggistico o diaristico) incentrata sulla vita di uno scrittore e il suo rapporto con la scrittura e la letteratura, o le sue relazioni con altri scrittori, teorie e ambiente letterario, ecc. Ma Vila-Matas non ci sta a sentir parlare di metaletteraura, e a dargli manforte chiama l’amico scrittore argentino Ricardo Piglia, che in un’intervista aveva dichiarato:
“la metaletteratura non esiste, è un cliché critico che è servito per contrapporre una tradizione complessa di costruzione di storie con una presunta tradizione ‘minimale’ o diretta che si fa risalire a Hemingway”. 
Da una parte ci sarebbe il “neopopulismo antintellettuale della cultura di massa” che convince con sonanti argomenti molti scrittori a scrivere in un modo che tutti capiscano e a presentarsi come persone semplici, per evitare a ogni costo di essere visti come intellettuali, dall’altra invece sarebbe “comparsa una tradizione che sta resistendo dentro interessanti catacombe”, i cui padri sarebbero Berger, Calvino, Magris, Borges.

Le etichette sono sempre fastidiose e spesso penalizzanti, e ne sa qualcosa Piglia, il cui romanzo Respirazione artificiale è uscito in Spagna solo vent’anni dopo la prima edizione argentina, e dopo la traduzione italiana: in Spagna vige tuttora un realismo soporifero e militonto in letteratura, e pure Vila-Matas ha faticato parecchio prima di ottenere in patria quei riconoscimenti della critica e quei premi che non gli sono mai mancati invece in America latina e a livello internazionale (è stato tradotto in una dozzina di lingue). D’altra parte, si ha l’impressione che fortunatamente la linea di resistenza contro la letteratura light, vuoi che si manifesti nelle tematiche, nel linguaggio, o nella forma delle narrazioni, non passi soltanto attraverso opere definite forse un po’ sbrigativamente, ma non sempre con intenti polemici, come “metaletteratura”. Se l’ambizione – lodevole e legittima – è quella di scovare o di creare nuovi lettori (lettori, tanto per intenderci, sovranamente indifferenti ai best seller e alle pestilenziali mode sfornate con perfetto tempismo dall’industria editoriale), ci si dovrà comunque rassegnare, possibilmente senza malinconia, a una collocazione eccentrica. Come dice César Aira, scrittore argentino che circola nelle pagine del Male di Montano:
“La letteratura è un’attività minoritaria, lo è sempre stata e sempre lo sarà, per quanto facciano gli scrittori e gli editori... Il best seller è materiale di lettura per gente che, se non esistesse quello, non leggerebbe niente... Pensare che qualcuno possa smettere di leggere Henry James per leggere Harold Robbins è un’ingenuità; se non esistesse Harold Robbins, i suoi lettori vacanti non leggerebbero Henry James; non leggerebbero niente, semplicemente”.
In Vila-Matas, invece, che confessa diabolicamente di scrivere sempre “contro qualcuno”, fa capolino qua e là quache residuo di moralismo, come quando se la prende con
“i dementi, scrittori burocratici di merda, morti. Quella razza di scrittori, imitatori del già fatto e gente assolutamente priva di ambizione letteraria, quantunque non di ambizione economica, sono una piaga addirittura più perniciosa di quella dei direttori editoriali che lavorano con entusiasmo contro la letteratura”.
 Sta di fatto che Il mal di Montano, in particolare, non rende la vita facile al lettore: è un testo frammentario e anomalo, che mette in questione la forma romanzo contaminandola con altri generi; dopo la nouvelle delle prime 80 pagine, infatti, arrivano il saggio critico, un dizionario di autori, il diario, la conferenza, l’autobiografia... Ma non basta: le regole non scritte che presiedono queste diverse forme di scrittura vengono trasgredite in continuazione, e così del personaggio del figlio di Montano, che ha contratto la malattia della letteratura dopo aver pubblicato “il suo pericoloso romanzo sull’enigmatico caso degli scrittori che rinunciano a scrivere”, a un certo punto il narratore (il padre) dice che è puramente fittizio. Laddove Vila-Matas ha ammesso di aver attraversato davvero una crisi creativa dopo la pubblicazione di Bartleby e compagnia. Questo continuo dislocamento dalla realtà alla finzione narrativa, senz’altro produttivo ai fini dell’esplicitazione delle teorie letterarie dell’autore, può produrre qualche sconcerto nel lettore poco smaliziato, aduso a un tacito patto con lo scrittore che prevede sempre una certa linearità e sincerità. Vila-Matas, invece, riflettendo sui diari di Gombrowicz, un altro dei suoi autori di culto, mette le mani avanti:
“quello che Gombrowicz temeva di più come scrittore era la Sincerità, sapeva che in letteratura la sincerità non conduce a niente”.
Così, se mi trovassi di fronte qualcuno che di Vila-Matas non ha mai sentito parlare, esiterei a consigliargli anzitutto Il male di Montano, che per essere apprezzato richiede forse la previa lettura di Bartleby e compagnia. Anzi, per parafrasare la “Settimana enigmistica”, Il male di Montano lo metterei in mano solo a “lettori più che abili”. Quelli meno avventurosi potrebbero cominciare ad assaggiare la sua raccolta di racconti Suicidi esemplari (tr. L. Panunzio Cipriani, Sellerio 1994), un compendio di varie modalità di “sparizione” che, come ha rivelato Vila-Matas, gli è valso l’interesse di ogni genere di mancati suicidi che l’hanno seppellito di lettere. Oppure il romanzo che ha costituito il suo effettivo esordio in letteratura, L’assassina letterata (tr. e postfazione di Danilo Manera, Voland 2004).
Mi piace riferire quanto scrisse Roberto Bolaño:
“Ci sono libri che mettono paura. Una paura vera. Più che libri sembrano bombe a orologeria o animali che fingono soltanto di essere impagliati, ma sono pronti a saltarti addosso non appena ti distrai. La prima volta che ho fatto questa esperienza è stato molto tempo fa, nel 1977 o 1978; stavo leggendo un romanzo breve nel quale a un certo punto si avvertiva il lettore che a partire da quel momento sarebbe potuto morire. Vale a dire che poteva morire letteralmente, stramazzare per terra e non rialzarsi più. Il romanzo era L’assassina letterata, di Enrique Vila-Matas, e che io sappia nessuno dei suoi lettori è morto, ma in molti siamo cambiati dopo averlo letto, con la certezza che qualcosa era cambiato per sempre nel nostro rapporto con la lettura”.
 Anche qui, tutti i personaggi sono scrittori, ma chi l’ha detto che la vita di uno scrittore sia meno avvincente di quella di una prostituta o di un camionista? Come ha dichiarato Vila-Matas in un’intervista:
“Scrivere è una cosa terribile ma la raccomando a tutti, perché scrivere significa correggere la vita – anche se dovessimo correggere soltanto una virgola in una giornata –, ed è l’unica cosa che ci protegge dalle ferite insensate e dai colpi assurdi che ci infligge l’orrenda vita autentica (essendo orrenda, il tributo che dobbiamo pagare per scrivere e rinunciare a parte della vita autentica non è poi così duro come si potrebbe pensare), oppure, como diceva Italo Svevo, è la cosa migliore che possiamo fare in questa vita e, proprio perché è la cosa migliore, dovremmo desiderare che la facessero tutti quanti”.

Pulp libri - 2005
© Raul Schenardi

la bibliografia di Enrique Vila-Matas

Dublinesque  - Feltrinelli - 2010

Storia abbreviata della letteratura portatile  - Feltrinelli - 2010

Bartleby e compagnia    - Feltrinelli - 2009

Dalla città nervosa    - Voland - 2008

Dottor Pasavento   - Feltrinelli - 2008

Il viaggiatore più lento
  - Alet Edizioni - 2007

Il viaggio verticale    - Voland - 2006

Il mal di Montano   - Feltrinelli - 2005

Suicidi esemplari    - Nottetempo - 2004

L' assassina letterata    - Voland - 2004

Bartleby e compagnia
    - Feltrinelli - 2002

Storia abbreviata della letteratura portatile   - Sellerio Editore Palermo - 1989

Parigi non finisce mai    - Feltrinelli - 2006


 

Nessun commento: