mercoledì 29 maggio 2013

Di cosa (non) parla 2666 di Roberto Bolaño?

   Andrea Meregalli -


Di cosa (non) parla 2666 di Roberto Bolaño?

Poi prometto che non scrivo più a proposito di 2666  di Roberto Bolaño, vediamola così: per una rubrica come Trame contro Trame, 2666 (Adelphi) è un po' come un bicchiere d'acqua fredda una mattina d'estate, che c'è caldo, caldissimo, e la sera prima s'è mangiato alici piccanti, pizza cruda e bevuto birra col limone, tanta tanta birra col limone. Avete presente?

A libro chiuso – facciamo a e-reader spento – dopo mille pagine, mille nomi e mille storie, la prima considerazione che s'è affacciata al mio cervelluzzo ancora tramortito da cotanta baldanza prosaica è: Roberto Bolaño ha quella capacità di fotografare e ramificare il mondo – un mondo – tipica degli scrittori fantasy; Roberto Bolaño potrebbe chiamarsi John Ronald Reuel Tolkien, Clive Staples Lewis oppure George R. R. Martin.

In 2666 non ci sono draghi, non ci sono elfi – è vero – non ci sono anelli, troni, spade, non c'è araldica medievale, non ci sono armadi, leoni, streghe, però c'è parte del resto, un minimo comune denominatore che grava sugli intrecci esistenziali, mette in relazione vite lontane, paesi lontani, momenti lontani, gesti all'apparenza poco significativi; c'è l'abilità di unire tratteggi, di spostare la cinepresa, di raccontare sempre di tutti e mai di nessuno.

Bolaño non inventa alcun mondo, – il mondo è, purtroppo, sin troppo reale ed è il (n)(m)ostro mondo – ma gonfia i propri talentuosissimi polmoni e ne allarga il respiro, muovendosi a cavallo di due continenti, decine di città, centinaia di caratteri, migliaia di possibilità.

Probabilmente, come dice Alessandro Baricco, 2666 è un libro sul male e sul mistero dei viventi, non lo so, non lo sa nemmeno lui, Baricco, e, probabilmente, come dice il nostro Jacopo Cirillo, i libri non sono fatti per essere capiti ma per essere raccontati, non lo so, lo sa lui, Jacopo; da parte mia, se qualcuno dovesse chiedermi di cosa parla 2666 di Roberto Bolaño, risponderei che parla del mondo, risponderei che è come leggere una fotografia del mondo, risponderei che leggerlo, decidere di leggerlo, significherebbe accettare una sfida e relazionarsi con un'opera ambiziosa, monumentale, che ha inteso raccontare tutto prima di lasciarcelo sfogliare.

Finzioni 29 maggio 2013   - - - -
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