Paoblog - 31 maggio 2013
Un libro: Un romanzetto lumpen
Trama:
«Ormai sono una madre e anche una donna sposata, ma fino a non molto tempo fa ero una delinquente».Così comincia il breve, folgorante racconto dell’adolescenza di Bianca: ancora un personaggio, fra i tanti creati da Bolaño, che difficilmente dimenticheremo. Rimasti orfani dei genitori, Bianca e suo fratello scivolano a poco a poco in un’esistenza di ottusa marginalità, che li porterà a non uscire quasi più dall’appartamento in cui si sono rinchiusi, e dove passano nottate intere a guardare la televisione.
A loro si aggregheranno due improbabili soggetti, «il bolognese» e «il libico», con i quali la ragazza dividerà a turno, svogliatamente, il letto – senza quasi sapere con chi lo sta facendo. Un giorno però entrerà nella loro vita un ex campione mondiale di culturismo, diventato cieco in seguito a un incidente, che tutti chiamano Maciste perché è stato un divo dei film cosiddetti mitologici.
Uno che forse ha dei soldi, soldi che si potrebbero scovare e rubare. Con questo strano essere, che la attrae e la respinge al tempo stesso, Bianca vivrà una relazione che, nata sotto il segno della prostituzione e dell’inganno, si trasformerà invece in qualcosa di assai simile a ciò che chiamiamo «una storia d’amore».
Letto da: Francesco
Opinione personale: Questo romanzo breve – l’ultimo che Roberto Bolaño, il grande romanziere cileno morto in Spagna nel 2003 a cinquant’anni in attesa di un trapianto di fegato, ha visto pubblicato in vita e che scrisse su commissione per una collana dedicata alle grandi capitali di un editore – è piacevolissimo nella sua scrittura scarna, diretta ed essenziale e al tempo stesso particolarmente interessante per l’intensità di contenuti e intime riflessioni che propone e a cui conduce lungo la sua lettura.
Io l’ho trovato davvero magnifico.
Ambientato in una Roma trasteverina e popolare che, pur nella sua caratterizzazione ben enunciata, si manifesta come un non-luogo che appare piuttosto un “luogo-qualunque”, nel suo breve percorso incrocia una infinità di metafore.
A cominciare dall’io narrante, l’ancora adolescente Bianca che vive un sublime contrsto tra una vita reale – vissuta apaticamente e con terribile disincanto assieme al fratello dopo essere rimasti orfani e vittime schiacciate da un sistema sociale consumista e insensibile – e una vita intima, fatta di monologhi densamente riflessivi, pregni di una consapevolezza dura e realista, eppure al tempo stesso dolcissima e poetica propria a un adulto fatto, come se la vita le avesse compensato con un prezioso bagaglio di saggezza ed esperienza ciò che le ha rubato, iniziando dalla serena spensieratezza adolescenziale.
Riflessioni che magistralmente accompagnano Bianca, nel brevissimo percorso di questo breve romanzo, a compiere una metamorfosi radicale ma talmente graduale nel processo da sfiorare l’inafferrabile.
Continuando, poi, con le severe metafore sulla fisicità di una sessualità vissuta, esibita e offerta quasi come un impegno, un riempimento o un dovere, così come la prostituzione che assume caratteri di poetica leggerezza, dietro le quali possiamo trovarvi la società civile, politica, economica o, anche, la letteratura e l’editoria.
Sfumature e metafore rafforzate, poi, dalla ossessionante presenza della televisione, dello spettro della disoccupazione e del disagio sociale che assume carattere di passività o di fugaci apparizioni ideologiche.
Trovo davvero magnifico come Bolaño riesca a inserire tutto ciò in poche pagine di accattivante scrittura.
Paoblog ----31 maggio 2013
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